Non mi convincono le prevalenti analisi che accreditano alla leadership di Elly Schlein il risultato lusinghiero del PD. Ancora meno in particolare il commento di chi – cito fra tutti Mauro Calise – attribuisce proprio all’azione della segretaria l’energia che ha scosso le liste democratiche.
Indubbiamente il vertice del PD ha avuto il merito di comporre un efficace combinazione con le candidature, mettendo in gioco le forze motrici che ancora rimanevano al partito, E la dinamica , a volte anche con attriti che non possono sfuggire, si è vista.
I dati ci dicono che rispetto a quanto temuto, il partito democratico ha segnato, unico fra quelli in lizza, un solido incremento di suffragi sia in percentuale, con ben 5 punti in più sulle precedenti europee, che in termini assoluti, valgono ben 200 mila voti in più raccolti rispetto alle ultime elezioni politiche del 2022, nonostante il forte astensionismo.
Si consideri che la trionfante Meloni ,che pure accumulato una performance di quasi il 29 %, in termini assoluti ha dovuto registrare un’emorragia di più di 700 mila suffragi in meno delle politiche di due anni fa. Non parliamo poi dei grillini.
In tempi in cui il vento di destra scompagina ogni scenario in Europa sarebbe davvero già questo un bilancio confortante che ci direbbe che la caduta si è interrotta e qualcosa si intravvede all’orizzonte. Una constatazione tale da giustificare l’euforia con cui il folto gruppo dirigente del nazzareno si è presentato nella notte dello spoglio dinanzi alle telecamere.
Ma in realtà sono due i nodi su cui la segreteria Schlein rimane vulnerabile: il primo riguarda proprio la dinamica elettorale, il secondo, più di fondo, la strategia politica per poter realmente mettere in scacco la maggioranza.
Sul primo punto l’aspetto più problematico è proprio la distribuzione territoriale dei consensi e la combinazione fra voti di lista e preferenze.
La geografia del voto ci dice infatti che il PD continua a non recuperare nelle regioni del nord.
Nella circoscrizione del nord ovest- Piemonte, Lombardia e Liguria- siamo addirittura sotto la soglia di 5 anni fa, con la sconfitta per altro alle regionali piemontesi, mentre in quella del nord est solo grazie all’exploit dell’Emilia e Romagna si supera il dato delle europee precedenti.
Con l’Emilia, anche la Toscana e l’Umbria, nella circoscrizione centrale, fanno tornare il sorriso ai dirigenti democratici, riecheggiando i primati delle ex regioni rosse.
Sembra quasi che dopo esattamente mezzo secolo, diciamo dalla fine degli anni 60, a fronte di una marginalità dalle aree più avanzate del nord, temperato solo dagli insediamenti metropolitani a Milano , Torino ma anche nelle città medie pedemontane come Bergamo e Brescia, la sinistra torni ad annidarsi in quel crocicchio tosco-emiliano –umbro, dominato da un tessuto artigianale e cooperativo, che l’esplosione tecnologica ha tonificato, rimettendolo sul mercato.
Ma questo miracolo è stato coltivato e accompagnato proprio dalla parte del partito collegata all’ex presidente della regione Emiliana Bonaccini,che ha potuto segnare un vero record delle preferenze, più di 320 mila,largamente superiore a quanto raccolto dalla segretaria, attuale leader della componente se non di opposizione certa critica rispetto alla gestione dell’attuale segreteria. Questo risultato non rimarrà inerte nella dialettica interna. Bonaccini grazie a questa impennata potrà pretendere il ruolo di capo gruppo a Bruxelles ipotizzando una specie di governo ombra a livello europeo del partito.


Ancora più netto il dato nelle due altre circoscrizioni in cui il PD ha segnato dati importanti, come quella del centro e del sud. Nel collegio che comprende Lazio, Toscana , Marche, Umbria e Abruzzo è stata incontrovertibile l’affermazione del partito dei sindaci – Nardella e Ricci- che ha trovato una piena sintonia con le correnti capitoline del tutto distinte dalla segreteria nazionale. I signori delle preferenze romani, raccolti attorno al sindaco Gualtieri, hanno usato proprio le candidature dei due ex sindaci di Firenze e Pesaro per pesare il proprio seguito, e segnalarsi in vista delle prossime scadenze elettorali. Una pressione che ha fatto soffrire persino uno dei ras delle preferenze come l’ex presidente della regione Lazio, nonché ex segretario del partito Zingaretti. Anche qui la squadra della segreteria non ha certo interferito in questo torneo delle cordate.
Ancora più evidenti sono i padri dell’affermazione, indubbia, nel Mezzogiorno, l’unica circoscrizione dove il Pd supera anche Fratelli d’Italia.
Qui il traino che fa correre la lista democratica è l’ex sindaco di Bari De Caro, partener dell’emiliano Bonaccini,che arriva a sfiorare da solo il mezzo milione di preferenze, doppiando la segretaria e staccando tutti, pur essendo candidato in una sola circoscrizione.
Insieme a De Caro anche si sono alternate le combinazioni di candidature che segnalavano le influenze dei padrini locali, come la capolista Annunziata , il parlamentare di lungo corso Topo, dietro cui si è mossa l’armata del governatore campano De Luca, che cercava un modo per rendere visibile la sua leadership che rischiava di essere la vittima principale di una vittoria del gruppo legato alla segretaria.
Alle loro spalle la parlamentare uscente Picierno, che non ha certo motivi di riconoscenza per il vertice del suo partito che l’ha messa su una scomoda graticola, da cui è scampata grazie alla mobilitazione della tribù delle correnti nazionali che convergono sul silenzioso Franceschini.
Chiude il pacchetto degli eletti al sud lo strapuntino dell’ultimo posto per il membro della segreteria Ruotolo, voluto espressamente dalla Schlein.
Questa mappa delle preferenze, ci dice che , in sostanza, dove vince il PD lo deve ai cosidetti cacicchi, che fanno man bassa di eletti mentre la segretaria si deve ora destreggiare riesce a piazzare, per il rotto della cuffia solo il fido Ruotolo, come ultimo degli eletti.
Il risultato dei voti a Napoli, che pure vede il PD riguadagnare lo scettro di primo partito, , ci dice che ancora larga l’area di insofferenza e incompatibilità di consistenti aree sociali metropolitane che attribuiscono ancora un quarto di voti alle liste in rotta dei 5 stelle.
Ora in questo scenario, balcanizzato, Elly Schlein deve scegliere una bussola con cui muoversi.
O presterà voce a chi gli chiederà di rivolgersi ai due principi senza terra alla sua destra, come Calenda e Renzi, cercando di integrarne le residue truppe con un’apertura più moderata pur di estendere il perimetro del campo da coltivare, o invece , seguendo anche il successo di Sinistra e Verdi, punterà a contendere direttamente alla destra le ampie praterie delle periferie sociali che per ora guardano al governo Meloni.
La lezione che arriva anche da Francia e Germania ci dice che il buco la sinistra lo sta patendo sul versante più radicale. L’assenza di una proposta che parli direttamente a grandi moltitudini di esclusi lascia campo libero alla sobillazione reazionaria. Certo si tratta di ripensare modelli di sviluppo che tendono ancora ad applicare formule fordiste ad un mondo che invece pretende di essere circolare e partecipativo. Per questo insieme alla ricorrente battaglia sui diritti civili il PD della Schlein deve affrontare di petto il nodo posto dal dilagare di quei processi di innovazione tecnologica che stanno omologando aziende e consumatori spingendoli in un protezionismo reazionario.
In sostanza il PD dovrà porsi il tema della propria identità e della rappresentatività sociale con cui sostituire le vecchie figure delle professionalità intermedie che ne avevano caratterizzato la base sociale.
Il vero interrogativo comunque riguarderà proprio una nuova idea in cui connettere un nord proteso verso i mercati europei, ed un mezzogiorno che disperde risorse e talenti per aggredire proprio quei mercati in maniera autonoma e competitiva. In quelle strategia che mira a riprogrammare, negoziandola la tecnologia generativa che viene applicata nei distretti del centro nord, e pensata nelle università del sud si giocherà il vero futuro del paese rispetto ad una destra che soffia sul fuoco del protezionismo corporativo , in chiave anti globalizzazione, ma soprattutto anti democratica.

Michele Mezza



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