La vera responsabilità di Trump in campo economico è la stessa di un paese, gli USA, che con il suo apparato tecnologico-finanziario-militare, dopo l’89/’91 del secolo scorso ha spinto per una globalizzazione detta dei diritti ma invece praticata dei mercati sregolati e che dal 2007/2008 lascia dietro di se’ macerie sociali, ambientali e, sempre di più belliche. E che ora – ma la storia era già cominciata con il primo Trump e proseguita con lo stesso democratico Biden – con una accelerazione che sa di disperazione, questa sì del tutto nuova e in qualche modo vero salto, prova a ricostruire una dimensione non di egemonia sul mondo ma di potenza neoimperiale che antepone i suoi problemi ad ogni altra cosa.

La lenzuolata di dazi presentata il 2 aprile appare come il tentativo disperato appunto di determinare le condizioni, forzate, di un reinsediamento industriale negli Stati Uniti che generi lavoro e ricchezza in patria mentre probabilmente genererà proprio in quel paese nuove fiammate inflazionistiche sul breve e medio periodo, che colpiranno direttamente proprio quel popolo, quella classe lavoratrice di cui ieri il Presidente americano si è voluto plasticamente e strumentalmente circondare mentre – o con una risposta in termini di contro-dazi o di riattrezzatura tecnologica, fino ad ora sostanzialmente lasciata agli USA, o con un mix delle due cose insieme – gli altri paesi, a cominciare dall’Europa, potranno costruire risposte che accentueranno proprio le difficoltà economiche della classe popolare statunitense ( i contro-dazi eventuali ), o ridurranno ( finalmente verrebbe da dire ), i margini monopolistici dei Big della rete e della finanza, che pure circondavano a corona gongolante il neopresidente all’insediamento.

Se le cose andranno così non è impossibile immaginare in un irrigidimento generale delle relazioni internazionali, in un difendersi di ciascuno contro tutti gli altri, un impazzimento in fondo al quale, la storia ce lo ha già abbondantemente insegnato proprio nel cuore dell’occidente nel novecento, l’esito di una conclamata affermazione della guerra come un’unica, illusoria non meno che tragica, via d’uscita: il tono, l’impeto, la sicumera, l’arroganza del discorso pubblico di Trump , come di Vance o di Musk, sono il sostrato di un drammatico ‘siamo pronti a tutto se non vi adeguate’! Politica di potenza allo stato puro.

Eccolo il salto che avviene nella prima potenza nucleare al mondo.

E la Cina, seppur con risposte misurate a parole nei fatti sta già mostrando i suoi muscoli. E se Trump dice che la Groenlandia deve essere sua, dall’altro lato, intanto, si esibisce una delle più imponenti esercitazioni militari che chiude Taiwan in una morsa e, senza timori, si esibiscono anche le cartine degli attacchi mirati a infrastrutture, aeroporti, città di Taiwan….

La Russia sembra invece voler stravincere a tavolino quando invece esce provata, economicamente e militarmente, da tre anni di guerra che se sono stati devastanti per l’Ucraina, certo in termini di morti e di risorse bruciate non lo sono stati meno per la Russia.

Quella Russia che, ancora in queste ore nel Parlamento europeo viene indicata come possibile protagonista di una invasione dell’Europa in un disegno espansionistico e imperiale…

Ed eccola quindi l’Europa, l’altro spazio mondiale che avrebbe da dire e da fare.

Continua a tacere sulla Palestina. Tace su quell’Israele sostenuto non nel suo diritto a vivere, che nessuno mette in discussione ( o ne ha neanche lontanamente la forza ove volesse farlo ), ma nell’azione del suo Governo che sta praticando una linea di massacro continuo e indiscriminato. Una macchia che rimarrà indelebile sulle coscienze.

E invece questa Europa, dice e fa e, assolutamente in linea con lo spirito del tempo, avanza un piano di discorso e di scelte, gli 800 miliardi per il riarmo, che non è meno scellerato di quanto avviene oltre oceano.

E si straccia le vesti, l’Europa, per il sacro libero mercato che i dazi mettono in questione; per un paese, gli USA, che da primo alleato si scopre fare un gioco spregiudicato e tutto suo e che definisce semplicemente parassita la culla dell’Occidente…

Certo c’è da rimanere impressionati.

E così l’Europa non accenna a rispondere, come invece dovrebbe e potrebbe, restituendo a se’ stessa, e al mondo intero per questa via, un ruolo attivo e positivo che forse solo potrebbe spezzare il corto circuito nel quale siamo immersi.

Ci si potrà tornare su nei prossimi giorni.

Il problema è che la rottura che, da destra, opera Trump negli Stati Uniti, avrebbe bisogno non di essere rincorsa a destra e in continuità con se’ stessa dall’Europa perchè in questo modo non si recuperano nè il piano inclinato su cui si sta ballando nè spazio positivo per il vecchio continente: su riarmo, migrazioni e fonti energetiche con il rilancio del nucleare, la rincorsa con gli USA a chi fa peggio è già aperta. Vedremo ora sui dazi.

Negli USA, come ci raccontava Pietro Folena al seminario del 2 aprile al CRS a Roma sul volume Pensare il Mondo ( https://www.infinitimondi.eu/2025/04/03/confronto-importante-al-crs-a-roma-sul-volume-della-collana-pensare-il-mondo-accolta-lidea-di-un-seminario-a-napoli-tra-centri-di-ricerca-e-riviste-a-sinistra-il-video-della-discussione-ora-lu/ ), questa rottura con il ‘come siamo stati’ dei Democratici sta avvenendo proprio in risposta alla rottura trumpiana e non a caso ne sono protagonisti il vecchio ma vitalissimo Bernie Sanders e la giovane e combattiva Alexandria Ocasio Cortez.

L’Europa avrebbe bisogno di una rottura non meno radicale con quel che è stata in questi ultimi tre decenni di sua costruzione.

Perchè la crisi sociale e democratica che l’Europa sta vivendo, la crescita di fenomeni gravi di razzismo, di nazionalismo ritornanti, di odio perfino verso chiunque e qualunque cosa altra, compresa l’insorgenza antisemita, è figlia del tipo di globalizzazione perseguito. Dell’avere deliberatamente concorso a smantellare il proprio stato sociale favorendo processi dilaganti di privatizzazione e di finanziarizzazione; dell’avere abdicato ad ogni autonomia tecnologia all’epoca della rivoluzione digitale del tutto appaltata ai grandi monopolisti della rete americani , e cinesi, proprio quando, ce lo ricorda Michele Mezza in tutte le sue più recenti riflessioni, la sovranità tecnologica è condizione prima anche di sicurezza…; dell’ avere scelto la strada non dello sviluppo comune con altre aree del mondo, a cominciare da quelle a oriente, ma invece della utilizzazione di quella apertura per assicurare lo sfruttamento più accentuato del lavoro a casa propria, con lo smantellamento dei suoi diritti e la sua frantumazione in una condizione sempre meno sostenibile socialmente e umanamente; dell’avere incentivato la delocalizzazione produttiva più spropositata dal punto di vista della pura razionalità dei bisogni e motivata solo dall’allungamento delle filiere produttive e di scambio, non per allargare le relazione tra le diverse parti del mondo ( fallout secondario che per fortuna in una certa misura comunque c’è stato ), ma per assicurare i più alti margini di profitto, e con la generazione però di un vero e proprio salto nella crisi climatica; dell’avere fatto sì che non per scoprire un capo di abbigliamento, un cibo, un prodotto artigianale o un manufatto particolari realizzati da un altro paese e da rendere presente anche in mercati lontani da quelli di origine ( cosa in se’ parte di una potenziale visione da sviluppo comune e positiva ), ma per reperire anche beni quotidiani di consumo e alimentari si sia determinata la situazione tale per cui in Europa è venuta a mancare ogni capacità produttiva autonoma ( credo ricordiamo ancora tutti un intero continente che in piena pandemia era totalmente dipendente dalla importazione di mascherine…); dell’avere costruito un sistema economico dei singoli paesi sempre più dipendente dalle esportazioni in ragione – e insieme fattore determinante – della compressione della quota di ricchezza destinata al lavoro: e in Italia si è stati drammaticamente superlativi nel determinare la condizione di quasi un meno 9% netto di calo del potere di acquisto di salari e stipendi rispetto al 2007/2008, gli anni della grande crisi.

E ora checchè se ne vanti la Presidente del Consiglio rispetto alla sua amicizia con il Presidente americano, come la metti e la giri, Italia e Germania sono tra i paesi più esposti rispetto alla strategia americana.

Tutti questi sarebbero i punti critici da cui riavviare una rottura con quel che sei stato fino ad ora: un’altra idea e un’altra pratica di Europa senza la quale l’Europa non si salva.

Ma di questo l’Europa non parla. Nè parlano gli Europeisti. O presunti tali. Nelle diverse declinazioni democratico-socialistiche. Ma se taci su questo, a cosa ti riduci?

Gianfranco Nappi

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