Il folklore o cultura popolare rappresenta la stratificazione delle infinite visioni del mondo e della vita, ma non è solo questo.
La cultura popolare è qualcosa di più, perché da questa stratificazione, a volte, può nascere l’innovazione per i tempi moderni.
In certi casi, questa stratificazione diventa lo strumento per denunciare il disagio, per aggregare i soggetti, per anelare ai diritti negati, per migliorare la condizione esistenziale di partenza, per costruire una speranza, forza necessaria a sorreggere il cammino di ogni vita.
Questo accadde a Pomigliano negli anni “70 del secolo scorso, così mentre a Somma Vesuviana si perpetuavano i riti e le ballate di un tempo ma senza tempo, a Pomigliano accadeva quello specifico fenomeno, che Gramsci chiamava folklore progressivo, che permise di trasformare la Tammuriata di Bella figliola in Tammurriata dell’Alfa Sud.

La trasformazione socio-economica di un territorio, da un’era prettamente rurale ad una di tipo industriale, non avvenne in maniera asettica ed indolore. Ora non erano più contadini, che ballavano e cantavano durante il duro lavoro, o nel cortile nei giorni di festa. Non erano nemmeno ancora operai, ma di sicuro erano frastornati e confusi dai ritmi a loro imposti dalla catena di montaggio. Per far fronte a quel disagio, forse anche senza saperlo, fecero ricorso alla memoria e agli strumenti antichi, quelli dei padri dei padri, innestandoli dei contenuti del tempo presente.
Questa fu l’innovazione.
Ritengo che catalogare, visionare, mettere a disposizione delle nuove generazioni un patrimonio di questo tipo, non sia una mera operazione espositiva, ma un processo educativo, dinamico e funzionale, che a partire dalla conoscenza di quel passato, possa generare una presa di coscienza.
Possa custodirne la memoria e al tempo stesso permettere l’elaborazione di nuovi orizzonti.
Cantare o narrare le vicende, le tribolazioni, le tragedie, ma anche le speranze e le attese, di questa umanità anonima, accosta la narrazione di questo periodo storico, con infinita dignità, a tutta la letteratura che si è occupata, degli oppressi, sfruttati, diseredati.
La sensazione era che in quegli anni, veramente ognuno di noi, come dice Gaber, era molto di più di se stesso. Avevamo ritrovato un Noi che nel tempo è stato difficile non far scivolare verso un individualismo strumentale, un egoismo sdrucciolo. Accendere questo processo mnemonico potrebbe portarci a riconquistare la dimensione di un Noi evoluto.
Quindi dovremmo elaborare l’idea ed immaginare cosa possa essere questa nuova realtà, che ci accingiamo a definire, comprendere bene i patrimoni disponibili, sia economici che contenutistici, in quale luogo e quale modalità futura di fruizione.
Insomma dovremmo attivare una fase di studio e di ricerca per definire il progetto, l’organizzazione, la funzionalità.
Visto che il senso l’abbiamo ricercato e in qualche modo chiarito, per un secondo capitolo lancio una proposta a tutti voi: descrivere come immaginate che debba essere e funzionare questa “cosa”, che deve trasmettere conoscenza, cultura e presa di coscienza.

Mimmo De Cicco

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