Pochi giorni fa ho provato a sviluppare qualche riflessione intorno alla vicenda dei Dazi scatenata da Trump all’interno di una sua strategia che sta mettendo in discussione capisaldi fondamentali del neoliberismo, sempre dagli USA promanato, e che si presenta come risposta, da destra, alla sua crisi in un impasto di neo protezionismo economico e logica imperiale in campo politico ( https://www.infinitimondi.eu/2025/04/04/note-a-margine-19-dei-dazi-della-sfida-vera-per-leuropa-e-per-litalia-quante-vestali-del-neoliberismo-in-giro-in-europa/ ).
Michele Mezza, e lo ringrazio, ha voluto nella chat degli Amici di Infinitimondi, impegnarsi in una valutazione critica di quelle riflessioni: la trovate di seguito:
” Caro Gianfranco Proprio non sono convinto del metodo che proponi, ossia di dover convincere la destra a non fare la destra invece di porsi il problema di quale sinistra e come possa cambiare i rapporti di forze. Ma perché Trump non deve fare il protezionista, dopo che ha vinto clamorosamente un’elezione annichilendo l’emblema del progressismo moderato quali sono i democratici americani ( di cui non vedo nessuno segno di ripresa anzi noto che il governatore della California si sta accodando all’oscurantismo Trumpista)?
Perché la globalizzazione doveva essere inclusiva socialmente se ,pur governando molti paesi occidentali, ci siam ben guardati dal contrattare le derive speculative, proponendo invece modelli alternativi che non Fossero nostalgiche revanche di un tempo che fu o peggio la difesa delle lobbies localistiche come gli agricoltori francesi ?
Insomma la lotta politica non si può sostituire con le prediche all’avversario. Il punto è che siamo ad una nuova marca di capitalismo che declina potenza di calcolo e consenso popolare al sovranismo. Dobbiamo decidere se spingere uno sviluppo socio tecnologico che acceleri le tendenze al decentramento e partecipazione. Oppure rinserrarci nei capitalismi nazionali
Questa è la prima scelta da fare poi discendono mille opzioni locali , fra cui, ricordo, quella di spostare le alleanze dalla linea est ovest a quella nord sud ,magari trovando una sinistra che voglia abolire i dazi sull’agricoltura che da decenni stanno affamando i paesi africani e proteggendo la proprietà agricola più rocca del mondo al centro dell’Europa e dell’Italia .Per fare questo dobbiamo guadagnarci sul campo la rappresentanza di forze e ceti sociali che posso o essere parte di una vera battaglia democratica ,a partire dalla riprogrammazione dei processi tecnologico in una chiave di i dipendenza del nostro paese e dell’intera Europa .Su questi punti quale sinistra troviamo ? E quali interessi sociali sono mobilitabili per rovesciare lo scontro sui dazi in una strategia internazionale di sviluppo e trasparenza ? “.
Caro Michele, ovviamente, non discuto il punto di vista tuo sulle mie poche riflessioni: è lì. Poi io credo di aver fatto tutto un discorso riferito al che fare della sinistra e della sinistra in Europa, sarò stato poco chiaro, ma vabbè.
Voglio solo sottolineare un punto per un confronto che dovrà darsi sedi giuste e distese per svilupparsi. Anzi la faccio subito la proposta di cui avevamo già discusso insieme poco tempo fa e che poi è tornata nel bel confronto che abbiamo avuto a Roma, al CRS alla presentazione del volume della collana di Infinitimondi Pensare il Mondo, con anche Pietro Folena e Vincenzo Vita insieme a Claudio De Fiores e Pasqualina Napoletano ( https://centroriformastato.it/al-tempo-di-trump-musk/ ) : costruiamo un approfondimento specifico proprio intorno ai nodi di quello che Pietro Folena definisce socialismo digitale e su cui tu ti stai spaccando la testa da anni e che possiamo anche sintetizzare così: in che modo la sinistra ( quale? con chi? per chi? ), può tornare in campo per davvero misurandosi, con la critica , finalmente ( dove l’avverbio è riferito sia alla scelta di misurarsi senza scappare dai problemi che a farlo criticamente, e quindi non in modo subalterno ), con i punti più alti dello sviluppo e con la potenza tecnologica. Poi questo approfondimento potrà tradursi in tante cose, compreso un nuovo volume di questa collana Pensare il mondo che abbiamo immaginato con Infinitimondi esattamente per questo: contribuire a ricostruire una bussola in questo tempo di tempesta.
Il punto quindi che invece voglio sottolineare riguarda l’alternativa che poni tra globalizzazione e nazionalismo. Tale per cui sembra quasi che se sei critico con la globalizzazione tu sia necessariamente – più o meno consapevolmente – favorevole alla deriva nazionalistica.
Io considero falsa questa contrapposizione.
Penso che la globalizzazione reale che abbiamo vissuto, dopo la fine del socialismo reale, non abbia rappresentato l’alba di una nuova umanità ( come invece in Europa e a casa nostra si continua a pensare e come si legge nei principali commenti dei nostri opinionisti rispetto a Trump ): tant’è che ci stiamo misurando insieme con guerra come centro del discorso pubblico, ingiustizie sociali neofeudali, crisi climatica ad un passo dalla irresolubilità. Tutto insieme. Che il salto tecnologico non abbia nulla a che vedere con questo, o che sia neutro rispetto a questo faccio difficoltà a comprenderlo. Mi sembra che esso anzi si presenti come in qualche modo motore e acceleratore del tutto. Una valutazione del genere ha del neo-luddismo incorporato? No, e perchè? Io rivendico il diritto a rifiutare l’idea che la modernità si presenti come una traiettoria oggettiva e naturalmente vocata al progresso, in un paradossale ( ma non tanto ), impasto di storicismo idealista e di positivismo di ritorno. Anzi credo che sia proprio qui che si qualifichi un discorso di sinistra.
Al tempo stesso faccio difficoltà a non vedere la reazione nazionalistica ( e populistica, di destra, revanscista…), come espressione della crisi di questo modello, crisi drammatica, e che ad essa non si possa rispondere con un nuovo salto in termini di definitivo svuotamento delle funzioni degli stati nazionali senza neanche porsi il problema della ricostruzione di una nuova dimensione della sovranità popolare, a livello nazionale e, per quanto riguarda questa parte del mondo, anche a livello europeo. Ed è solo costruendo un demos europeo, con sue istituzioni, diritti e poteri, che l’Europa potrà riprendere il suo cammino uscendo dalla sua di crisi. Senza questo, semplicemente l’Europa come soggettività politico-istituzionale scompare.
Siamo ad un passo dal delegare, per scelta europea e dei governi dei suoi stati, l’estremo potere, quello di dichiarare guerra, ad una nuova tecnocrazia militare continentale: può essere accettabile?
Caspita se c’è da discutere.
Gianfranco Nappi