di Massimo Anselmo
Il dibattito nel PD sulle dimissioni di Zingaretti interessa tutta la sinistra. Considerazione che sento da molti ambienti che da anni o non votano, o hanno fatto scelte elettorali diverse dal Pd cercando di fargli da pungolo, o si sono avvicinate al Pd dopo le primarie del 3 marzo 2019, in cui un milione e mezzo di militanti di sinistra e democratici votarono esprimendosi al 66% per l’attuale segretario.
Un milione e mezzo di donne e uomini che segnalarono di persona la richiesta di inversione della politica del Pd dal neoliberalismo alla Blair, che aveva prodotto il risultato drammatico alle elezioni politiche del 2018, ad una politica che ricomponesse il divario tra il partito e la società italiana, per avviare una svolta di rinnovamento dei contenuti e delle forme della sinistra.
Quell’appello è stato assunto pro forma, da subito si intravide l’empasse in cui ci si era cacciati: il gruppo dirigente nuovo era sotto tiro di continuità dei gruppi parlamentari a maggioranza renziani, e le varie componenti iniziarono un tira e molla che solo la presenza di un governo di destra 5stelle Lega, che aveva avviato una rapida agenda sovranista/populista, cementò il Pd facendolo apparire alle elezioni europee come unico baluardo contro l’onda giallonera.
Oggi quei nodi vengono tutti al pettine: la pandemia e prima ancora la svolta estiva di Grillo che ha imposto ai 5stelle di cambiare alleato (Papete come esempio di rozzezza ma non i decreti sicurezza o il populismo vendicativo) per non farsi trascinare nella deriva leghista, hanno determinato e successivamente tenuamente cementato l’alleanza Pd 5stelle con il Pd socio di minoranza passivo.
La vocazione istituzionalista ultima eredità, mal gestita, nel centenario del Pci, è diventata l’anima della tenuta democratica che, coniugata con il rigore di misure anti pandemiche, ha posto il Pd in una posizione decisiva ma timida nell’alleanza. Ricordo come tutta la parte di nuovo assetto istituzionale – la riduzione dei parlamentari, una nuova legge elettorale proporzionale – si sia risolta nel voto favorevole al referendum confermativo senza andare oltre, mentre la politica economica pandemica è stata un continuo compromesso tra elargizione di bonus a fondo perduto e promesse di riconversione innovative per il futuro, ampliando il differenziale di insoddisfazione del mondo del lavoro.
Insomma il ruolo di socio di minoranza è aumentato di peso a fronte di una tendenza dell’alleato a privilegiare spinte demagogiche, e l’aver posto la difesa della salute pubblica come base della politica emergenziale se ha accresciuto il ruolo del Pd ne è diventato l’unico tassello non impedendo con la fase della ripresa settembrina, che venisse travolto dalle tensioni sociali a cui non si è data una risposta efficace nel senso di selezionare i “ristori” e definire e avviare un piano organico di ripresa e riconversione produttiva.


Queste considerazioni sono alla base del momento politico aperto dalla crisi del Pd e riportate dal titolo dell’intervento di Nappi. E sono alla base dell’agenda politica nazionale e napoletana.
Cambiare pelle della sinistra è stato il tema di fondo degli interventi politici di tanti di noi durante questo primo anno pandemico, oggi penso che bisogna andare oltre.
“Potrebbe il circolo del Vomero avviare una campagna vaccinale indicando luoghi, mobilitando i medici di base, investendo la Municipalità nell’organizzare sul e per il territorio la vaccinazione, proponendo volontari per le assistenze e quanto altro un partito di sinistra può mettere in campo per i cittadini?
Magari sospendendo dibattitti autoreferenziali,
Buona settimana rossa…”
Scusatemi l’auto citazione: ho riportato un mio post nella pagina del circolo Pd di cui sono iscritto, un illusorio tentativo di promuovere se non altro un dibattito su qualcosa di reale, non ho avuto risposta, continuerò a dormire tranquillo ma alcune considerazione sulla sinistra a Napoli le voglio elencare.
Il Pd: in Campania e a Napoli vive di una vita riflessa, in Regione socio di minoranza di una coalizione di “unità regionalista” che si poggia sull’uso della spesa pubblica presente e futura giocata in continuità con la subalternità del Sud e quindi rivendicando spiccioli…. a Napoli vive di una maggioranza unitaria interna che ha di fatto messo in sordina le aspirazioni delle primarie del 2019 e il gruppo dirigente si è schierato su una linea di continuità con il centro del partito che ne ha tarpato le pur generose intenzioni iniziali, arrivando alla vigilia delle elezioni amministrative proponendo alleanze che andavano dai “costruttori” alla stessa Fi con il baricentro Pd/5s ad una pedissequa ortodossia attuale; tagliando fuori il dibattito che nel mondo largo della sinistra si è sviluppato sul post pandemia e che anima la città civile e democratica.
Proporre alle proprie articolazioni, i circoli, azioni sociali di promozione e inventiva per la campagna vaccinale forse sapeva troppo di passato e del colera del 1973, ma, si sa, oggi si vive nel presente e il presente è limitato se non guarda al futuro.
E vive nel presente anche quella sinistra che dal 1994 ad oggi è stata al governo della città di Napoli passando da Bassolino alla Iervolino e a De Magistris senza soluzione di continuità e senza apportare alcuna proposta innovativa di sviluppo se non arrancare dietro pulsioni neo populiste.
L’insieme di queste condizioni ha accentuato il tema della rappresentatività sociale della sinistra. L’impronta autoreferenziale della politica locale, specchio moltiplicatore della nazionale, ha accentuato il fossato tra politica e strati sociali sia del mondo lavorativo sia dei ceti medi sotto attacco pandemico, il mancato impegno a individuare le trasformazioni del mondo di produzione nel suo assetto neo liberista, a individuare obiettivi unificanti per superare la frammentazione imposta dalla prassi globalista, superando così le compatibilità predicate dal “neosocialismo di Blair”, sono i limiti della politica della sinistra italiana, sono il segnale di una “metamorfosi” del corpo di idee socialiste che si sono modellate sulla “travolgente” ideologia della fine della lotta di classe affermata dopo la dissoluzione dell’Urss senza neppure porsi il tema che quella dissoluzione fosse la vittoria dei ceti dominanti che dagli anni 70 del secolo scorso, hanno tenacemente perseguito scomponendo la struttura produttiva e praticando l’ideologia del lavoro produttore di reddito individuale e quindi tutti in concorrenza.


L’elenco delle cose da fare che propone Nappi sono il contenuto di una ricerca, tutta da compiere, politica di sinistra innovativa e non nostalgica, aggiungerei solo un tema: i Recovery fund nel mezzogiorno potrebbero essere utili a superare il divario tra le zone interne e la costa, di unificare il sistema di trasporti usando il criterio di parità di copertura di servizio per chilometro fra tutte le aree del Paese, le distanze di due tre cento chilometri al nord si coprono in massimo 3 ore al sud parliamo da 6 in su, tanto per avviare una riduzione delle emissioni, per favorire una mobilità lavorativa non penalizzante, tanto per mettere in condizione di parità di servizi per esempio tra un’azienda vinicola della Basilicata o Irpinia con una del Veneto o Friuli: servizi di trasporto verso i mercati pari e a costo unitario, progettare, coinvolgendo ceti sociali, un assetto territoriale che nell’integrazione e difesa ambientale sviluppi imprese produttive che impegnino risorse per un assetto sociale non uniformemente adagiato sul presente, ma sia esso stesso elemento di trasformazione inclusiva e di utilizzo della ricchezza prodotta per garantire a tutti pari opportunità, non un nuovo ascensore sociale, ma una trasformazione progressista dell’intero sistema Repubblicano.
Ricerca a cui si deve coniugare una prassi innovativa, Luciano Canfora nel suo scritto “Metamorfosi” pone nel capitolo conclusivo una riflessione dirimente: “la rottura comunista rispetto al ceppo socialdemocratico impantanato e compromesso nella guerra imperialistica del 1914-18 fu necessaria come la Riforma protestante fu per il cattolicesimo. Ma se si guarda con occhio non fazioso al secolo intercorso da allora, il bilancio è che la socialdemocrazia ha recepito non poche conquiste empiriche del comunismo fattosi realtà statale, mentre a sua volta il comunismo o è rifluito, di fatto dissolvendosi nell’alveo di partenza (il caso italiano è, in tal senso emblematico) o ha assunto forme aberranti…”. Da qui la ricerca di una nuova prassi politica a sinistra, che ponga la rappresentanza sociale dei nuovi ceti subordinati della produzione della ricchezza, come base unificante per la trasformazione degli assetti statuali sulla strada dell’inclusione di tutti, che superi la narrazione delle diseguaglianze con una pratica coerente di riduzione progressiva.
Oggi ci troviamo in un guado: la sponda continuista di convivenza subalterna con il neoliberismo è in crisi profonda e foriera dell’ affermazione politica di una destra populista e individualista, mentre un’altra sponda si profila, quella in cui la sinistra italiana ritrova la via di continuità con la sua storia di protagonista del rinnovamento sociale e economico post bellico, in cui seppe determinare condizioni statuali e di potere assicurando “benessere” e diritti all’insieme della società repubblicana.
Affrontare questo passaggio non sarà facile, gli ultimi sondaggi danno il Pd in caduta verticale relegandolo in una posizione marginale nel quadro istituzionale e in quello di una possibile alleanza con i 5stelle, le altre formazioni a sinistra rimangono, sia pur con qualche incremento minimo, in una posizione minoritaria.
Ritengo che la flessione nei sondaggi derivi proprio dall’assenza di quei materiali politici di cui in molti discutiamo, dalla visione, condivisa da una parte dei militanti ed elettori del Pd, di un Conte possibile continuatore dell’esperienza giallo rossa avviata dopo il Papete, ed è proprio questa visione politica di una sinistra debole incapace di essere se stessa che porta a costruire nuove suggestioni slegate dai temi strutturali della crisi ideologica: insomma non si esce dalla subalternità culturale e politica se non si cambia pelle.
La soluzione della crisi del Conte 2, voluta e perseguita da quella parte della sinistra che più tiene alla continuità di pungolo critico al neo liberismo, con la presidenza Draghi ha messo a nudo proprio tutte le contradizioni interne al Pd e bene ha fatto il Segretario a denunziarle ma incerto appare l’orizzonte verso cui si muove: o in breve si imbocca una via di rottura del rapporto economia politica, meglio se si afferma con prassi sociale e politica il primato della politica sulle oligarchie e sull’economia, oppure se si cerca un’intesa continuista magari tinteggiata da diritti vari.


A Napoli in questo quadro, si sta giocando uno scontro drammatico: le divisioni a sinistra sono profonde ma non strutturali, il tentativo della candidatura di Bassolino a sindaco della città potrebbe affrontare la complessità dei temi in campo, raccogliere tutte le forze di sinistra a patto che il tema sia la costruzione di un progetto praticabile di città politica che mobiliti ceti sociali su nuovi assetti produttivi, che unifichi i segmenti sociali subalterni (lavoratori dipendenti, precari, partite iva, imprenditori innovativi) che modelli una macchina amministrativa tesa a produrre funzionalità operativa ai piani di sviluppo. Attorno a un progetto cosi delineato si può costruire un senso di cittadinanza innovativo e inclusivo, si può porre a tutti i partiti di sinistra, in primo luogo il Pd, il tema di un cambiamento di pelle che traendo forza dalla sua storia centenaria la utilizzi per leggerla con gli occhi moderni che Gramsci usò per fondare quell’esperienza politica in contrasto con “la casa madre” ma realizzando sulle stesse convinzioni sociali una politica che ha dato dignità e rappresentanza sociale agli esclusi.

interventi precedenti:

25 febbraio Gianfranco Nappi https://www.infinitimondi.eu/2021/02/25/non-prendetevela-con-zingaretti-nel-giorno-dei-riders/

7 marzo Gianfranco Nappi https://www.infinitimondi.eu/2021/03/07/zingaretti-o-e-lannuncio-di-una-battaglia-o-e-una-resa-incondizionata/




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