Piantate nel centro della piazza un palo con
una ghirlanda di fiori, radunate il popolo e avrete una festa.
Fate ancora di più, fate degli spettatori
uno spettacolo: fateli diventare attori anch’essi
”1

Rousseau, Lettre a D’Alembert


di Luigi Filadoro
L’arte, riprendendo una definizione di Argan, è “una delle culture dell’uomo”, e ci offre informazioni sul pensiero visivo di una comunità, sulla sua identità, tradizione e capacità di innovazione. Il museo è il luogo che raccoglie e mostra, in modo temporaneo o permanente, le forme di questa cultura ed effettua ricerche sulle testimonianze materiali ed immateriali dell’uomo e del suo ambiente, secondo una recente definizione dell’ICOM2.

La relazione tra questi due luoghi, l’arte e il museo, è insieme ulteriorità e prossimità, poiché rimandano il primo ad un’esigenza di compimento e l’altro ad un’intenzionalità regolativa.

L’arte può osare il suo potere immaginifico attraverso azioni trasgressive e corrosive, e arricchire di nuove immagini l’universo del già noto. È ormai condivisa la sua importanza (e della formazione estetica che include anche la parola, il suono e il gesto) come insegnamento di base, fondamentale e decisivo per l’accrescimento della personalità degli individui. Per Schiller solo l’educazione estetica forma compiutamente l’uomo, la bellezza è la condizione necessaria dell’umanità e non si dà educazione senza un’educazione estetica, che è fondamento di ogni armonia ed elemento equilibratore di sensibilità, razionalità, eticità. Anzi: “solo l’educazione estetica è in grado di mediare il passaggio dall’uomo fisico all’uomo morale”.3

Un serio progetto di educazione estetico-artistica, pur “non violando mai la spontaneità e l’inventiva dei fanciulli, bisogna non abbandonarlo al caso e al capriccio: occorre sapientemente utilizzare un piano di lavoro ben meditato, in rapporto all’insegnamento” e considerare che “la vita va cercata e studiata al di fuori della scuola il più possibile”4. E non consiste nel mettere in piedi un’attività ogni tanto o attivare un laboratorio a lato di altre attività, bensì adottare un’impostazione che “una volta scelta, permea tutta l’attività educativa” e “diviene stile metodologico dell’educare”.5
Come nel progetto moderno, che puntava al cambiamento degli assetti sociali esistenti e al miglioramento della qualità della vita individuale e collettiva attraverso l’arte, un progetto estetico-artistico deve insegnare a guardare (con l’arte) la vita e tendere a conservare, a sviluppare e portare alla consapevolezza un’ intensità originaria (Dewey) “delle reazioni del bambino alle qualità sensorie dell’esperienza e (…) una rivalutazione appassionata del valore della percezione (…) che è legata alle vicende dell’arte contemporanea, la quale ha posto in più di una occasione – almeno a partire dall’impressionismo – il problema di una educazione della percezione visiva nella convinzione che senza la capacità di una presa sensoriale sul reale non c’è la possibilità di una esperienza estetica della realtà”.6

Un’educazione artistica (che intenda educare all’arte e con l’arte) considera “il soggetto e la vita quotidiana termini di riferimento fondamentali (…) e lo spazio estetico diventa il luogo privilegiato per il movimento dell’individuo verso una piena realizzazione di sé. Il modello è dato dall’attività artistica recuperata come procedimento, che trova in se stesso motivazioni e finalità che assume, appunto per questo, il significato di un lavoro in cui le facoltà creative del soggetto trovano un libero e pieno dispiegamento. La condizione, necessaria anche se non automaticamente sufficiente, è che l’arte superi la separatezza dell’opera finita e si trasformi in esteticità diffusa e, per il tramite di questa, in un diverso esercizio della vita quotidiana”.7


Il museo è “macchina a funzionamento simbolico (…), venerata
e politicamente usata” ed è “la più enigmatica delle istituzioni culturali occidentali”.8
Si pone come prossimità, ci offre dei dati (le opere) che richiedono una decodifica, una seriazione e una rigorosa interpretazione almeno storico-culturale. Agli inizi del Novecento si sviluppa un ampio dibattito teorico sulle sue funzioni e Marinetti, nel Primo Manifesto del Futurismo del 1909 pubblicato sulle pagine del “Le Figaro” lancia l’invettiva: “Noi vogliamo combattere accanitamente la religione fanatica, incosciente e snobistica del passato, alimentata dall’esistenza nefasta dei musei”. Questo provocatorio grido di battaglia, levato non tanto contro il museo in sé ma contro l’accademismo col quale il museo si identificava, non ha avuto fortunatamente il successo sperato e nel XX secolo l’istituzione museale prolifica copiosamente, si arricchisce di nuovi compiti e si trasforma sempre di più, da semplice contenitore e conservatore di oggetti, in produttore di cultura. Più recentemente dalla “riflessione sul museo che da tempo si sta svolgendo, risalta che esso si apre ad una molteplicità di relazioni con il mondo esterno per diventare epicentro di una serie d’iniziative culturali a più vasto raggio, dove si collegano competenze interdisciplinari che la stessa presenza d’opere d’arte è in grado di attivare”9.
Nell’ambito della produzione e trasmissione culturale entra in gioco il ruolo della didattica, strumento principale per garantire al museo un’azione culturalmente incisiva nella società.

La Scuola ha avviato, in tempi relativamente recenti, un processo di riforma dei curricoli che ha trasformato radicalmente il concetto di formazione e che favorisce l’acquisizione di “competenze trasversali” con maggiore attenzione ai processi, alla qualità degli apprendimenti, all’interdisciplinarità. Emerge l’importanza di collegare le attività formative ad apprendimenti successivi, ad esperienze esterne all’ambito scolastico, ad un progetto di vita personale e professionale aperto al futuro con l’elaborazione di molteplici sé possibili.

Il progetto Bambini e Musei considera l’ambiente museale un’aula decentrata e osservare ogni volta lo stupore di bambini e ragazzi tra le sale e davanti alle opere, richiama alla mente lo spettatore estraniato e spiazzato davanti alla porta dell’étant donnés di Marcel Duchamp allestita in un museo americano. E l’unico rimedio per placare la sensazione di estraniamento è metterli in condizione di trovare lo spioncino da oltrepassare con lo sguardo per vedere la scena che nasconde.
Étant donnés, sappiamo, è l’opera realizzata da Marcel Duchamp in gran segreto per 20 anni ed esposta per la prima volta dopo la sua morte al Philadelphia Museum of Art, che si presenta come una porta di legno a grandezza reale con due fori dai quali è possibile osservare la scena, i cui elementi che la costituiscono sono enunciati nel titolo dell’opera: un calco in gesso di una donna nuda e acefala che tiene in mano una lampada a gas con alle spalle un paesaggio bucolico nel quale si scorge una cascata.

Opera polimaterica, che assembla materiali diversi ed eterogenei, ma soprattutto un progetto.
Al di là delle intenzioni dell’artista e dell’interpretazione critica copiosa e discorde che ha generato, quello che conta e qui interessa evidenziare è lo sguardo, il fatto di guardare, di oltrepassare la scena con l’intrusione del nostro sguardo che fa il “quadro”. È lo sguardo a trasgredire la prossimità di una porta che rimane e rimarrà chiusa. Un’evidenza che ci richiede una decodifica e una posizione da assumere per intenzionarci a guardare, cogliendo la differenza tra occhio e sguardo.

Lo sguardo all’arte è un’esperienza pensante, un immergersi nella visibilità così come si presenta ai nostri occhi, mostrandoci anche opacità e discrepanze attraverso linee, forme, luci, ombre, riflessi e colori. Per dirla con Merleau-Ponty, “da Lascaux ai giorni nostri, pura o impura, figurativa o non figurativa, la pittura” –ma crediamo tutta l’arte– “non celebra mai altro enigma che quello della visibilità”10.
Considerare questa prospettiva significa stare nel sentiero dell’arte, evitare una referenzialità soltanto frontale e contemplativa a favore di un’erranza che abita lo spazio artistico. Ma significa anche andare oltre la sola pratica laboratoriale relativa ai materiali, le tecniche, i procedimenti e, in breve, la produzione oggettuale, per cogliere la vocazione generativa dell’arte e dell’opera che, trasferita nei processi didattici, realizza l’esigenza di educare all’arte e con l’arte.

La prossimità del museo, si diceva poc’anzi, richiede una seriazione, una classificazione, un calcolo. Le sale del museo diventano aula decentrata perché laboratorio, luogo di studio e sperimentazione delle questioni che ci propone.
Attraverso le visite del progetto Bambini e Musei i bambini e i ragazzi sono immessi immediatamente, con la copia “dal vero”, in un procedimento che pone una problematicità “geometrica” e che richiede soluzioni immediate attraverso passaggi logici, poiché “ la geometria è per le arti plastiche quello che è la grammatica per l’arte dello scrittore”11: osservare e riprodurre obbliga a intuire proporzioni, relazioni e ordini di grandezza tra le parti; riportare in una scala l’oggetto osservato sottopone a verifica e a

ripensamenti le proprie osservazioni dopo un processo “matematico”. Inoltre, considerando la natura polisemica dell’arte e la sua capacità di significare alterità, avvicina l’opera e la pone a misura di osservazione fornendo maggiori strumenti e dettagli per decifrare l’esperienza e diminuire quel quoziente di ostilità che sempre l’estraneo e ciò che è radicalmente altro da sé possono veicolare.
Questi elementi di partenza, rilevati dalla prossimità del museo e delle opere, diventano laboratorio, trasformati in materiale di apprendimento, scoperta e costruzione di significati ulteriori. Attraverso approfondimenti e rielaborazioni, rinforzati dai linguaggi, dalle idee e dalle esperienze dell’arte, dall’utilizzo creativo delle tecnologie informatiche, diventano progetto. Anche in questa fase lo sguardo assume un ruolo fondamentale, poiché rivede e ripensa i segni in una forma differente, attraverso un procedimento che è collage e colore, perché l’arte è comunque e sempre materia concreta e ogni esperienza di arte visiva si dà in una forma (immagine) che è, per sua natura, ambigua e paradossale: né simile né analoga all’oggetto che rappresenta eppure tra i più accreditati sistemi di testualizzazione disponibili nella nostra cultura.
Depero, le sue immagini pubblicitarie e la grafica in generale (per le esigenze di sintesi e di comunicazione immediata che richiede), Andy Warhol e molti altri artisti diventano tracce e linguaggi per trasferire poetiche e nutrire il materiale raccolto di altre traiettorie.
Ogni contributo, rielaborato, viene restituito in laboratorio insieme ai bambini in una nuova dimensione e ripresentato, grazie all’utilizzo di semplici e reperibili programmi di editing e ritocco, in uno spazio “pittorico” che diventa lineare alla maniera moderna di Le Damoiselles d’Avignon, dove il senso della distanza tra i singoli elementi, lo sfondo e ogni riferimento naturalistico sono annullati e collocati sulla superficie priva di tridimensionalità.



Il parallelo e l’utilizzo di forme e testi d’arte “storicizzati”
, sempre offerti in maniera generosa allo sguardo, è “materia viva” chirurgicamente sezionata e ricomposta nella quale si innestano nuove forme e nuovi significati che rivelano particolare fascino e pregio estetico nei prodotti iconici dei bambini assai prossimi all’espressione artistica.
Certamente i bambini non sono artisti né gli artisti sono bambini, anche se non pochi di essi hanno paragonato le loro opere proprio a quelle dei bambini, ma è innegabile che a partire dagli studi avviati nel primo Novecento sull’educazione all’arte, sull’arte nell’infanzia e la rappresentazione artistica nel bambino ci sono stati interventi di artisti come Paul Klee, Jean Dubuffet e di una gran parte del Bauhaus.
Perché “arte è anche il fanciullesco sgorbio; e tutti i bambini, a loro modo, fanno dell’arte”12

In questa fase (di rielaborazione in classe e in laboratorio) il progetto Bambini e Musei assume una dimensione di forte condivisione: i laboratori sono condivisi da vari gruppi della stessa e di altre comunità educanti, condivisi con un pubblico nell’ambito di una esposizione in una visione “integrata”, partecipativa e sociale.
In tutte le istituzioni museali in cui ha agito, Bambini e Musei ha portato la festa come modello, così come negli happening delle neo-avanguardie e nelle serate futuriste e dadaiste delle avanguardie storiche: una moltitudine di bambini e ragazzi ha praticato e vissuto in maniera teatrale e da protagonista uno spazio che è, almeno, sospensione del tempo usuale a favore di quello creativo.
La festa è anche luogo-emblema del lavoro di artisti come Joseph Beuys – che non per caso ricorre negli interventi dell’associazione étant donnés – convinto dell’arte come rigeneratrice e motore dell’impegno al cambiamento a cui Andy Wharol – che non per caso è altro riferimento costante nella progettualità dell’associazione étant donnés – oppone il mito totalizzante e consumistico dell’anonimo, della ripetitività e del banale.
Irruzione ed epifania nel rapporto tra arte, pedagogia dell’arte e istituzioni nel solco di una riformulazione.


Luigi Filadoro Progettista didattico

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1 citazione da “La festa, l’ornamento” in A. Trimarco, Il presente dell’arte, Siracusa 1992
2 L’ICOM (International Council of Museums) è stato creato nell’ambito dell’UNESCO nel 1947
3 Friedrich Schiller, Lettere sull’educazione estetica dell’uomo, Firenze 1970
4 Giuseppe Lombardo Radice, Didattica Viva. Esperienze e problemi, Firenze 1951
5 Luigi Pareyson, Etica ed estetica in Schiller, Milano 1983
6 Filiberto Menna, Sulla educazione artistica, 1966. I riferimenti al testo sono tratti dall’articolo di A. Tolve “Insegnare a guardare (con l’arte) la vita – Educazione artistica e cambiamento sociale”, Opera Viva Magazine https://operavivamagazine.org/insegnare-a-guardare-con-larte-la-vita/
7 Filiberto Menna, Il progetto moderno dell’arte, Milano 1988
8 Lanfranco Binni, Giovanni Pinna, Museo: Storia e funzioni di una macchina culturale dal Cinquecento a oggi, Milano 1980
9 Cecilia De Carli, (a cura di), “Education through art”. I musei d’arte contemporanea e i servizi educativi tra storia e progetto, Milano 2003
10 Maurice Merleau-Ponty, L’occhio e lo spirito, Milano 1989
11 Guillaume Apollinaire, I pittori cubisti, Milano 2003
12 Giuseppe Lombardo Radice, La buona messe, Studi sul linguaggio grafico dei fanciulli, Firenze 1927



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1 commento

  1. Speriamo che presto i nostri Musei possano essere impreziositi anche dall’allegra creatività di bimbe e bimbi, ragazze e ragazzi, artefici di laboratori sempre più coinvolgenti.

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