Fin dal titolo si presenta impegnativo e ambizioso questo lavoro di Aldo Schiavone: Sinistra! Un manifesto. Einaudi 2023. E il testo si presenta all’altezza della premessa con una parte convincente di analisi ed una meno di proposta che in ogni caso mantiene più di un profilo di interesse.
Il punto di partenza, del tutto condivisibile, di Schiavone è che “la sinistra non può vivere senza nuovo pensiero“. Anzi, per essere più precisi ancora: ” Non c’è sinistra senza pensiero critico. Non c’è sinistra senza mettere in discussione l’ordine del presente“.


E la sinistra, da troppo tempo ha smesso di pensare e di pensare criticamente sostiene Schiavone.
Ad un pensiero forte quindi occorre tornare per animare una dimensione politica che ritrovi nell’Europa e in una soggettività politica compiutamente europea lo strumento di iniziativa. Molto condivisibile questa idea. Del resto, l’Europa si farà per davvero se emergerà un popolo europeo, capace di darsi suoi strumenti per pesare e contare in questa dimensione. Ed è questo un impegno che né i partiti e né i sindacati hanno ancora tentato.
Di cosa ci parla questo presente da mettere in discussione?
Siamo di fronte ad un carattere dirompente del presente, ad una
nuova epoca.
La trasformazione in atto …ha … fatto scomparire il contesto sociale e culturale in cui avevano vissuto i partiti progressisti fino ad allora in Occidente: e niente potrà mai restituircelo. Perché con l’età del lavoro finiva anche l’età della lotta di classe.
E ancora:
Il capitale ha vinto la sua battaglia…trasformandosi…ha letteralmente dissolto il suo antagonista…
Sempre più pochi che decidono per masse sempre più estese , anzi per l’intera specie. Privatezza capitalistica da un lato; spinta fino al suo estremo; universalità della vita dall’altro. Ma fino a quando?

Il cambiamento intervenuto quindi nel capitalismo però
non altera allora il suo carattere fondamentale, la produzione privata della ricchezza a scopo di profitto: una permanenza decisiva, che connota l’intero sistema
E nei suoi confronti bisogna…
riuscire ad avere tutti gli elementi indispensabili per intervenire chirurgicamente su di esso, anche in modo deciso attraverso la politica….

E in questo processo
Il lavoro ha perduto drammaticamente centralità.
Per la sinistra allora
L’unico modo per continuare a vivere sarebbe stato riuscire in un’operazione…staccare definitivamente la sinistra da qualunque idea di socialismo e di conseguenza staccare l’idea di eguaglianza…da quella del lavoro.
Ma la sinistra questo cordone ombelicale con il socialismo in Italia ed in Europa non l’ha mai voluto staccare e da qui la sua crisi.
Quello che deve contraddistinguere la sinistra, non l’idea di uguaglianza legata al lavoro che è superata, deve essere ma
L’emancipazione dell’umano, di tutto l’umano, non il socialismo: che è stato solo un mezzo per raggiungere quell’obiettivo, ma non il fine, anche se spesso le due cose si sono confuse. E oggi proprio quella meta è diventata realistica come non mai prima, grazie all’aumento vertiginoso di potenza che la rivoluzione tecnologica sta mettendo a nostra disposizione .
E quindi
La realizzazione integrale dell’umano come espressione di un punto di vista esterno al capitalismo e alle sue logiche. Un punto di vista…senza un particolare soggetto sociale di riferimento…perché quel punto di vista corrisponde a un carattere presente nell’impersonalità dell’umano: riflette un’attitudine che è nello stesso tempo storica …ma anche universale
Qui c’è davvero il compimento del cammino della sinistra, dalla Rivoluzione francese in poi; non nella lotta di classe, né tantomeno nel socialismo. Qui c’è l’occasione di risorgere dalle proprie ceneri, quando tutto sembrava perduto. Perché, nel pieno riconoscimento – politico, etico, giuridico – del ‘comune umano’ come soggetto globale c’0è la sola prospettiva di salvezza per l’intero pianeta. Mentre è la sua negazione totale che ha portato direttamente allo Sterminio.


Non c’è dubbio che un’impostazione complessiva del genere rappresenta un terreno fecondo di confronto e discussione: spinge anche nella distanza di punti di vista sostanziali – e per quelli che vedo io ora cercherò di argomentare – ad un dibattito elevato. Devo dire che a mio parere se già il PD riuscisse a porsi su questo terreno ne guadagnerebbe tutto lo schieramento democratico e progressista.


***
La prima obiezione di fondo che invece io muovo al ragionamento di Schiavone è che tutto si può addebitare alla principale forza erede della storia della sinistra novecentesca nel nostro paese, obtorto collo il PD, tranne il non avere reciso ogni cordone ombelicale possibile con il socialismo e la sua storia. Anzi a dire il vero, il PD, nella sua impostazione teorico-politica ( Veltroni-Lingotto), e nella sua costituzione materiale di oggi è tutto tranne che riconducibile alla storia del movimento operaio.
Se, come sostiene Schiavone, bisogna saltare la rivoluzione del ’17, oltre alla I e II Internazionale, per ricongiungersi al ‘700 della rivoluzione francese, mi pare difficile che i fondamenti del futuro si possano ritrovare andando così indietro indietro. Ecco in questo mi sembra leggere molto echi dell’Occhetto della Svolta del 1991.
Ora sia che il PD sia da considerarsi una evoluzione più o meno naturale della Bolognina – cosa che Occhetto contesta -, sia che, con lui, si possa considerare la realtà del PD attuale come una deviazione da quel cammino, rimane il fatto che entrambe le due ipotesi si sono pensate e si sono mosse esattamente laddove invece Schiavone imputa loro di non essere state: cioè fuori dall’orbita del socialismo.
Questo a me appare un dato incontrovertibile e assumerlo forse può aiutarci a ragionare su un elemento diverso della realtà storico-politica degli ultimi 30 anni: e cioè che l’unica cosa che la sinistra non ha provato, con idee e forze sufficienti, dopo quell’89 che certo ha segnato la sconfitta dalle proporzioni che Schiavone ben tratteggia, è stato investire appunto energie e forze in uno sforzo senza precedenti di pensiero e di azione e di nuova organizzazione per porre il tema della trasformazione all’altezza del successo del capitalismo, senza rinunciare a delineare una critica radicale e generale.

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Veniamo invece a qualche nodo di contenuto del ragionamento di Schiavone.
Il piano che lui prospetta, di una umanità che finalmente valorizzi un umano impersonale e universale faccio difficoltà a vederlo realizzato in presenza di quella logica del capitale dominante a cui pure fa riferimento e nei confronti della quale immagina solo interventi migliorativi chirurgici.
Ovvero, mi pare difficile recuperare quella dimensione di umanesimo impersonale senza mettere in discussione non questo o quell’aspetto del capitalismo contemporaneo ma il suo stesso paradigma costitutivo. Come si incrina quel potere enorme che esso presenta immaginando solo ‘operazioni chirurgiche’ di riforma?
Se si assume questo dato, e cioè che nei suoi confronti sono immaginabili solo interventi chirurgici puntuali, nei fatti si assume il dato del capitalismo come sostanzialmente immodificabile, non oltrepassabile verso un assetto della società che non sia più fondato su mercato, produttivismo, profitto, estrazione di ricchezza, riduzione di tutto e tutte e tutti a cosa.
Mentre da un lato si afferma, come giustamente fa Schiavone, che il capitalismo è una costruzione storica, sociale e non naturale, oggettiva e, quindi, non è il capolinea della storia, è essa stessa transeunte, dall’altro, rinviando ogni ipotesi di assetto diverso ad un futuro nebuloso e imprecisato, e comunque del tutto inattuale, si sta confermando invece che se non siamo alla fine della storia poco ci manca.
Senza un pensiero altro – per il quale si può ben convenire con Schiavone che c’è una teoria tutta da scrivere – senza un movimento sociale, politico e culturale che lo sorregga da dove può venire la forza per conquistare quell’umanesimo integrale e quella anche nuova concezione dell’uguaglianza che l’autore pone al centro dell’obiettivo del suo Manifesto? Cosa è questo approdo, il risultato di un autoconvincimento di massa? Una concessione da parte di coloro che oggi stringono nelle proprie mani una concentrazione di potere e di ricchezza inusitati e senza precedenti nella storia dell’umanità?


E’ evidente che quello, l’affermazione di umanesimo integrale e uguaglianza, può essere solo il frutto di una visione, di una progettualità non calata dall’alto, non trascendente la realtà, non risultato di una modellistica sociale predeterminata – e qui ha certo ragione Schiavone a porre a critica serrata tutte le vulgate dogmatiche e ossificate del marxismo e di una lettura sbagliata di Marx – ma altrettanto sicuramente può essere solo il frutto di una lotta, di uno scontro, di un conflitto tra forze sociali diverse, contrapposte negli interessi. Di una organizzazione, ecco la politica ed ecco il bisogno rinnovato di sinistra, che – in modo nuovo quanto a concezione della pratica politica e delle sue forme che certo non possono non essere lontane da quelle novecentesche- faccia comunità, sviluppi legami, faccia popolo, alimenti coscienza di se’.
Insomma, l’umanesimo nuovo potrà essere solo il risultato di un conflitto, altrimenti diventa aspirazione etica, condivisibile, ma che difficilmente muove persone e cose verso un altro destino.

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Ecco il bisogno di un pensiero e di un’azione integralmente critici. C’è poco da fare. E’ solo se c’è questo, e si acquisisce forza su questo terreno che poi si aprono spazi, varchi per riforme e riformismo se si vuole che ridiventano perfino praticabili.
Schiavone fa riferimento in punti nodali del suo ragionamento ad una umanità che ha raggiunto, in virtù dello sviluppo della scienza, della tecnica e della tecnologia, un livello di unificazione senza precedenti . Grazie alle tecnologie digitali siamo in presenza di una diffusione intensissima di informazioni e conoscenze, il mondo si è rimpicciolito. Siamo entrati in una nuova epoca nella quale finalmente una umanità unificata e accomunata può diventare padrona del proprio futuro. Ed è in questo che Schiavone assegna il senso e il ruolo per una sinistra che voglia riprendere una sua sintonia con la storia e con i bisogni della società.
Sull’intensità di questo cambiamento, sulla sua portata, Schiavone scrive pagine molto efficaci ed intense.
Una sinistra animatrice di un progressismo civile e universale, lontana dalle suggestioni del socialismo, questa è la sua tesi, rivelatesi fallaci ed in ogni caso non più corrispondenti ai bisogni di oggi di un mondo in cui il conflitto di classe è scomparso per la vittoria del capitale che ha disarticolato il suo nemico del novecento e in cui il lavoro non è più l’elemento centrale per la produzione della ricchezza per un capitale che si è globalizzato e finanziarizzato.
Qual è il problema che una analisi del genere pone con evidenza?
Ma davvero questa umanità, nel segno delle trasformazioni in atto, si è unificata ed è più libera di costruire il proprio futuro?
Quello che ci sembra invece di vedere è che la globalizzazione ha completato da lungo tempo la sua fase ascendente; che il mercato unificato e globalizzato lungi dal produrre unità, sotto la spinta di una logica competitiva sempre più forte e spietata, sta alimentando risorgenti nazionalismi, l’edificarsi di nuovi muri, processi di riarmo che assorbono risorse di nuovo sempre più ingenti.
La guerra è tornata strumento utile in questo quadro: è davvero impressionante, questo sì, il fatto che in tutto il saggio manchi ogni riferimento alla guerra, alla sua dimensione di nuovo attuale, al conflitto in corso in Ucraina per l’invasione russa intorno al quale si è di nuovo alimentata una narrazione di contrapposizione sistemica tra Occidente e Oriente.
Contrapposizione che segna al momento la fine di quella finestra di impegno tutto sommato comune che in nome della lotta ai cambiamenti climatici e della necessità di fronteggiare una pandemia planetaria aveva spinto a cercare soluzioni effettivamente comuni ai problemi che rimangono comuni del mondo.
Ma anche nella società la crisi palese della rivoluzione neocapitalistica ci presenta una realtà più divisa e nella quale non solo convivono forme più antiche di attività lavorativa con quelle più nuove, ma, almeno questo sembra a noi, risorgenti forme di lavoro povero e servile si presentano non come sacche di passato non assorbito ma come coessenziali allo scintillio della modernità.

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Ma davvero poi, il conflitto capitale-lavoro, da cui Schiavone fa derivare l’idea del socialismo come superato e da superare, è assorbito dalla rivoluzione tecnologica ? O non si è invece addirittura dilatato ritrovandosi quella estrazione di plusvalore prima limitata all’atto lavorativo strettamente inteso ed oggi invece tanto ampia da assorbire, sussumere potremmo dire con Marx, la stessa vita umana che tutta, proprio con la rivoluzione tecnologica, è posta al servizio della produzione di ricchezza – da informazione e conoscenza trasformate in dati rielaborati – e che configura un livello più alto di vero e proprio capitalismo della sorveglianza come lo definisce Susanne Zuboff?
In altri termini, proprio il carattere centrale che la conoscenza ha assunto nella stessa produzione di ricchezza, non ci riconsegna forse, come il Marx dei Grundrisse e del Frammento sulle macchine aveva indicato, il suo essere sempre di più frutto sociale, espressione di una applicazione dell’intera società, general intellect appunto, e conoscenza-frutto sociale che entra sempre più in conflitto invece con rapporti di produzione sempre più privatistici?
E’ infatti vero che oggi è alla portata dell’umanità, e Schiavone giustamente insiste su questo, la possibilità di vedere risolti antichi e nuovi problemi che l’affliggono. Ma è anche vero che questa possibilità è al tempo stesso negata da quei rapporti di produzione che inibiscono quello che sarebbe invece possibile e cioè un orientamento e una finalità sociali delle innovazioni e delle tecnologie, volti a soddisfare primariamente i bisogni dell’umanità.
E in più – questo è l’altro punto centrale che spinge necessariamente per la ricerca di nuovi paradigmi, altri rispetto a quelli capitalistici, da porre a fondamento di un organizzarsi e di un vivere nuovi della società – non solo i livelli di sfruttamento non diminuiscono ma, con il saccheggio della natura, lo sconfinamento estrattivo che alimenta pandemie, la guerra che torna, è la vita stessa dell’umanità che è messa in discussione.
Un tempo abbiamo chiamato questo socialismo.
E se pensiamo che rimanga centrale la lotta contro lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, dell’uomo sulla donna e dell’umano sulla natura e sul vivente non umano, forse, è una parola ancora carica di futuro.

Gianfranco Nappi

LE RECENSIONI PRECEDENTI:

FABRIZIO RUFO

https://www.infinitimondi.eu/2023/03/01/ripartire-dalle-idee-tre-libri-recenti-1-scienza-e-bene-pubblico-cittadinanza-conoscenza-democrazia-di-fabrizio-rufo-per-donzelli-2023-di-gianfranco-nappi/

FERRUCCIO CAPELLI

https://www.infinitimondi.eu/2023/03/06/ripartire-dalle-idee-tre-libri-recenti-2-a-sinistra-con-uno-sguardo-umano-il-nuovo-lavoro-di-ferruccio-capelli-di-gianfranco-nappi/


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1 commento

  1. Aldo Schiavone è sempre Aldo Schiavone. Leggerò attentamente l’intero libro che già mi appare imperdibile

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