di Gianfranco Nappi

Roberto Esposito. Immunità comune. Biopolitica all’epoca della pandemia . Einaudi 2022

Ha diversi piani di lettura questo importante lavoro di Roberto Esposito, un ulteriore tappa di quell’impegno di riflessione ed elaborazione del filosofo napoletano – che viene , tra gli altri, dopo Immunitas. Protezione e negazione della vita del 2011 e Communitas. Origine e destino della comunità del 2012 – che ha saputo sviluppare in modo affatto originale un pensiero che trova in Foucault un riferimento importante, con la categoria di biopolitica, e che ha condotto quell’origine a misurarsi con alcune delle dinamiche più attuali che investono l’umanità.
Da ultimo, con la pandemia appunto.
A conferma, come sostiene appunto Esposito, che tempo più biopolitico di questo non c’è: “ si può ben dire che la biopolitica sia diventata il nuovo orizzonte trascendentale all’interno del quale ruota, continuamente riconfigurandosi, l’intera esperienza contemporanea “.
Dicevamo dei diversi possibili piani di lettura: da quello filosofico in senso pieno a quello di confutazione di tutta una serie di obiezioni critiche alla impostazione biopolitica a cui dedica in particolare uno dei capitoli del suo libro, alla riflessione sulla differenza tra stato di emergenza e stato di eccezione, in polemica con quanti hanno esasperato la polemica nei confronti delle scelte pubbliche per fronteggiare la pandemia considerate immotivate limitazioni della libertà individuale.
Il punto sul quale mi soffermo è invece quello che interroga direttamente la politica: un altro dei fili conduttori del ragionamento di Esposito.

Intanto, partiamo da un nodo di fondo su cui ci si invita a riflettere e che in qualche modo innerva tutta la riflessione. Con questa pandemia si rovescia il rapporto tra immunità e comunità.

L’immunizzazione ha sempre segnato un elemento di rottura, di disuguaglianza nella società: a fronte degli immunizzati, dei protetti, di solito una minoranza, ha corrisposto la totale vulnerabilità dell’altra, solitamente maggioritaria, parte. L’immunità ha rappresentato storicamente un privilegio, non per tutti dunque. Oggi invece – nel combinato disposto di globalizzazione dell’economia, degli scambi e delle relazioni e della messa in contatto di tutti gli ambiti naturali da parte dell’uomo – per la prima volta in modo così clamoroso, siamo di fronte a questa pandemia e alle sue caratteristiche, al dato che o l’immunità è per tutti o semplicemente non è. L’immunità o è immunità comune appunto o non è. E’ la prima volta, riflette Roberto Esposito, che nella vicenda dell’umanità, questo obiettivo, quella cioè del più alto grado di eguaglianza possibile, la difesa della vita per tutti in egual modo, esce dal terreno dell’aspirazione etica o da quello dell’utopia e diventa possibilità/necessità evocata perfino anche da Stati e governi, fino a rappresentare l’esigenza di immunizzare/vaccinare l’intera popolazione mondiale.
In questo tempo dunque di estrema politicizzazione della medicina e di medicalizzazione della politica si apre una opportunità inedita proprio per la politica, chè solo da essa può derivare l’affermazione di quella immunità comune. Infatti “… Solo una ripresa della politica, nel senso più intenso e forte dell’espressione, consentirà di inaugurare una vera stagione di cambiamento…”.
Questo è il punto di approdo mi sembra di tutta la riflessione poi di Esposito, ecco il piano di lettura su cui ci siamo concentrati : questo approdo la politica lo recupera solo se si riprende in qualche modo uno spazio che dovrebbe esserle proprio e si sottrae a quel destino di lateralizzazione cui la dinamica del capitalismo l’ha esposta e confinata in qualche modo insieme alla democrazia, rispetto al prevalere dell’economico, che ha nutrito la globalizzazione, e rispetto ora al prevalere dei competenti e dei tecnici con la pandemia.


Né il capitalismo, con il suo linguaggio economico che tende tutto ad omogenizzare e assorbire, né il prevalere della tecnica, con la sua indifferenza ai fini, possono esprimere quella visione generale e di prospettiva di cui c’è bisogno.
E’ una illusione dunque che a questo fine possano rispondere i governi dei competenti.
Se è vero che essi fronteggiano la deriva populista, è anche vero che rappresentando in massimo grado lo spostamento di competenze fuori dal parlamento, messo ai margini delle scelte che contano e tutt’al più chiamato ad una funzione di mera ratifica, nei fatti alimentano essi stessi una deriva antiparlamentare quando non anche direttamente antipolitica. Ed è poi in questo, aggiungo io, che si ritrova anche il punto di contatto con la spinta delle forze più estreme del capitalismo che avvertono il bisogno di colpire proprio la capacità regolativa e di indirizzo sociale della politica.
E’ una illusione, ci dice Roberto Esposito, immaginare di perseguire un obiettivo generale e perfino universale, attraverso una neutralizzazione del conflitto. No del conflitto, del confronto tra idee e visioni diverse ed anche contrapposte c’è bisogno. Esposito parla anche di confronto tra modelli diversi di società. Un nuovo potere istituente per pensare nuove istituzioni. Non c’è altra via per rispondere alla crisi della democrazia.
Mai come in questo caso la politica deve imporsi rispetto a qualsiasi altra ragione. Se prevarrà la logica del profitto la partita sarà persa prima ancora di essere giocata. Se invece la politica, rivitalizzata da una situazione altrimenti ingovernabile, saprà far valere le proprie ragioni, la battaglia, comunque difficile, si potrà almeno combattere. Mai come oggi, in pieno regime biopolitico, la politica ha a che fare con la protezione e lo sviluppo della vita. Non solo delle singole popolazioni, ma del genere umano nel suo complesso. Quando comunità e umanità ritrovano un’estrema linea di tangenza, la vita di ciascuno è protetta solo da quella di tutti. “
Come la politica? E chi? In che forme, guardando a quali soggettività sociali? Ed è pane per i denti della politica reale di questo nostro tempo, anche nel nostro paese, o essa appare totalmente estranea a questo orizzonte problematico? E se così fosse, a chi affidare allora un processo istituente di nuova politica?
Ovviamente non risponde a queste domande il lavoro di Roberto Esposito che ha altri obiettivi. Ma già quell’interrogativo che muove, quel varco che apre ad una diversa riflessione sulla politica non solo è di grande stimolo ma spinge a proseguire in questo confronto.

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