LETTERATURA E ALTRE STORIE
a cura di Carlangelo Mauro

Divagazioni su un dittico narrativo di Francesco Capaldo: Ansia da coronavirus e Il virus non esiste!
Ansia da coronavirus e Il virus non esiste! costituiscono un dittico narrativo, all’insegna dell’umorismo, di Francesco Capaldo, studioso di Leopardi innanzitutto, poeta e narratore, che ha pubblicato Genesi e varianti delle Operette Morali, Emil, 2016; ha curato un commento ai Canti di Leopardi per Giunti, oltre a scrivere vari altri studi sull’Otto / Novecento. Nel 2017 è uscita la raccolta di poesie La promessa del giorno (Ladolfi Editore). Capaldo è autore anche di un romanzo, di una raccolta di racconti, di un dramma teatrale e collabora a diverse riviste e al giornale on line Pickline. Insomma si dà da fare, insegnando e scrivendo in una bellissima villa storica, immersa nella bellezza e nella pace del paesaggio di Fiesole, dove vive in affitto, come rappresentante della diaspora di una generazione di intellettuali meridionali (proviene dalla provincia di Salerno), trasferitisi al centro o al Nord.
Entrambi i racconti ci parlano di questo periodo drammatico, vissuto da tutti noi, durante questa pandemia ancora attiva. La collina di Fiesole non può non richiamare nella mente un’opera tra le più illustri della nostra tradizione letteraria, in cui il racconto è antidoto alla peste: Il Decameron. Con questi racconti, però, non c’entra assolutamente nulla, tranne per il fatto che nel secondo testo compare appunto il toponimo (un rimando all’autobiografia dell’autore non certo dei personaggi).
Il linguaggio di Capaldo, che ama pubblicare su Pickline brevi ed efficaci recensioni e che con il commento ai Canti di Leopardi mira a raggiungere un ampio pubblico, non venendo nel contempo meno al rigore, anche in questi racconti si conferma diretto, immediato (adatto alla comunicazione digitale).
Entrambi i testi sono accomunati, da un lato, dalla figura dell’iperbole ma differiscono, dall’altro, per due aspetti complementari che portano all’attenzione del lettore i disturbi, gli incubi, la paranoia, l’ansia profonda causati dal bombardamento mediatico di messaggi contrastanti (e spesso falsi) sul virus. L’ansia spasmodica e incontrollabile del primo personaggio, Antonio, si connette alla leggerezza e alla negazione totale dell’esistenza del virus del secondo, Andrea.
Il protagonista, Antonio, del primo testo, Ansia da coronavirus, incarna perfettamente il titolo con i suoi comportamenti irrazionali ed esagerati, che sembrano risalire, in senso cronologico, a una prima fase della diffusione del virus: si barrica in casa – e fin qui siamo nel rispetto delle regole del lockdown – ma chiude persino finestre e balconi, e impedisce alla moglie, Roberta, di uscire dalla propria stanza:

«No, devi restare in casa nella tua stanza…e io nella mia… finché non sarà tutto finito. L’aria potrebbe infettarti!».

Un passaggio chiaro, questo, sul condizionamento e sugli effetti negativi di notizie contraddittorie, riversate sui social, che acuiscono la paura di una malattia ancora sconosciuta. Antonio impedisce a Roberta tutto, ogni forma di contatto, anche affettivo, con lui e con il mondo esterno; ma sarà proprio l’intervento di un vicino, un medico – con cui la moglie in un attimo di assenza del marito, uscito per la spesa, fa quattro chiacchiere – a salvarlo con un «massaggio cardiaco». Per la legge del contrappasso il soggetto che vorrebbe applicare la regola dell’isolamento totale, rifiutando anche l’amore della moglie, è punito.
Antonio, infatti, causa, con il suo irrazionale atteggiamento, la reazione di lei, una scherzosa, ma sadica vendetta. Roberta, chiusa nella stanza dal marito, esegue i suoi diktat, comunicando con lui, nella stessa abitazione, tramite whatsapp. E gli fa credere di aver ricevuto un nuovo messaggio: nell’azienda diretta da lui si sono ammalati quasi tutti. A questo punto avviene il crollo nel protagonista. L’ansia estrema, la paranoia di sentirsi contagiato sul lavoro, la paura gli provocano un infarto. Soccorso dal vicino, portato in ospedale, Antonio è nel panico. L’ansia raggiunge il suo acme scatenando in lui un disturbo psicotico e allucinazioni: «Antonio si vide invadere da un esercito di virus….». Alla fine, però, il lettore scopre che si è trattato solo «di un brutto sogno». Come a dire che se esageriamo, le nostre ansie potrebbero trasformarsi in incubi e distruggere il nostro equilibrio psicofisico.
Dietro l’iperbole parecchie persone potrebbero in parte riconoscersi in Antonio e Andrea. Basta guardare le foto autentiche sui social di chi è entrato bardato con una tuta spaziale nei supermercati e la satira di Capaldo non ci sembrerà molto lontana dalla realtà. Il fatto stesso che l’autore abbia scelto per i protagonisti nomi così comuni sicuramente favorisce l’identificazione del lettore.
Il nodo del racconto è il nostro barcamenarci in questo periodo dell’emergenza tra dati contrastanti che gli scienziati via via diffondono. Ad esempio le discussioni sulla persistenza per alcune ore nell’aria del virus e sull’aria inquinata come condizione di predisposizione al contagio. Da quel che ho compreso si tratta però di un’ipotesi che si può verificare solo in presenza di patologie respiratorie di certi soggetti in ambienti inquinati che forse predispongono ad infettarsi. La notizia poi che il virus rimanga nell’aria, o sulle superfici per alcune ore, ­come hanno affermato diversi scienziati in alcuni studi diffusi piuttosto confusamente (altro ‘balletto’ di cifre contrastanti sui social) ha potuto scatenare in alcuni soggetti, come nel protagonista della nostra storia, l’ansia che diventa paranoia ossessiva compulsiva:

«Il virus passa anche attraverso l’aria. Non ne hai fatto entrare qualcuno mentre non c‘ero?»
«No, ti giuro.»
«Per essere certi disinfetto tutto.»
«Lo hai fatto ieri sera.»
«Meglio farlo di nuovo.»

La causa della malattia è in gran parte sconosciuta così che realtà e fantasia spesso si sono confuse o sovrapposte nel periodo appena passato, e ancora oggi certezze non ce ne sono. Ho letto delle raccomandazioni dell’OMS sull’uso dei guanti che possono aumentare i contagi, prima raccomandati come utili a difendersene. La circolazione incontrollata di fake news ha portato alcune persone a credere che le possibilità di contagio possano essere dappertutto, provocando così atteggiamenti irrazionali che se nel testo letterario appaiono esagerati attraverso l’uso dell’iperbole non è raro trovarli nella realtà. C’è realmente chi si fida, come il protagonista del racconto, più delle mascherine fatte in case ritenendole più sicure di quelle vendute. Notizie poi di mascherine non a norma, di vari sequestri o di inchieste, come quella sulla società rappresentata della ex presidente della Camera Irene Pivetti con il sequestro di migliaia di pezzi, hanno contribuito a generare confusione.
Nel secondo racconto, Capaldo affronta il fenomeno opposto all’eccessiva preoccupazione per il virus: la negazione dell’esistenza del virus stesso! Un’autista, ammalatosi e finito poi in ospedale, è sicuro che si tratti solo di un complotto. Un atteggiamento che dietro l’iperbole del racconto presenta la reazione estrema da parte del soggetto di un rifiuto totale della realtà, associata alla contestazione politica sulla base della tesi del complotto.
Capaldo mi ha mandato in lettura il racconto diverso tempo fa, in maggio, e per una strana coincidenza – o sincronicità? ­– dopo pochi giorni è apparsa sui giornali la notizia della vicenda di un autista! americano, Brian Lee Hitchens, per il quale il coronavirus era solo una bufala, paragonabile a una banale influenza e le mascherine o il distanziamento sociale dispositivi e procedure inutili. Dopo che lui e la moglie si sono ammalati ha dichiarato: «Pensavamo che il governo stesse usando il virus per distrarci. Ora abbiamo capito che il coronavirus non è un fake». 
Fuor di metafora, o per meglio dire fuor dall’iperbole letteraria, Capaldo allude più in generale all’idea del complotto che tanti hanno fatto propria grazie all’uso dei social media. Si è diffusa molto questa forma sistematica di sospetto, per cui a ogni fenomeno della realtà corrisponderebbe per antitesi il movente reale, che non è quello che le istituzioni o i poteri forti politico-finanziari ci vogliono far credere. Basti citare per analogia, le note teorie, in tutt’altro campo, quello dell’immigrazione, della sostituzione etnica, fatte proprio anche da intellettuali e filosofi molto noti in tv (e con incarichi accademici).
Il giudizio negativo sull’esagerazione delle misure del governo e sull’incostituzionalità dei decreti rispetto alla portata della pandemia, almeno per quel che ho potuto seguire in Italia, ha trovato tante e diverse espressioni, soprattutto da parte dello schieramento di centro destra. Basti qui ricordare il primo video di Sgarbi – che destò molto scalpore – del 9 marzo, in cui il critico d’arte, nonché parlamentare, definiva inesistente il contagio, definendo l’agente patogeno, molto elegantemente, il «virus del buco del c.», invitando la gente ad andare a Cotogno, infine di «dare il gas al governo». A questo video sono poi seguite scuse e precisazioni, a causa del cambiamento dei dati sui decessi; ma sostanzialmente la contestazione di Sgarbi della linea politica del governo è rimasta immutata. C’è poi l’altro grande filone dell’idea del complotto, di chi pensa che sul virus lucrerebbero le industrie farmaceutiche con l’uso dei vaccini di massa che si stanno sperimentando con possibili danni peraltro alla salute (questa idea era già dei No-Vax). Ancora, a livello politico, in molti hanno riflettuto e scritto sulla possibilità di un dominio che «democratico» in apparenza a furia di decreti si trasformerebbe, e in parte per essi si è già trasformato, in uno stato autocratico da questa fase in poi in perenne emergenza per scopi strumentali. Ma le riunioni poi riprese delle Camere sembrano aver ridotto tale ipotesi. Nel racconto si affaccia comunque un contesto ideologico antigovernativo nella frase del protagonista («Siamo fottuti! Andremo in recessione, l’Europa ci imporrà il MES. Faremo la fine della Grecia»), che sembra coincidere grossomodo con l’idea dei sovranisti ‘made in Italy’ (Salvini-Meloni), laddove il modello più prossimo a una «dittatura dell’emergenza» sembra essere proprio quello ungherese del loro alleato in Europa, Orban. In ogni caso, il secondo racconto insiste in modo particolare sul concetto ideologico del complotto, e sul «negazionismo».
Ripercorriamo brevemente la vicenda. Andrea, il protagonista autista di una ditta di trasporti, ricoverato in ospedale, dopo che si è sentito male, cerca di fuggire dalla struttura ospedaliera e pensa a un complotto per fregarlo dietro la falsa macchinazione del suo coinquilino, Salvatore, in combutta con i falsi medici della struttura. Stavolta non è un sogno. L’ansia di essere vittima di una macchinazione è reale, il desiderio di fuga e di libertà un’impellenza, una necessità di salvezza da chi ha perso il senso della realtà e ha, come nel primo caso, un’allucinazione, ma a occhi aperti, e scambia così il proprio «salvatore» in un «traditore». Andrea è sveglio, ma è come se stesso dormendo, ipnotizzato dai messaggi e dai video sui social, sui cui passa evidentemente tutto il tempo libero, e che scambia per oro colato senza essere capace di filtrare, non avendone gli strumenti, ciò che vede o ciò che legge. Egli anzi non vede e non sente il medico che gli sta davanti, e non vuol raccogliere il dato reale che il tampone gli attesta, poiché vive ormai in un’altra, virtuale realtà. Tant’è che come prova definitiva dell’inesistenza del virus esibisce un video di uno scienziato in rete che l’ha particolarmente convinto. È privo di ogni capacità di analisi critica e ribalta il suo complesso di inferiorità culturale, grazie al cattivo uso della tecnologica e dei social, in quello di superiorità e di onnipotenza digitale: è convinto infatti proprio lui di essere un privilegiato, dotato di «un pensiero divergente» (di cui ha letto in internet le definizioni). Altri lacerti e letture del soggetto dai media affiorano nel racconto, laddove dice al medico: «Senta? Non è che un virus influenzale. La gente non deve stare isolata», battuta che sembra fondere le affermazioni, in una prima fase, ­della virologa Gismondo sull’equiparazione del virus alla influenza con l’aggiunta in TV che lei era per natura sostanzialmente un’ottimista. In altra occasione, il 26 febbraio, la Gismondo ha affermato: «Fra una settimana non parleremo più di coronavirus, ne farò un ciondolo».
Le convinzioni granitiche di Andrea si trasformano in deformazioni della realtà, quasi allucinazioni. Alcune di queste sembrano richiamare quelle di altri scienziati, come Stefano Montanari, noto per le sue posizioni contro i vaccini, che ha parlato di un «patogeno fasullo» in vari video su You Tube dal 14 al 19 marzo: «si bloccherà tutto il mondo con una epidemia inesistente, per un patogeno fasullo». Fra l’altro Andrea oltre alla esigenza di abolire il distanziamento sociale, parla della necessità di passeggiate all’aria aperta, di effetti benefici del prendere il sole, affermazione quest’ultime che sembrano richiamare quasi testualmente quelle di Montanari su You Tube: «La vitamina D è indispensabile per proteggerci e indispensabile per il nostro sistema immunitario […] state fuori, state al sole, passeggiate, cercate di fare movimento».
In ogni caso in una prima fase un po’ tutti gli scienziati, se non negato, hanno minimizzato il problema, come lo stesso governo; per non parlare delle responsabilità di ciò che è successo in Lombardia, del possibile occultamento di casi già conosciuti, del trasferimento di malati di covid in case di riposo, punti oscuri che, si spera, le inchieste in corso chiariranno superando così il rimpallo di competenze e responsabilità tra governo e regione Lombardia, tuttora mediaticamente in atto. Viene anche da chiedersi se l’eccessivo sbilanciamento mediatico degli scienziati, tanto da atteggiarsi a profeti, sia appunto un atteggiamento non in linea con la loro competenza che qui non è in discussione. Non era meglio non sbilanciarsi e aspettare dati certi, la verifica, prima di parlare in TV? Sembra che anche loro non vogliano perdere l’occasione del riflettore, riempire giornali, tabloid e social di annunci, quando il tempo poi purtroppo è sempre ‘galantuomo’, anche in modo tragico.
«L’andrà tutto bene» dell’incipit di Il virus non esiste, rispetto ai tanti morti e ai danni all’economia, sembra far riflettere il lettore del racconto umoristico su un ottimismo in fin dei conti divenuto cinico, formato sui luoghi comuni. Andrà tutto bene (‘per me, per altri non si sa!’)
Infine, leggendo il dittico di Capaldo si comprende come l’autore voglia invitarci a comportamenti contrari a quelli dei due protagonisti, ad una sana ‘ecologia della comunicazione’, dell’uso dei social, quindi della mente, perché essi possono seminare nei soggetti più indifesi culturalmente veri e propri danni inconsci, come nel sogno del primo racconto, o consci nel secondo. L’inquinamento della comunicazione è divenuto, come è noto, davvero virale: c’è l’imbarazzo della scelta tra le affermazioni ‘patogene’ di Bolsonaro: «I veri uomini non prendono il coronavirus», e quelle sulle iniezioni alla candeggina di Trump, fino alle parole di Fontana in un climax discendente, ma non in quanto a pericolo: «Rispetto ad altre regioni la Lombardia ha contenuto bene».
Non è da escludere che, l’idea di racconti del genere indirettamente non possa essere nata dalle sarcastiche affermazioni di Leopardi nella Palinodia al marchese Gino Capponi (1835), composta a Napoli, sulla lettura totalizzante delle notizie, dei giornali che sostituiscono la vera conoscenza nata dallo studio e dall’approfondimento sui libri e sulle fonti. Capaldo così parafrasa quelle affermazioni nel suo commento ai Canti: «Tutti i giornali del mondo annunciano una nuova età dell’oro e promettono strade ferrate, amore universale, commerci tra i popoli, macchine a vapore, caratteri tipografici ed epidemie di colera, che renderanno più vicini i popoli, sebbene questi siano lontani tra loro e soggetti a climi diversi». Leopardi dice: «Vapor, tipi e choléra i più divisi Popoli e climi stringeranno insieme». La distruzione degli ecosistemi, lo sviluppo industriale e tecnologico, la globalizzazione rappresentano la continuazione del diagramma leopardiano, profetico allora non meno di quello di oggi di David Quenman tracciato in Spillover (2012). Lo scrittore e divulgatore scientifico americano in una intervista più recente ha affermato: «Siamo troppi, 7,7 miliardi di persone, e consumiamo risorse in modo troppo affamato, a volte troppo avido, il che ci rende una specie di buco nero al centro della galassia: tutto è attirato verso di noi. Compresi i virus».
Le ‘riflessioni poetiche’ del Leopardi della Palinodia sulle notizie e sui giornali erano già nel celebre Dialogo di Tristano ed un amico (1832) delle Operette morali. Dice sarcasticamente Tristano: «Credo ed abbraccio la profonda filosofia de’ giornali, i quali uccidendo ogni altra letteratura e ogni altro studio, massimamente grave e spiacevole, sono maestri e luce dell’età presente». Chissà cosa avrebbe scritto Leopardi, se fosse vivo oggi, sull’uso selvaggio ed esclusivo dei social e sulla diffusione ‘virale’ delle fake news.
(C.M.)


Due racconti di Francesco Capaldo



ANSIA DA CORONAVIRUS

Il dottor P. gli aveva mandato su WhatsApp un audio, in cui si diceva che il virus si nascondeva anche sotto le sue scarpe: appena era rientrato a casa perciò aveva preso uno spray alla candeggina e aveva disinfettato tutto. Non soddisfatto però s’era messo a pulire pure i pavimenti e le pareti, perché gli sembrava di vederlo dappertutto: fra i libri, sulle coperte, sul vetro dello specchio, sul piano di marmo della cucina, e forse mentre lui era uscito si era pure moltiplicato, e non aspettava altro che si addormentasse per aggredirlo con la sua potenza malefica. Esitò a lungo perciò a mettersi a letto e domandò alla moglie di dormire in un altro letto, perché aveva paura che si fosse nascosto anche addosso a lei, e al solo pensiero si sentiva rabbrividire. Anzi le impose di rispettare anche in casa la distanza di sicurezza e di non avvicinarsi a lui se non per validi motivi. Da quel giorno avrebbero dormito separati, avrebbero pranzato e cenato in orari diversi e avrebbero fatto il possibile per non incontrarsi: l’uno avrebbe lavorato in una stanza e l’altro in un’altra e i loro contatti sarebbero stati limitati all’indispensabile. Se avessero avuto qualcosa da dirsi si sarebbero scritti per email, perché per via aerea si potevano trasmettere elementi patogeni.
«Posso andare almeno in giardino? C’è una bella giornata di sole… con il caldo il virus sarà andato in vacanza!» aveva replicato la moglie a quelle drastiche misure draconiane, sperando di poter uscire a respirare un po’ di aria fresca.
«No, devi restare in casa nella tua stanza…e io nella mia… finché non sarà tutto finito. L’aria potrebbe infettarti!»
«Ma non abbiamo più niente da mangiare. Dovrò andare a fare la spesa!» obiettò Roberta.
«Ci vado io. Tu resta pure in casa!»
«Ma non hai la mascherina! Dove vai senza?»
«Già è vero…»
«Hai ancora assorbenti?»
«Gli assorbenti?»
«Sì, gli assorbenti.»
«E a che ti servono? Non sarai mica impazzito!»
«Li hai sì o no?» urlò Antonio.
«Sì, ancora un paio. Non ti scaldare.»
«Va a prenderli! Su corri!»
Roberta corse in bagno, aprì il cassetto sotto il lavabo e tirò fuori gli assorbenti, poi tornò dal marito e si avvicinò per porgerglieli. Appena lui la vide, andò su tutte le furie, fece un passo indietro e gridò: «Non ti avvicinare! Sei pazza? Potresti avere il virus! Lasciali lì sul tavolo.»
«Ma caro!» piagnucolò Roberta «Non mi ami più!»
«Non è il tempo per l’amore questo. Ci penseremo dopo. Fa come ti dico.»
Roberta capì che era inutile discutere e ubbidì senza replicare a quanto Antonio le aveva detto, il quale corse in bagno a prendere lo spray, mise dei guanti, disinfettò la busta che conteneva gli assorbenti, ne prese uno, lo aprì e ne recupererò la parte interna, fece due fori all’estremità che legò con uno spago e si fece una mascherina.
«Al tempo dei virus bisogna ingegnarsi!»
«Bah…potevo comprarne un paio in farmacia!»
«In farmacia? Potrebbe essere contaminata! Meglio fare da sé.»
«Ora esco. Tu chiuditi in casa e non mettere neanche il naso fuori!»
Antonio uscì sbattendo la porta. Roberta piangeva per tutta quella situazione ma con un occhio solo, perché almeno per un’ora se ne era andato e lei in sua assenza poteva fare due passi in giardino. A stare chiusa in casa stava impazzendo e aveva bisogno di un po’ d’aria fresca e la giornata era buona. Prima di uscire però si assicurò che il marito fosse effettivamente andato via: si avvicinò alla finestra e vide la sua auto che scendeva giù dalla collina e andava verso la città.
«È impazzito!» pensò «Ho dimenticato di dirgli di prendere il latte!» Si risolse a farne a meno e in un baleno si precipitò in giardino, dove incontrò il vicino che si era seduto al sole e che sembrava in vena di fare quattro chiacchiere. Non lo aveva mai degnato di uno sguardo, ma per quel giorno fece un’eccezione, e andò a sedersi accanto a lui, e subito attaccò bottone. La conversazione la prese a tal punto che non si accorse del passare del tempo, se non quando udì da lontano ruggire il motore dell’auto del marito che era di ritorno.
«Oddio Antonio! Devo scappare in casa! Arrivederci.»
Scattò in piedi come se l’avesse morsa una vipera e come una scheggia corse in casa e per poco non inciampò. Con la coda nell’occhio si voltò a guardare se Antonio stesse arrivando, ma fortunatamente era ancora al cancello. Aprì la porta di casa e per non farsi vedere con il fiatone andò a chiudersi in bagno.
Antonio arrivò dopo poco. Con il naso annusò l’aria. C’era qualcosa di strano.
«Cara, dove sei? Sono tornato.»
«In bagno.»
«Che ci fai in bagno?»
«Faccio la pipì!»
«C’è un’aria strana in casa. Di aria fresca. Hai aperto le finestre per caso? Hai fatto entrare qualcuno?»
«No, nessuno.»
«Sei certa?»
«Certissima.»
«Il virus passa anche attraverso l’aria. Non ne hai fatto entrare qualcuno mentre non c‘ero?»
«No, ti giuro.»
«Per essere certi disinfetto tutto.»
«Lo hai fatto ieri sera.»
«Meglio farlo di nuovo.»
«Non ti fidi di me?»
«Non è questione di fiducia…»
«Non ne posso più. Voglio il divorzio!» urlò Roberta uscendo dal bagno e sbattendo la porta e correndo in stanza.
Antonio fece finta di non farci caso. Riempì il secchio dell’acqua, si cambiò i guanti per prudenza e cominciò a pulire il pavimento. Buttò acqua dappertutto e quando gli sembrò che tutto fosse sanificato si stese sul divano. Prese il telefono e vide che Roberta, che era nella sua stanza, gli aveva mandato un WhatsApp. Lo aprì e lo lesse:
«Caro, debbo darti una brutta notizia. Vuoi sapere di che si tratta?»
Antonio le rispose: «Spara. Dimmi tutto.»
Roberta gli rispose in un baleno:
«Mi ha scritto l’amministratore della nostra azienda di lampadari. Brutte nuove!»
«Che è successo? I dipendenti non vogliono lavorare?»
«No, peggio!»
«Cosa è successo! Parla!»
Arrivò subito un altro messaggio. Era diventato ansioso e stava per correre nella stanza della moglie. Lo lesse: «Nove su dieci dei nostri dipendenti hanno il virus!»
Quella notizia fece saltare Antonio dalla poltrona. Fino a due giorni prima era stato in azienda e aveva lavorato fino a tardi. Forse lo aveva anche lui. Andò subito dalla moglie. La stanza era chiusa a chiave.
«Fammi entrare!»
«No, potresti avere il virus.»
«Dimmi che ciò che hai scritto non è vero.»
«E’ tutto vero!»
«Non mi ami più!»
«Non è tempo per l’amore!»
«Il virus deve avermi infettato. Mi sento male! Svengo! Oddio mi manca il respiro!»
Roberta sentì un tonfo, aprì la porta e vide il marito riverso a terra.
«Oddio… Antonio!… Era solo uno scherzo!»
Si mise le mani nei capelli, si morse le dita. Diede un urlo, corse a chiamare il vicino che era medico e con il quale un’ora prima aveva piacevolmente chiacchierato; si precipitò in un lampo. Lo guardò. «È un infarto!» disse. «Chiami l’ambulanza!» Mentre arrivavano i soccorsi gli fece un massaggio cardiaco. «È ancora vivo! Ce la farà! È ansia da Coronavirus!»
Antonio fu portato in ospedale. Lo caricarono su una barella e lo lasciarono nel corridoio perché in corsia non c’era più posto. Aveva ripreso i sensi. Si guardò intorno. C’era tanta gente. Fece un rapido calcolo su quanti virus dovevano esserci nell’aria. Era circondato. Non aveva scampo. Accanto a lui c’era la moglie.
«Sto morendo, ho il Coronaviurs!»
«No. Non hai nulla di grave. Solo un infarto ha detto Fabrizio»
«Fabrizio? Chi è Fabrizio?»
«Il nostro vicino.»
«E tu come lo sai?»
«Ho parlato con lui. Me l’ha detto lui.»
«Hai parlato con lui? Ti sarai di sicuro infettata e avrai contagiato anche me. Ho il virus: chiama i medici! Mi facciano subito il tampone.»
Antonio provò ad alzarsi dalla barella, ma non ce la faceva.
Gridò: «Aiuto! Sto morendo! Fate presto!»
«Caro, calmati!» disse Roberta ma il marito era fuori di sé e si era fatto bianco come un cencio.
«Si, caro ora arrivano. Dormi un poco.»
«Allontanati! Ne hai uno anche tu sulla mano. Non lo vedi? Prendi l’amuchina. Subito!»
Antonio si vide invadere da un esercito di virus. Erano dovunque: sulle pareti, sulle mani della moglie, sul lenzuolo bianco, e stavano per attaccare il suo corpo. Uno addirittura stava per entrare anche nella sua bocca. Serrò di colpo le labbra. Ce l’aveva fatta. Forse lo aveva ammazzato, ma fu così brutta e amara la sensazione che provò, che perse di nuovo i sensi. Quando si svegliò era tutto sudato: era stato solo un brutto sogno!


IL VIRUS NON ESISTE!

«Andrà tutto bene!»
«Andrà tutto bene.» aveva risposto Andrea.
Non capiva cosa significasse quello che stava dicendo, ma poco importava. Aprì gli occhi. Si guardò intorno. Accanto a lui c’era un uomo in camice bianco, con dei guanti e una mascherina. Non sapeva dov’era e perché non si era svegliato nel suo letto. Si assicurò di avere il telefono. Controllò l’ora: era mezzogiorno. Non poteva restare lì un minuto in più. Era tardissimo. All’ATAF, dove faceva l’autista, lo avrebbero rimproverato. Si ricordò di essere rientrato a casa, a Fiesole, la sera prima e di aver cenato abbondantemente. Si era preso una bella sbornia e se ne era andato a letto. Durante la notte però gli era venuta un po’ di tosse e una febbriciattola di stagione. Nino, il suo coinquilino, che dormiva nella camera accanto lo aveva sentito tossire e s’era svegliato. Aveva subito pensato al peggio e s’era messo a urlare come un matto. Era uscito tutto agitato, urlando, gridando che c’era il virus, e dicendo che andava a chiamare aiuto. Di quello che era accaduto dopo non ricordava nulla. Si era svegliato lì, non aveva idea di come c’era arrivato, e doveva trovare un modo di andarsene via il prima possibile. L’occasione gli si presentò, quando vide l’uomo uscire dalla stanza, ma non fece in tempo a scendere dal letto che quello tornò subito.
«Dove stava andando?»
«Da nessuna parte.»
«Non menta. L’ho vista.»
«Dove sono?»
«Non lo immagina.»
«No.»
«Lei potrebbe avere il… »
«Cosa?»
«Il virus.»
«Ah, anche lei con questa storia. Siete diventati tutti paranoici!»
«Le abbiamo fatto il tampone. Tra poco lo sapremo.»
«Il tampone?»
«Eh, sì! Ha capito bene.»
«E quindi? Dovrei spaventarmi? …Tanto il virus non esiste.»
«Ha tutti i sintomi.»
«Sì, ma anche se lo avessi è una cosa da nulla.»
«Da nulla? … Non direi proprio.»
«Qualcuno ogni tanto muore, ma nulla di che.»
«Ne è sicuro?»
Andrea sembrava che si fosse improvvisamente rianimato; l’argomento lo interessava. Aveva passato l’ultimo mese a studiare la situazione in rete, a capire come effettivamente stessero le cose, e quello era il momento giusto per dimostrare quanto aveva compreso. Anche se faceva l’autista lui usava il pensiero divergente ed era più avanti degli altri. Tirò fuori il telefono, si collegò a Internet, aprì un video e glielo mostrò.
«Guardi qui.»
«Qui?»
«Sì. Guardi il video.»
«Quale video?»
«Questo. Ascolti quello che dice.»
«Sì, ma…»
«E’ uno scienziato. Bisogna fidarsi di lui…»
«Ce ne sono tanti.»
«Sì, ma lui è un grande.»
«Sarà… ma io…»
«Senta? Non è che un virus influenzale. La gente non deve stare isolata.»
«E’ un solo un video, …uno dei tanti.»
«No. Non è come tanti. Ascolti. Senta come lo spiega bene!»
«Ma è folle!»
«No, è uno scienziato. Bisogna socializzare. Unica terapia possibile!»
«Ma è matto da legare!»
«La gente deve prendere il sole. Ha sentito?»
«In Lombardia ci sono i stati i morti! Li ha visti?»
«Sì, qualcuno. Per l’influenza muore più gente!»
«Ma cosa dice? Ma li vede i Tg?»
«I Tg sono tutti di parte. Si svegli. È una messinscena. Guardi qua!»
Andrea non poteva perdere quell’occasione. Lo avrebbe convinto. Quando parlava gli mancava il respiro. Gli veniva la tosse, ma non poteva tacere. Doveva dire a mezzo mondo la verità. Aprì subito un altro sito e gli mostrò un video di uno che per professione faceva il filosofo, il quale sosteneva che stavano per imporre la dittatura e che l’emergenza era stata innescata apposta.
«Maledetta tosse!»
«Eh, sì!»
«Andrà sempre peggio. Vedrà.»
Andrea fece gli scongiuri. Mise la mano sotto il letto e toccò ferro.
«Spero lei non porti iella.»
«Io. Ma come si permette?»
«Ascolti qui. … Sente?»
«Sì.»
«Ha capito?»
«Che c’è da capire?»
«Siamo fottuti! Andremo in recessione, l’Europa ci imporrà il MES. Faremo la fine della Grecia.»
«Lei vede nemici dovunque!»
«No, io vedo lontano! Guardi pure quest’altro!»
«No. Ora non posso. Lo vedrò dopo. Sono arrivati i suoi accertamenti. Torno subito.»
L’uomo in camice bianco uscì. Andrea pensò un attimo alle sue parole. Quali accertamenti? Il tampone? Fu allora che gli venne un dubbio. E se Nino non era quel che diceva di essere? In fondo a pensarci bene era un tipo strano. E di lui non sapeva nulla se non che era architetto, e che per vivere faceva il cameriere e che da quando era scoppiata la crisi per colpa del virus era rimasto senza lavoro. Il ristorante sul Lungarno Colombo dove lavorava aveva licenziato tutti, e s’era dalla mattina alla sera ritrovato disoccupato e a dover mantenere la madre ormai anziana, che viveva con pensione di anzianità da 500 euro, e con una sorella divorziata in Calabria. Però lui non si era affatto lamentato. Aveva continuato la vita di sempre. Dove li prendeva i soldi per spendere senza preoccupazione? Era probabile che gli avesse mentito su tutto. Analizzò la sua fisiognomica e ricorrendo al pensiero alternativo giunse alla conclusione che aveva i tratti tipici dello spione. Il coinquilino certamente lo aveva denunciato alla polizia per le sue idee sul virus. Se fosse stato così sarebbe dovuto scappare subito; sicuramente l’avevano portato in quel luogo per fargli il lavaggio del cervello e per torturalo. Aveva tutta l’aria di un ospedale il posto dove si trovava, ma aveva letto da qualche parte che se ne servivano per vendicarsi di quelli che praticavano il pensiero alternativo. Nel frattempo, l’uomo in camice bianco era rientrato e Andrea aveva realizzato di essere in un mare di guai. Al solo vederlo sentì un brivido lunga schiena. Si voltò verso di lui. Gli sorrise. Doveva recitare e fare buon viso a cattivo gioco. Doveva essere un finto medico. Fu allora che ebbe un’idea. Forse aveva trovato un modo per svignarsela.
«Devo andare in bagno.»
«Non può.»
«È urgente.»
«Non può.»
«Me la farò addosso.»
«Pazienza.»
«Bagnerò il letto.»
«Cambieremo le lenzuola.»
«Sono un uomo libero e vado dove mi pare.»
«Non può. Ho i risultati dei suoi esami. È malato.»
«Non ci credo.
«Ci creda. Non ho motivo di mentirle.»
«Lei dice fesserie!» urlò Andrea tossendo come un cane rabbioso.
«Vede che tosse che ha!»
«Sono le sigarette.»
«No, non sono le sigarette.»
«La smetta di spaventarmi.»
«Che lavoro fa?»
«L’autista.»
«Ha indossato la mascherina e i guanti?»
«No, perché? Avrei dovuto?»
«Eh sì!»
«Vi siete messi d’accordo?»
«Con chi mi sarei dovuto mettere d’accordo?»
«Con Nino! Siete tutti contro di me! Anche lui pensa che ho il virus.»
«Ha ragione.»
«Lo conosce?»
«Sì, è lui che ci ha chiamati.»
«Traditore. Ora ho le prove. Me la pagherà!»
«No, è un salvatore.»
«Il suo nome è Nino. Non si chiama Salvatore.»
Il medico scosse la grande testa. Gli venne da ridere. Si guardò intorno, posò per qualche istante gli occhi miopi sulla stanza vuota, tirò un sospiro, e poi suonò un campanello che era vicino al letto.
«Pensi pure ciò che le pare.»
«Mi lasci andare.»
«Non posso. Lei ha il Coronavirus!»
«Il virus non esiste.»
«Invece sì. Eccome se esiste!» rispose beffardo l’uomo.
«Lei mente. Ora le mostro un altro video in cui … forse finalmente capirà!» urlò Andrea strabuzzando gli occhi e accalorandosi come se fosse in una tribuna politica.
«Si fidi: lei ha il virus. Sono un dottore.»
«Lei è un ciarlatano. Volete incastrarmi, ma non ci riuscirete.»
Il medico si passò una mano sotto il mento. Quella situazione richiedeva molta calma e spirito di riflessione. Sicuramente si trattava di un soggetto ansioso, piuttosto singolare, una specie rara, anche difficile da trattare. Un caso non contemplato nei manuali di medicina. Un po’ come il virus. Per prima cosa doveva trovare un modo per calmarlo, poi si sarebbe occupato di tutto il resto.
«Si rilassi. Tra un minuto verrà un infermiere e le darà un sedativo.»
«Volete torturami? Avete capito che so tutto! Ma non ci riuscirete!»
«Lei ha i nervi scossi. Ma quale tortura! Io sono un medico.»
Andrea però non gli credette. Tentò di alzarsi dal letto, ma si bloccò alla vista di un uomo enorme che entrava in stanza. Pensò che fosse la fine. Era venuto per farlo fuori. Non c’era via d’uscita. Era in trappola e da lì non c’era alcuna via di fuga. Non gli restava come ultima possibilità che implorare la pietà del medico, che stava andando via.
«Aspetti. Se mi dà un minuto le mostro un video. Le farò capire che questa storia è una bufala!» gridò disperato l’autista.
Il medico però non lo ascoltava più. Si allontanò da lui. Fece segno all’infermiere di dargli un calmante e andò via.
«Arrivederla. Al risveglio vedrà che si sentirà meglio!»
«Caro…gna!…Torni qui. Mi dia un secondo. La aiuterò a capire. È tutta una bufala… Il virus non esiste!»


Francesco Capaldo, è nato a Nocera Inferiore (SA), vive a Firenze dove insegna italiano e latino nelle Scuole Superiori. Dottore di ricerca in Italianistica, ha studiato la cultura letteraria dell’Ottocento e gli aspetti filologici e codicologici della produzione letteraria di Leopardi (Genesi e varianti delle Operette Morali, Emil, 2016); si è inoltre occupato di Pasolini e della poesia di Sereni, Raboni, e D’Annunzio. Ha esordito come narratore con la raccolta di racconti Narciso (Ippogrifo 2005), e poi con il romanzo Fino in fondo (Edizioni Progetto Cultura 2008). Nel 2017 è uscita la raccolta di poesie La promessa del giorno (Ladolfi editore) e nel 2018 il dramma teatrale La signora Orlandi (Ladolfi). Ha curato inoltre nel 2019 per Giunti editore un commento ai Canti di Leopardi. Collabora con il quotidiano online ‘Pickline’. Fa parte della redazione della rivista ‘Gradiva’ (Olschki editore).

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1 commento

  1. da leggere, per sorridere un po’

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