Il Prof. Luigi Vassallo ci invia questa sua riflessione proposta alla Conferenza ‘Costituzione e democrazia’ di Finale Ligure lo scorso 22 aprile e che pubblichiamo davvero volentieri

30 Maggio 1924. Si riunisce, dopo le ultime elezioni, la Camera dei deputati del Regno d’Italia. Su 535 deputati 355 sono del Listone, cioè della Lista Nazionale promossa da Mussolini, nella quale sono confluiti con i fascisti esponenti della destra liberale e esponenti del Partito Popolare Italiano che hanno abbandonato don Luigi Sturzo, fondatore del loro Partito. Ai 355 deputati del Listone (che ha eletto tutti i suoi 356 candidati, meno uno che nel frattempo è morto) si aggiungono i 19 eletti in una lista fiancheggiatrice, messa in campo strumentalmente per sottrarre ulteriori voti ed eletti alle liste d’opposizione.

Alle opposizioni toccano: 39 eletti del Partito Popolare Italiano (la parte rimasta fedele a Sturzo), 22 del Partito Socialista Italiano, 21 del Partito Socialista Unitario, 19 del Partito Comunista d’Italia, 10 del Partito Democratico Sociale Italiano, 7 del Partito Repubblicano Italiano, il resto a liste minori, inclusi 4 eletti per le minoranze Slavi e Tedeschi. I fascisti e i loro fiancheggiatori, dunque, hanno una maggioranza schiacciante con 377 seggi su 535.

Questo risultato è frutto della legge elettorale con cui si è votato nel 1924, sostituendo alla legge elettorale su base proporzionale del 1919 una legge maggioritaria che assegna al partito, che a livello nazionale risulti il più votato con almeno il 25% dei voti validi, un premio di maggioranza pari ai 2/3 dei deputati da eleggere. La legge, fortemente voluta da Mussolini, viene citata come Legge Acerbo, dal nome di Giacomo Acerbo, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. La Camera dei deputati aveva approvato questa legge nel 1923 con 223 voti a favore (deputati fascisti, molti liberali, diversi popolari) e 123 voti contro (socialisti, comunisti, sinistra liberale e popolari ancora fedeli a don Sturzo) ed era stata confermata dal Regio Senato.

Con le elezioni del 1924 il Partito Nazionale fascista completava la sua marcia alla conquista delle istituzioni e si apprestava a modificare lo Statuto Albertino con leggi ordinarie, in forza della sua maggioranza, per trasformare il suo governo in regime dittatoriale.

9 novembre 1921. Era stato fondato a Roma il Partito Naionale Fascista a seguito della trasformazione in partito del Movimento dei Fasci di combattimento, nato a Milano, per impulso di Mussolini, il 23 marzo 1919 con un miscuglio di ideologie ribellistiche, in cui si ritrovavano socialisti, sindacalisti anarchici, ex combattenti della grande Guerra 1915-1918 (in particolare gli Arditi) e intellettuali futuristi. Alla prima prova elettorale nel 1919 il Movimento si presentò nel collegio di Milano con una lista capeggiata da Mussolini, Toscanini e Marinetti, ma non ottenne nessun eletto, mentre un successo significativo toccava al Partito Popolare e al Partito Socialista. Dopo questo insuccesso, il Movimento si caratterizzò sempre più per la scelta della violenza come strumento per la propria affermazione, violenza esercitata contro le organizzazioni sindacali cattolich e e socialiste e contro gli eletti del Partito Popolare e del Partito Socialista nelle amministrazioni locali.

Questa violenza era incoraggiata e finanziata dagli agrari che voleva, grazie ad essa, piegare la forza del movimento contadino, e in parte dagli industriali che intendevano tenere a freno le rivendicazioni del movimento operaio ed era tollerata da rappresentanti liberali delle istituzioni e dalla cerchia del re, che credevano di poter utilizzare la violenza fascista per impedire la crescita del socialismo in Italia e per prevenire una rivoluzione ad imitazione di quella sovietica che c’era stata in Russia.

Elezioni politiche del 1921. I Fasci di combattimento confluiscono con i liberali nel Blocco Nazionale ottenendo 35 eletti (tra cui Mussolini) sui 105 spettanti al Blocco Nazionale. Restavano ancora forti socialisti e popolari, i primi con 123 deputati, i secondi con 108.

Le violenze fasciste non s’arrestano.

28 ottobre 1922. La marcia su Roma, decisa da Mussolini come manifestazione della forza del movimento fascista, per indurre il re a conferire a lui l’incarico di capo del governo.

La mitologia propagandista del PNF conferì successivamente a questa marcia il valore di mito di fondazione del regime fascista, tacendo alcune verità:

  • che Mussolini non prese parte alla marcia, ma attese a Milano, pronto a fuggire in Svizzera nel caso di fallimento;
  • che il re rifiutò di firmare lo stato d’assedio che avrebbe consentito all’esercito di fermare la marcia fascista;
  • che piccoli nuclei di polizia o carabinieri bloccarono qua e là la marcia;
  • che a Roma i fascisti furono accolti dalla pioggia e respinti dalla resistenza operaia del quartiere San Lorenzo;
  • che Mussolini raggiunse i suoi seguaci a Roma solo dopo che il re gli aveva conferito l’incarico di formare un nuovo governo;
  • che i fascisti sfilarono sotto il palco reale non per imporre al re di conferire l’incarico a Mussolini ma per festeggiare l’incarico che era già stato conferito.

1923. Il PNF si fonde con l’Associazione Nazionalista Italiana e si avvia a diventare il partito unico del Regno d’Italia attraverso un uso spregiudicato da parte di Mussolini delle possibilità che la legge consentiva a chi vincesse le elezioni.

Il discorso di Giacomo Matteotti.

Il 30 maggio 1924 prende la parola nella Camera dei deputati il segretario del Partito Socialista Unitario, per contestare la legittimità della vittoria della maggioranza e la validità delle elezioni stesse. Il suo nome è Giacomo Matteotti.

Matteotti era nato a Fratta Polesine il 22 maggio 1885, secondogenito di sette fratelli, di cui quattro morti in tenera età e altri due in giovane età di tisi.

Laureato in Giurisprudenza, Giacomo si impegnò nel Partito Socialista sull’esempio del padre, che era stato consigliere comunale socialista. Durante la Grande Guerra sostenne una decisa neutralità antimilitarista che gli costò tre anni di confino nella lontana Sicilia, in una zona montuosa presso Messina.

Eletto deputato nel Partito Socialista nel 1919, fu rieletto nel 1921 e poi nel 1924 (stavolta nel Partito Socialista Unitario). Nel 1920 fu nominato segretario della Camera del Lavoro di Ferrara. Nell’ottobre 1922 divenne il primo segretario del nuovo Partito Socialista Unitario, nato a seguito dell’espulsione dell’ala riformista di Turati dal Partito Socialista Italiano.

Nel Partito Socialista Italiano Matteotti e Mussolini si erano ben conosciuti, anche se Matteotti apparteneva alla corrente riformista e Mussolini a quella massimalista. Entrambi romagnoli, entrambi giornalisti, Mussolini addirittura direttore del quotidiano socialista L’Avanti. Lo scoppio della Grande Guerra li divise ancora di più: Matteotti antimilitarista, Mussolini interventista e per questo espulso dal Partito Socialista.

Il 30 maggio 1924, dunque, nel suo coraggioso intervento, interrotto da frequenti schiamazzi dei deputati fascisti e loro alleati e applaudito solo dall’opposizione, Matteotti sintetizza le ragioni del ripudio del fascismo e dell’ideale di uomo politico espresso da Mussolini.

Matteotti contesta la legittimità della vittoria elettorale di fascisti e alleati, denunciando il clima di violenze e intimidazioni in cui si sono svolte le elezioni e documentando diversi casi di intimidazione degli elettori ai seggi e di impedimento a parlare di candidati dell’opposizione.

Denuncia ancora che, per ammissione di fascisti stessi, una milizia di parte vigilava sulle elezioni ed era pronta a ribaltarne con la forza il risultato se questo non fosse stato favorevole ai candidati fascisti.

Si dice che, al termine del suo discorso, Matteotti, consapevole di aver sferrato un duro attacco alle ambizioni di Mussolini, si rivolgesse ai suoi sostenitori con queste parole: “Ed ora potete preparare il mio elogio funebre”.

Del resto, quanto denunciato il 30 maggio 1924 Matteotti lo aveva già detto nel 1921, quando aveva pubblicato un’inchiesta socialista sulle violenza fasciste, che indicava non come occasionali ma come strutturali e caratterizzanti di quel movimento.

Assassinio di Matteotti.

10 giugno 1924, Giacomo Matteotti viene rapito da una squadra fascista guidata da Ambrogio Dunini. Il suo corpo, martoriato, viene ritrovato sepolto alla bella e buona in un bosco il 16 agosto dello stesso anno.

La maggioranza dell’opinione pubblica sospetta subito un coinvolgimento di Mussolini nell’omicidio. Anche da ambienti fascisti si tenta di scaricare ogni responsabilità su Mussolini, il quale, a sua volta, cerca di scaricare le responsabilità su alcuni funzionari. Alcuni studiosi sospettano che l’omicidio di Matteotti sia legato, più che al suo discorso politico del 30 maggio, al fatto che egli stava per denunciare una truffa petrolifera in cui era coinvolto un fratello di Mussolini. Altri pensano addirittura a un’azione orchestrata da una fronda fascista ai danni di Mussolini, perché si temeva che stesse tentando un avvicinamento con i socialisti.

Velia, la moglie di Matteotti, rifiutò qualsiasi tentativo di Mussolini di accreditarsi come uno che aveva a cuore il destino di Matteotti e si presentò all’incontro chiesto da Mussolini vestita da vedova reclamando solo il cadavere di suo marito e chiedendo che nessun milite fascista comparisse davanti a lei durante il trasporto della salma da Roma a Fratta Polesine.

Nel processo, che, ad ogni modo, non poté essere evitato, scartati tutti i filoni di indagine che, attraverso funzionari fascisti, potevano condurre a Mussolini, Dunini e altri furono condannati per omicidio preterintenzionale a poco più di 5 anni di carcere. La difesa degli imputati, affidata a Farinacci che era allora segretario del PNF, fu giudicata da Mussolini troppo calorosa e, per questo, Farinacci dovette dimettersi da segretario del PNF.

Solo nel 1944 la Corte di Cassazione annullò la sentenza e condannò Dunini e gli altri all’ergastolo, poi commutato in 30 anni di carcere.

Mussolini uscì dalla vicenda con una decisione del Regio Senato, che il 26 giugno 1924, con 225 voti a favore su 252, lo ritenne estraneo all’omicidio e gli confermò la fiducia come capo del governo. Il giorno dopo, 27 giugno, i parlamentari dell’opposizione si riunirono in una sala di Montecitorio, nota oggi come “Sala dell’Aventino”, dichiarando che avrebbero abbandonato i lavori parlamentari fino a quando il governo non avesse chiarito la sua posizione sul delitto Matteotti.

3 giugno 1925. Mussolini, forte del fatto che la reazione morale contro il delitto Matteotti non aveva avuto conseguenze istituzionali (ad esempio il re era rimasto in silenzio), pronuncia un duro discorso che preannuncia la trasformazione del suo governo in regime dittatoriale. Tra l’altro afferma:

  • L’opposizione dell’Aventino si è illusa. Il Fascismo è in piena efficienza.
  • Il Governo è abbastanza forte per stroncare definitivamente la sedizione dell’Aventino.
  • L’Italia vuole la pace: se possibile, il Fascismo gliela darà con l’amore, altrimenti, se sarà necessario, con la forza.
  • Io dichiaro (…) che assumo (io solo!) la responsabilità (politica! morale! storica!) di tutto quanto è avvenuto (…) Se il Fascismo non è stato che olio di ricino e manganello e non invece una superba passione della migliore gioventù italiana, a me la colpa! Se il Fascismo è stato un’associazione a delinquere, a me la responsabilità di questo, perché questo clima storico, politico e morale io l’ho creato.

Il regime fascista

1925 – 1928. Con leggi ordinarie il Parlamento stravolge lo statuto Albertino:

  • Il Capo del Governo non è più primus inter pares, ma i ministri sono a lui subordinati. Non è responsabile di fronte al Parlamento, ma solo di fronte al re.
  • Il Governo può emanare decreti legge immediatamente esecutivi senza nessun intervento del Parlamento.
  • Viene abolita l’elezione delle amministrazioni comunali e provinciali. Il Governo, al posto di sindaci e presidenti della provincia eletti, nomina funzionari, i podestà.
  • Ogni giornale deve avere un direttore responsabile che deve essere gradito al governo. Senza direttore responsabile il giornale non può uscire.
  • Lo sciopero è proibito. Solo i sindacati fascisti possono stipulare contratti collettivi di lavoro.
  • Viene istituito un Tribunale speciale per la difesa dello Stato per i reati contro la sicurezza dello Stato, che possono essere puniti anche con la morte.
  • I prefetti devono sciogliere tutti i partiti antifascisti. I deputati dell’Aventino vengono dichiarati decaduti e perdono l’immunità, quindi possono essere arrestati. Lo stesso trattamento viene riservato ai deputati comunisti, anche se non hanno aderito all’Aventino, perché sono colpevoli di aver condiviso le accuse di Matteotti sulla illegittimità delle elezioni del 1924.
  • Il Gran Consiglio del Fascismo diviene la suprema autorità costituzionale del Regno d’Italia.
  • Viene modificata la legge elettorale per la Camera dei deputati: si prevede la presentazione di un’unica lista nazionale di 400 candidati, scelti dal Gran Consiglio del Fascismo; gli elettori sono chiamati ad approvare in blocco questa lista.

1939. Non si vota più. Viene soppressa la Camera dei deputati e viene sostituita con la Camera dei fasci e delle corporazioni, nominata dal Gran Consiglio Fascista e dalle corporazioni fasciste.

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Inoltre.

  • Confino di polizia per gli antifascisti, deciso senza passare per un tribunale.
  • Istituzione di una polizia segreta (OVRA) e della Milizia Volontari per la Sicurezza Nazionale (MVSN).
  • Obbligo per gli insegnanti di iscrizione al PNF.
  • Libro di testo unificato nelle scuole e approvato dal Ministero della cultura popolare.
  • Militarizzazione di ragazzi e giovani con costituzione nelle scuole di squadre di “aspiranti combattenti per il duce”, a seconda dell’età.
  • Obbligo di giuramento di fedeltà al fascismo per i docenti universitari.
  • Repressione delle minoranze linguistiche.
  • Leggi antiebraiche (1938).
  • Dichiarazione di guerra (10 giugno 1940).

L’opposizione al fascismo prima dell’8 settembre 1943

  • Il Codice Rocco stabilisce che l’antifascismo è reato e che la pena può arrivare fino alla morte. La repressione di questo reato è affidata all’OVRA, alla MVSN, alla Polizia e ai Carabinieri. La repressione darà intensificata con la costituzione della Repubblica Sociale Italiana nel 1943.
  • La repressione dell’antifascismo si avvale di un controllo del territorio tramite ras fascisti locali, infiltrati nei gruppi di opposizione, cooptazione di informatori, monitoraggio della corrispondenza. Il postino Luigi Maresca viene licenziato nel 1928 per aver scritto una lettera d’ammirazione a Nitti.
  • Anche il dissenso in materia economica non viene tollerato. Nel 1931 l’industriale Riccardo Gualino viene inviato al confino a Lipari per 5 anni per aver criticato la politica del Governo di quota 90. Nel suo caso la scusa per il confino è che aveva leso l’onore dell’Italia con una bancarotta con una banca francese.
  • L’opposizione ha diversi colori politici. Nel 1925-1926 molti leader scelgono l’esilio. Ad esempio Francesco Saverio Nitti, Gaetano Salvemini, don Luigi Sturzo, Piero Gobetti (che muore a Parigi per le bastonate ricevute a Torino dai fascisti), Giuseppe Donati, Filippo Turati, Arturo Labriola. Altri, come Antonio Gramsci, finiscono in carcere.
  • In alcuni territori agiscono contro i fascisti gli Arditi del Popolo, che già avevano difeso nel 1921 le sedi di sindacati e partiti antifascisti.
  • Alcuni leader vengono uccisi all’estero: ad esempio nel 1937 Carlo e Nello Rosselli, reduci dalla guerra civile in Spagna.
  • Occasionali manifestazioni contro il governo fascista, represse con arresti, si hanno nel 1937 per un diffuso malcontento tra operai, tranvieri e anche militari per la guerra voluta da Mussolini in Spagna al fianco di Franco contro la Repubblica spagnola.
  • Un tentativo di costruire una strategia comune tra i gruppi di opposizione si ha nel 1927 a Parigi con la Concentrazione Antifascista, ma le divisioni tra le varie organizzazioni non spariranno.

La Resistenza dopo l’8 settembre 1943.

Una nuova sovranità popolare: la Costituzione proclamerà che la sovranità appartiene al popolo. Non a un sovrano, non a un dittatore e nemmeno a un governo eletto democraticamente. La sovranità appartiene al popolo che la esercita attraverso le istituzioni democratiche (in particolare Parlamento e Governo), che conservano la loro legittimità solo se agiscono in nome e per conto della sovranità popolare e non in nome e per conto di del proprio elettorato o di una parte del popolo. Sta tutta qua la differenza tra COMANDARE e GOVERNARE.

Un movimento corale: militari e carabinieri; bande di partigiani; donne; operai; sacerdoti, suore e ministri di altri culti; cittadini qualsiasi; città; disertori tedeschi; eroi bambini.

Un movimento plurale: idee comuniste, socialiste, azioniste, democristiane, liberali, repubblicane, monarchiche, autonome, anarchiche. Hano un unico collante: il rifiuto definitivo e radicale di tutti i fascismi.

Il 25 aprile 1945 la Resistenza consegna alla storia la condanna definitiva del fascismo e riversa nella Costituzione il suo testamento per le generazioni future.

Aveva detto Giacomo Matteotti: Uccidete pure me, ma l’idea che è in me non l’ucciderete mai.

Giacomo Matteotti aveva avuto ragione.

Luigi Vassallo

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