Di grande interesse è questa raccolta di saggi che esce per Donzelli 2023 opera di Fabrizio Rufo, Scienza e Bene Pubblico. Cittadinanza, conoscenza, democrazia.

Rufo è Docente di bioetica e di etica dell’ambiente e della sostenibilità alla Sapienza di Roma e nella sua lunga militanza civile ha lavorato per lunghi anni fianco a fianco con Giovanni Berlinguer, a cui del resto ha dedicato non più tardi di due anni fa La Salute è un diritto. Giovanni Berlinguer e le riforme del 1978. Ediesse 2021, che abbiamo avuto modo di discutere proprio con lui durante la pandemia e che ci ha restituito, finalmente verrebbe da dire, una immagine esatta della statura di uno scienziato e di un politico come Giovanni Berlinguer e del contributo che ha offerto alla cultura europea e alle relazioni che ha saputo costruire con tante aree del mondo a cominciare dall’America Latina. Peraltro anche qui c’è un capitolo a lui dedicato.

Il centro di questa raccolta di saggi ha due facce. Da un lato essa presenta la più ferma contestazione e critica di tutte quelle forme che mettono in discussione il valore della scienza e della ricerca, alimentano tendenze negazioniste e complottiste e che nei fatti, se prevalessero, condannerebbero l’umanità a dinamiche regressive. E ne abbiamo viste e ne vediamo tantissime agire: dalla pandemia alla negazione alla radice della esistenza di una questione climatica. Dall’altro lato pone con forza l’esigenza , già presente nello stesso titolo della raccolta, dell’assunzione piena del valore cruciale della scienza e della conoscenza e del bisogno di un circuito fecondo tra conoscenza, decisione pubblica, democrazia che, per l’autore, è in larga misura tutto ancora da assicurare e costruire.

Questo è l’assillo che muove Rufo e che lo spinge però a presentare il piano del suo ragionamento non rincorrendo esasperazioni ideologiche ma sviluppando una solida cultura pragmatica, come lui la definisce e della quale propone diversi riferimenti teorici, da John Dewey ad Amartya Sen.

Il suo ragionamento lo conduce a delineare i contorni e i confini allargati di nuovi contenuti di cittadinanza per la nostra democrazia; a porre questa come esigenza vitale per la stessa democrazia: la scienza per chi? Come la scienza ” sempre più strumento per il raggiungimento del bene pubblico“?

Un grande tema per questo nostro tempo così segnato dalla centralità della conoscenza in tutto lo sviluppo delle nostre società nelle quali si determina quella situazione tale per cui, come già aveva intuito il Marx dei Grundrisse e del Frammento sulle Macchine – che non a caso Rufo cita – lo sviluppo della conoscenza, e della scienza e della tecnica, è sempre più il frutto di una dimensione sociale, di un sapere sociale che diventa forza produttiva fino a presentarsi come general intellect.

E allora ha davvero ragione Rufo a rivendicare la centralità del tema di una espansione della democrazia nelle determinazioni degli indirizzi della scienza e della ricerca; di una loro esplicita finalità sociale, al di là di ogni separatezza.

Molto bella è a questo proposito un’ampia citazione di Dewey che lui riprende:

Quando la fisica, la chimica, la biologia, la medicina contribuiscono a rivelare le sofferenze umane e a fare progetti per alleviarle e migliorare la condizione umana diventano morali….Le scienzew naturali perdono la propria estraneità e acquisiscono una qualità umanistica; vanno perseguite non in modo tecnico e specialistico, alla ricerca della verità in se’, ma con il sentimento che sono socialmente rilevanti e intellettualmente indispensabili. Sono tecniche solo nel senso che forniscono la tecnica dell’ingegneria sociale e morale“.

Esperienze di citizen science sono state in qualche modo tutte le lotte operaie e sindacali, a cui lui dedica uno dei saggi, per la sicurezza sul lavoro, per migliorarne le condizioni, per ridurre gli impatti ambientali esterni. Una stagione importante, di cui proprio Giovanni Berlinguer è stato un protagonista assoluto e che ci ha lasciato leggi fondamentali: dallo Statuto dei Lavoratori alla Riforma del sistema sanitario del 1978, a quella stessa sulla Psichiatria.

Esse in qualche modo rappresentano l’esempio di quel che è stato ma anche di quel che dovrebbe/potrebbe essere: diritto di ricevere e chiedere informazioni, diritto di accesso a dati aperti e grezzi, diritto di consultazione e partecipazione alle decisioni, diritto alla collaborazione nella definizione di questioni sociali science-based. Ecco un elenco scarno ma di cose essenziali per qualificare una nuova cittadinanza scientifica.

Ma vedere affermati questi principi richiede ” la creazione di legami sociali e politici” che lavorino per la ” convergenza di saperi e bisogni“.

Ed è qui che Rufo avanza una riflessione giustamente critica sull’esperienza della sinistra: “ Queste osservazioni sottolineano come nel complesso siano mancate da parte dei soggetti organizzatori della rappresentanza politica e sociale una capacità analitica e un’autonomia culturale nel valutare gli effetti della rivoluzione scientifica e tecnologica sul mondo del lavoro, fino a ripiegare su un’accettazione passiva delle diseguaglianze oppure verso suggestioni neoluddiste prive di prospettiva “.

Ed è così che Fabrizio Rufo, e meno male che ci ha detto di volerlo fare pragmaticamente…, enuclea nodi teorici e politici che potrebbero ben ritenersi fondativi di un pensiero politico critico e alternativo a quello dominante.

E qui vengono anche però due notazioni, due interrogativi/specificazioni su cui mi piacerebbe continuare la discussione con lui, e chi sa che non la facciamo per davvero, magari proprio a Napoli. Sarebbe poi ancor più interessante farla, visto il suo ultimo capitolo della raccolta di saggi dal titolo: Roma. La città della Scienza, proprio a La Città della Scienza di Napoli, dove lui è stato tante volte ospite di Pietro Greco a cui anche, tra gli altri, è dedicato il libro ( altro fatto molto bello e significativo ).

La prima. Non sarà che il ritorno di negazionisti, oscurantisti di varia foggia, passatisti e neoluddisti di svariato colore sia anche l’altra faccia di una protervia, di una vera e propria yubris tecnologica e tecnocratica che trasuda da ogni angolo di questo tempo nostro e tende appunto a ridurre tutto, con la natura assunta come cosa inerte, a calcolo tecnico sganciato da concreti rapporti sociali che poi altro non vuol dire che consolidare i rapporti di forza esistenti nella società del tutto a sfavore del mondo del lavoro e di chi sta sotto? Ovvero, una ispirazione e un modo di intendere scienza e tecnica che, al tempo della precarietà e dell’incertezza ( giustamente richiamata da Fabrizio ), tendono a produrre una dinamica di inserimento di un individuo passivizzato in un contesto di predeterminazione totale delle proprie scelte ( vedi le riflessioni di Susanne Zouboff nel suo Il Capitalismo della sorveglianza ). Del resto nel capitolo dedicato a Giovanni Berlinguer, Rufo coglie questo dato secondo me e dice esattamente : ” Berlinguer è contro lo ‘scientismo’, in quanto ritiene che non sia possibile trattare i problemi scientifici prescindendo dalle strutture della società in cui essi si presentano. Non considerare queste influenze significa assumere un atteggiamento riduttivo che – per usare le parole di Gramsci – concepisce la scienza come ” una superiore stregoneria“.

E allora qui veniamo anche alla seconda notazione. Quanto di questo scientismo derivi da una massiccia e preponderante influenza delle ragioni del mercato e del capitale proprio sulla scienza, sulla ricerca e sulla tecnologia pensiamo sia evidente. Fino al punto da doversi porre non solo il tema della libertà della scienza, e della diffusione delle sue conquiste, ma anche quello della sua autonomia. Autonomia dal mercato, dalle logiche del profitto e dal, in una parola, neocapitalismo. Quanto c’è questo tema? E quanto c’è anche per una istruzione, in particolare quella superiore e di alta formazione, piegata alla logica aziendalistica, alla privatizzazione di ambiti sempre più ampi di ricerca?

Qui penso che notazioni importanti che fa Fabrizio Rufo sul tema del ruolo della scienza e della sua relazione con la democrazia e i bisogni sociali siano fondamentali e incrocino esattamente questo tema che io ho preferito esplicitare e che forse rappresenta una delle frontiere su cui un pensiero rinnovato e critico possa e debba cimentarsi.

Gianfranco Nappi

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