Gli artisti sono persone guidate dalla tensione tra il desiderio di comunicare e il desiderio di nascondersi.
Donald Winnicott


L’arte è una specie di impulso innato che cattura l’essere umano e lo trasforma nel suo stesso strumento. Per svolgere questo difficile compito gli è a volte necessario sacrificare la felicità e qualunque cosa che renda la vita degna di essere vissuta per l’uomo comune.
C. G. Jung


Non senti in loro come una vittoria? | la forza di chi torna | da un altro mondo e canta | la visione. L’aver visto qualcosa | che trasforma | per vicinanza, per adesione a una legge | che si impara cantando, si impara profumando.
M. Gualtieri



Nel dibattito sempre aperto in psicoanalisi sulla presunta patologia dell’artista, ritroviamo l’ipotesi per cui l’artista sarebbe un individuo ammalatosi per mancanza di apporti narcisistici nel corso della sua infanzia, ma che abbia anche la capacità di colmare i suoi deficit, in maniera autonoma. Secondo Meltzer, il bambino nell’affacciarsi al mondo, sbalordito per la bellezza di tutto ciò che appare è portato a domandarsi sé è altrettanto bello “dentro”. A questo punto avrebbe inizio quello che Melzer chiama conflitto estetico, tra la bellezza esteriore dell’oggetto che colpisce i sensi e il mistero della sua natura più intima. Se il bambino tollera questo conflitto e riesce a restare nell’incertezza, dotato cioè di quella che Bion, citando Keats, chiama “capacità negativa”, inizierà quell’attività di ricerca ed elaborazione di simboli per pensare. 1
Altri autori nella loro analisi della creatività presuppongono che siano rintracciabili diversi tipi di patologia a cui corrisponde una particolare modalità creativa, senza per questo presupporre che l’individuo creativo sia malato. Al contrario, possiamo pensare che così come è possibile riscontrare varie tipologie nell’universo umano, cosi è possibile ritrovarle negli artisti.
Quella schizoide, in particolare, sembra possa rispondere ad alcune caratteristiche del fenomeno creativo. II carattere schizoide, infatti, si fonda sul distacco e l’isolamento emotivo, per cui la creatività nel suo aspetto di attività solitaria, risponderebbe all’esigenza di questi individui di evitare il contatto diretto con gli altri. Possono inoltre, mantenere una fantasia di onnipotenza che agisce sul sentimento opposto di sfiducia di cui sono vittime tali personalità. Essi si sentono in balia degli altri, in quanto hanno sperimentato un cattivo rapporto con la dipendenza, si sono sentiti indifesi rispetto al mondo degli adulti, vissuto come incomprensibile. Un esempio è ben espresso nell’universo Kafkiano, in cui l’uomo e schiacciato dall’assurdità del mondo. Quindi, l’attività creativa può riflettere per lo “schizoide” un suo proprio schema di valori, in cui risalta la realtà interna, rispetto al mondo esterno, che può essere stato sperimentato come caotico per una mancanza di corrispondenza tra realtà esterna e il mondo dei propri bisogni. Ciò risponde anche all’accezione junghiana di introversione, come una tendenza costituzionale della libido verso il proprio mondo interiore, rispetto all’estroversione come modalità della libido a investire fuori, negli oggetti del mondo. L’introversione sembra effettivamente, trovarsi più spesso nelle personalità degli artisti.
La psicologia analitica ha un modo proprio di considerare il fenomeno creativo, in quanto vede nel disagio psichico, non un ostacolo, ma la contrario un’apertura. In questa costellazione psichica, l’ azione dei complessi autonomi che presuppone una non unitarietà della psiche, spinge alla ricerca di integrazione attraverso il collegamento dei fattori personali con i contenuti archetipici che sono la fonte della creatività.


Secondo Neumann, nell’infanzia, o anche nella vita adulta dell’artista, si riscontra un certo carattere morboso, in quanto egli è soggetto ad una forte tensione psichica, che è causa di sofferenza, ma allo stesso tempo costituisce un modo peculiare di essere, e di sentire. Questo tratto mantiene questa personalità aperta di fronte ad un mondo che presentandosi come realtà unitaria, è più forte e la domina.
Nell’esperienza infantile il personale e legato al transpersonale, con lo sviluppo della coscienza, e mediante le relazioni personali con l’ambiente, avviene la progressiva eliminazione dei condizionamenti archetipici della psiche infantile, e il trasferimento su canoni della relativa cultura. L’uomo creativo invece, non abbandona mai le grandi immagini archetipiche, egli è soggetto a tutte le tendenze e agli sviluppi dell’uomo normale, tuttavia il suo sviluppo si incontra con un particolare destino individuale, che non permette l’adattamento, la sua giovinezza e spesso atipica perché il conflitto con l’ambiente è precoce e intenso, tanto da far pensare ad un comportamento morboso.
In contrasto infatti, con le istanze dei canoni culturali, l’uomo creativo si mantiene fedele al mondo archetipico e alla sua totalità, il Sé.
Questa costellazione può in un primo tempo apparire, sotto la forma di fissazione all’ambiente infantile. Questa sensibilità dell’uomo creativo invece, non permette una identificazione unilaterale con il proprio sesso che è fonte di adattamento, ma mantiene una fedeltà verso il proprio Sé, e con la sua originaria ambivalenza sessuale.
Nell’uomo questo si presenta come una tendenza ad essere più femminile, in cui l’elemento dominante e l’archetipo materno, il quale si combina con l’imago della madre, ossia1’immagine soggettiva tratta dall’esperienza reale.
In presenza di un disturbo di tale rapporto, si arriva alla nevrosi e alla fissazione a questa fase, dove evidentemente non poté realizzarsi pienamente ciò che è necessario ad un normale sviluppo.
Quando però, la figura archetipica materna resta dominante, senza che l’individuo si ammali, si crea una delle costellazioni fondamentali del processo creativo. Poiché dove domina l’immagine della madre transpersonale, domina anche la totalità del mondo archetipico, come fondamento originario da cui si sviluppa la coscienza, l’lo è allora costretto ad imboccare la via archetipica dell’eroe, cioè uccisione del padre, detronizzazione del mondo convenzionale, ricerca di una istanza che lo diriga oscuramente verso il Sé, ossia il proprio personale destino.


Una analisi riduttiva, può trovare in ciò il “romanzo familiare”, cioè fissazione alla madre, parricidio e narcisismo. II narcisismo in realtà può essere letto come un perseverare in un rapporto con sé stessi, contrapposto all’amore oggettuale, condizione indispensabile e non superabile dell’uomo creativo.
Quindi, se il presupposto della creatività e l’autoguarigione attraverso il superamento della psiche scissa nei suoi contenuti autonomi, possiamo anche introdurre il concetto di trasformazione, che abbraccia la personalità dell’artista, e anche il canone collettivo in cui egli si situa.
Neumann vede il significato profondo della creatività nella connessione dialettica tra inconscio collettivo e canone culturale, mediata dall’opera dell’artista.
L’artista è colui che annuncia consapevolmente o meno, le trasformazioni prossime della cultura, esponendosi a suo rischio alle spinte delle forze dell’inconscio.
La funzione della creatività sarebbe proprio nella possibilità di una trasformazione rigeneratrice del canone culturale patriarcale. Al processo creativo è legato cioè, l’emergere continuo della coscienza della matrice inconscia, sia a livello individuale, poiché la forza creatrice vive e cresce nell’uomo, come un albero cresce nel suolo da cui assorbe il suo nutrimento. È quindi giusto considerare il processo della formazione creatrice come un essere vivente piantato nell’animo dell’uomo. 2 Jung con questa bella immagine, intende definire il processo creativo come un complesso autonomo, un’anima parziale dissociata, che ha vita psichica propria, al di fuori della coscienza, con un valore energetico che provoca un profondo turbamento, ponendo l’Io al suo servizio, ne fa un suo strumento.
Essa ha una forza tirannica, è un daimon, direbbe Hillman, che non tiene conto del benessere della personalità che lo ospita. Con complesso autonomo si intende una struttura che ha carattere inconscio, e se attraversa la soglia della coscienza, può irrompere in essa; ciò significa che il complesso è indipendente dal volere della coscienza, ed ha la stessa dinamica dei processi patologici, in quanto sono allo stesso modo dominati dalla irruzione dei complessi autonomi. II complesso autonomo si attiva quando una regione della psiche prima inconscia, si carica di energia e cresce attirando a sé tutte le associazioni affini. L’energia, quindi, viene sottratta alla coscienza a favore del complesso, provocando un abbassamento del livello mentale che può giungere fino alla dissociazione della personalità. Tale passaggio e rischioso perché l’Io può essere travolto dai contenuti dell’inconscio che esercitano un potere sopraffacente e distruttivo, a meno che esso non sia vissuto come confronto dialettico tra la coscienza e l’inconscio, ponendo davanti a sé tali contenuti e differenziando questi dalla coscienza.
Un chiaro esempio, lo si può riscontrare nella biografia e nella poesia di Emily Dickinson, in cui tale urto fu violentissimo, una vera e propria scissione della personalità.

Sentii un funerale nel cervello/ gente nero vestita/ Andava avanti eindietro, fino a che, N’ebbi fiaccato i sensi/ e quando tutti furono seduti, un rito seguito/ come un tamburo/ A rullare fino a che/ N’ebbi torbida la mente.
Poi li sentii alzare una cassa/ e stridermi nell’anima, di nuovo/ con quelle stesse scarpe, di piombo/ Lo spazio comincio a sonare a tocchi/ come se i cieli fossero una sola/campana, e solo orecchio fosse l’ESSERE.
Io ed il silenzio/ personaggi strani/ naufraghi soli, qui/ Poi un asse del cervello si spezzo/ e giù precipitai/ Urtai contro un mondo ad ogni tuffo/ Poi non seppi più nulla
“. 3

L’opera d’arte rappresenta la forma più elevata dell’esigenza umana di trasformare il rapporto con l’ignoto.


Per Jung sappiamo, il Poeta è un visionario che esprime e interpreta lo spirito del tempo e non ha nessuna relazione con la sua storia personale, egli è un essere duale che patisce il demone interiore che lo spinge oltre la sua stessa felicità a portare alla luce ciò che resterebbe sommerso.
L’assunto da cui Jung muove è che l’arte rappresenta, al di là delle distinzioni di luogo e di tempo, un processo di autoregolazione spirituale, paragonabile all’attività compensatrice che l’inconscio esercita nei confronti della coscienza, per correggerne soprattutto l’unilateralità. Si tratta, dunque, di una visione dell’arte sul piano collettivo, più che individuale. L’opera d’arte è, infatti, l’esito d’un processo inconscio che scaturisce da profondità altrimenti insondabili, e acquista plasticità e bellezza attraverso le immagini simboliche.
Jung struttura quindi, una riflessione sull’arte che penetra la personalità creativa dell’artista, lo riconosce come portatore d’un disagio e d’una incapacità di adattamento, ma anche come colui capace di attingere alle risorse primordiali dell’umanità e di presentare la possibilità di un superamento della condizione esistenziale di sofferenza.

Cinzia Caputo

1 Vedi Cinzia Caputo, Il Labirinto Delle Parole, Ed.Terra d’ulivi, Lecce

2 C.G. Jung, Psicologia analitica e arte poetica,p.4

3 Dickinson E.  Poesie e Lettere, p. 477




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