Pubblichiamo dalla sua pagina social questa riflessione di Vito Nocera


Il disordine avvelena oggi il globo e rende realistico il timore di una deflagrazione totale.
E’ l’alternativa di fatto alla politica che si e’ da tempo eclissata, incapace di svolgere un ruolo.
Non c’e’ da meravigliarsene troppo. Anni di bonaccia hanno fatto largo a classi politiche fragili, prive di idee strategiche e personalita’.
Del resto le classi politiche precedenti – pur composte da statisti impegnati – non ce l’hanno fatta, dopo l’89, a ridare al pianeta un nuovo assetto.
A mettere poi quel po’ di politica possibile al bando ci si e’ messa anche l’offensiva demonizzante del populismo planetario.
A soffiargli dietro grandi gruppi e poteri economico finanziari, ingolositi dal sogno di liberarsi finalmente da ogni lacciuolo regolativo democratico e pubblico.
E con tanta parte della comunicazione – sia conservatrice che progressista – che gli faceva da spalla.
Il risultato e’ che il mondo sembra essere alla deriva e in balia di sé stesso, privo di ogni sia pur precario equilibrio.
LE VERE CAUSE DELLA GUERRA
Il fatto e’ che le guerre non sempre sono mere questioni di onore o di confini ed etnie.
Ce lo ha ricordato in un bel libro il professore napoletano Emiliano Brancaccio.
Ci sono quasi sempre contraddizioni economiche alla base delle guerre moderne.
Gli Usa – come spiega Brancaccio – hanno il loro debito quasi tutto nelle mani di Cina e di altri Paesi di quel campo.
E i cinesi e gli altri hanno ora nel mirino settori americani ed europei piu’ strategici
Non piu’ solo prestiti dunque ma sfida aperta su finanza e alta tecnologia.
In Usa e in Europa c’e’ allarme e si cerca di fare argine alla penetrazione di capitali stranieri.
Per questo non sfondano elettoralmente quelli che si vogliono i piu’ pacifisti di tutti.
Popolazioni ed elettori a modo loro comprendono che le tensioni belliche stanno in un intreccio di fattori: politici, economici, sociali.
WEBER, CACCIARI E I LAVORI DELLO SPIRITO
Agli inizi degli anni 20 del novecento, Max Weber morì disperato perché cio’ che auspicava – e cioe’ che politica e scienza marciassero insieme – non era alle viste.
Si profilavano anzi – sappiamo – anni tremendi che portarono al suicidio dell’Europa e alla prima grande guerra mondiale.
Li chiamava i lavori dello spirito, Weber.
Ci e’ ritornato con un bel volumetto recente Massimo Cacciari.
L’auspicata unita’ di politica e scienza.
La scienza ha per forza bisogno del sostegno dei grandi apparati di economia e finanza.
Senza la politica che ne indirizzi, pero’, i risultati in funzione sociale la scienza viene incorporata nel sistema economico e nei suoi imperativi.
Alimentando diseguaglianze e ingiustizie.
Se Weber soffrì il divaricarsi di politica e scienza, noi oggi osserviamo atterriti la morte della politica, della sua autoritas, e il dominio assoluto dell’ economia su scala globale.
AMARE CONSIDERAZIONI (E SPERANZE)
Saranno contenti quelli – anche a sinistra – che ci hanno messo del loro ad affossare la politica e consegnare all’economia – che e’ marxianamente economia politica – il dominio politico appunto.
Fa benissimo il professore Brancaccio invece a segnalarci i nodi economici all’origine del clima bellico, anche perche’ non lo fa nessun altro.
Basta che non confidi, troppo specialisticamente, che per pacificare il mondo odierno basti auspicare che gli Usa rinuncino al protezionismo, la Russia ai territori ucraini occupati e la Cina ai suoi crediti in occidente.
L’obiettivo e’ giusto ma senza politica e conflitti sociali chi mai potra’ mettere sul tavolo questo piano di pace?
QUALCHE CONCLUSIONE
Scienza e lavoro manuale – come ci ha insegnato Marx – sono entrambi forza – lavoro, dunque essi stessi una funzione del capitale.
Capitale pero’ di una particolare natura, sono persone, esseri umani.
Un elemento stesso dunque del capitale che puo’ diventare pero’ soggetto che capovolge il sistema.
E’ dentro questa contraddizione che si colloca scientificamente la prassi rivoluzionaria.
Una prassi critica esattamente incardinata sulla contraddizione tra forza lavoro, questa forza lavoro, e gli altri fattori del capitale.
Una condizione materiale, sociale, in cui questa forza lavoro – il lavoro contemporaneo pur cosi tanto mutato e la ricerca scientifica – puo’ diventare soggetto trasformatore.
Al di la’di ogni illusorio utopismo etico e idealistico.
Una strada non impossibile ma difficile e lunga.
La catastrofe non e’ solo caos ma anche rifondazione, mutamento di stato.
Per ora non sembra alle porte questo nuovo e necessario movimento del lavoro contemporaneo che possa rovesciare i destini del mondo.
Qui da noi per ora vediamo gli studenti.
Non e’ il 68 ma intanto e’ gia’ qualcosa.
Non tutte le loro parole d’ordine sono perfette.
E questi come altri movimenti ancora sono inevitabilmente essi stessi intrisi del populismo che in questi anni ha avvelenato l’occidente.
Intanto però la loro protesta, schierata istintivamente con i palestinesi massacrati a Gaza, e’ gia’ piu’ di qualcosa.
Cosi come qualcosa e’ anche lo studio di economisti come Brancaccio che – pur con comprensibile difficolta’ – ci aiuta a capire di piu’ sulle guerre e le loro radici economico – sociali.
E di fatto ci spiega, al contempo, che il tifo per Trump dei variegati sovran – populisti nostrani – in primis Conte e Salvini – e’ solo un calcolo cinico e insidioso.
Se si accoglie infatti – anche solo in parte – la tesi di Brancaccio.
Che le tensioni hanno origine principalmente da cose economiche e dalla sterzata protezionistica degli Usa.
E’ chiaro che un Trump presidente piu’ che risolvere renderebbe ancora piu’ grandi e drammatici i problemi del mondo.
Per quanto lungo e titanico possa essere il compito.
Resta ai popoli e a nuove elite rivoluzionarie riorganizzare – e su scala transnazionale – i conflitti sociali e i soggetti per trasformare lo stato delle cose odierne.
E disegnare così anche nuovi e, si spera, piu’ tranquillizzanti equilibri globali.
Ci vorra’ tempo e tanto lavoro e impegno certo.
Meglio, molto meglio, in ogni caso che sprecare questo tempo fingendo di correre da emergenza ad emergenza con l’unico risultato di partorire, come la famosa gatta che aveva fretta, soltanto dei gattini ciechi.

Vito Nocera

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