Pubblichiamo questa interessante riflessione apparsa ieri nel Blog di Pietro Folena sull’Huffingtonpost.

https://www.huffingtonpost.it/entry/covid-la-variante-culturale-di-cui-nessuno-si-occupa_it_5ffb1abdc5b691806c4a1091?utm_hp_ref=it-blog

Oltre alle varianti del virus, si stanno configurando anche le varianti della lotta al virus. Sono stato ieri, per necessità urgenti, all’Ikea. Era una giornata “arancione”. Una folla grandissima, senza controllo e senza alcun contingentamento del numero dei presenti, si aggirava per questi spazi chiusi, poco areati. Questa è la dimostrazione plastica della “variante commerciale” della lotta al Covid-19. Intendiamoci: del tutto giusta per piccoli esercizi commerciali, e quando ancora la ristorazione funziona solo a singhiozzo, la mattina nelle giornate “gialle” e con l’asporto serale. Potremo forse, con più precisione, chiamarla variante della grande distribuzione. Guardavo la gente, e avvertivo che molti erano lì non tanto per comprare qualcosa, ma per uscire, per fare qualcosa. Qualcuno un giorno ci dirà quanti contagi si sono prodotti in questi non-luoghi di aggregazione popolare.

Vi è poi, tra le altre, la “variante culturale”. Essa contempla che i musei e le esposizioni, chiusi dai primi di novembre scorso, rimangano chiusi, anche dopo il 16 gennaio. E così i teatri, e tutte le attività di musica, di concerti, di danza, di spettacolo dal vivo. Solo le biblioteche, bontà del Governo, sono rimaste aperte. Tutto questo succede dopoché l’estate scorsa tutto il settore aveva investito per creare le condizioni, perfettamente realizzate, di distanziamento e di sicurezza. Ma la variante culturale, anche se non un caso di contagio da Covid-19 è stato segnalato come avvenuto negli spazi culturali, prevede che tutto rimanga chiuso, sine-die. Certamente: ci sono i ristori, che aiutano molti a sopravvivere, e magari abituano a assistenzialismo e mance. Ma sta morendo il settore, come dimostra la vicenda tristissima della Villa Reale di Monza, col privato che la gestiva che lascia e fa causa, e addirittura utenze staccate e gli arredi di Michele de Lucchi messi all’asta. E’ un caso limite, di una situazione che non ha bisogno solo di sostegno economico, ma di una politica che creda nella salvaguardia e nella valorizzazione dei beni culturali. I musei civici di Venezia hanno addirittura deciso la chiusura fino ad aprile. I lavoratori e le lavoratrici della cultura -spesso precari e intermittenti-, accanto a quelli del tursimo, pagano un prezzo altissimo. Molte associazioni, piccole società, realtà di territorio chiudono i battenti e non li riapriranno più.

Alla “variante culturale” va ascritto anche l’incredibile balletto sulle scuole, con annesse lacrime di coccodrillo sulla condizione adolescenziale all’epoca del lockdown. Il Governo decide (giustamente) la riapertura, salvo in modo ponziopilatesco affidare alle regioni la decisione. In Toscana le superiori torneranno domani in presenza, in Lazio no: qual è il criterio di queste scelte? Ho una figlia che va a scuola con la mascherina, in presenza alle medie, fanno lezione non solo in classe ma nel territorio, e non c’è stata alcuna emergenza pandemica. Un altro figlio che va al liceo a distanza, e che non vede l’ora -come giustamente ha segnalato la Ministra Azzolina-, finite le lezioni e lo studio individuale, di uscire con gli amici.

La cultura è stato finora l’ultimo dei problemi per chi deve decidere.

Si può chiedere in extremis al primo ministro Giuseppe Conte, e con lui al Ministro Dario Franceschini e alla Ministra Lucia Azzolina una resipiscenza? Perché non permettere l’apertura con numeri contingentati -se necessario più stretti rispetto a quelli dell’estate scorsa- dei musei, dei teatri e degli spazi culturali almeno nelle zone arancioni e gialle, dove il virus è meno forte, e solo per quegli spazi che rispettano rigorosamente il protocollo e se la sentono? E perché non procedere con coraggio sul ritorno della scuola in presenza, con la gradualità necessaria, per tutti?

La politica non può essere ottusa, e fare di tutte le erbe un fascio. Non fosse altro che per spingere le famiglie a passare qualche ora oltreché nell’affollatissimo centro commerciale anche in un museo, in un teatro, in uno spazio culturale. Per riportare le ragazze e i ragazzi nelle scuole, che sono luoghi di crescita collettiva.

Anche la cultura è vaccino. Battete un colpo, se ci siete.

Pietro Folena

Foto LaPresse/Nicolò Campo 18/4/2019 Torino (Italia) Cronaca Mostra ‘Giorgio De Chirico – Ritorno al futuro’ Nella foto: Pietro Folena Photo LaPresse/Nicolò Campo April 18, 2019 Turin (Italy) News Exhibition ‘Giorgio De Chirico – Back to the future’ In the picture: Pietro Folena

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1 commento

  1. Finita la retorica natalizia….il tutto sembra rivestirsi di nuove e gravi contraddizioni, di sconcertante nebulosità politica, di un aggravarsi di problemi di vita quotidiana (causati da mancanza di lavoro, più evidenti ingiustizie sociali e problematica situazione socio- sanitaria)di un moltiplicarsi di emergenze ambientali per scarsità di manutenzione e non solo, ecc….dato inconfutabile : sfiducia e maggiore distacco dalla politica, partecipazione sempre più pigra e ridotta e, immagino, molta rabbia repressa e, quindi, pericolosa … cosa fare? come ridurre un senso di impotenza credo sempre più diffuso? Deve diventare ancora più evidente “Si salvi chi può”?

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