“LETTERATURA E ALTRE STORIE” A CURA DI CARLANGELO MAURO

“HO ASSAGGIATO IL PARADISO”, UN VOLUME DI MARIO DALLA TORRE.
“DAL COMA AL RISVEGLIO, DA MALATO A GUARITORE”.
Con una testimonianza-recensione di MELANIA RUSSO


Sono “per caso” incappato in youtube su un video in cui un signore, Mario Dalla Torre, di Schio, in provincia di Vicenza, raccontava la sua esperienza di risveglio dal coma dopo un terribile incidente stradale. Mi sono incuriosito e ho ascoltato il video fino alla fine. Poi ho comprato il suo volume “Ho assaggiato il Paradiso” (Edizioni Amrita, 2009) e l’ho letto durante l’estate, scambiando pareri con una mia amica, Melania, docente di storia e filosofia, più esperta di me negli argomenti trattati nel volume e che poi mi ha offerto la sua testimonianza, pubblicata sotto. In questo periodo mi sono ricordato che anni prima, in seguito al coma di mia madre Anna, nel 2005, dal quale non si è più risvegliata, avevo cominciato a leggere un libro di un ricercatore americano Raymond Mody, “La vita oltre la vita” (Oscar Mondadori, 1977) sulle testimonianze di coloro che erano ritornati in vita dopo essere stati dichiarati dai medici clinicamente morti. Il volume mi fu dato da una collega, docente come me, che lo aveva studiato nell’ambito del programma di Storia delle religioni del corso di Laurea in Lettere alla “Federico II”. Mi sembrava quindi degno di fede, scritto con una prospettiva onesta. Nella conclusione l’autore afferma: «In modo particolare, vorrei dire ai lettori dalla mente scientifica che sono pienamente conscio di non aver fatto opera scientifica».
Le testimonianze di esperienze di pre-morte, dette Nde (Next Dead Experiences), conosciute oggi, sono migliaia. La International Association for Near-Death Studies ha raccolto una imponente documentazione; un interessante volume più recente è quello scritto da Jeffrey Long (“Esiste un posto bellissimo”, Mondadori, 2021) radiologo oncologico di fama, che assieme alla moglie ha fondato la Near Death Experience Research Foundation, sul cui sito web (www.nderf.com) migliaia di persone da tutto il mondo hanno condiviso le proprie esperienze di pre-morte.


Sono stato sempre fiducioso nella scienza, nelle prove sperimentali, ho sempre ammirato il lavoro di medici e scienziati. Un mio idolo è il fisico Stephen Hawking, quando era piccolo invece adoravo il medico Christiaan Barnard che nel 1967 effettuò il primo trapianto di cuore; ma ho sempre creduto che di fronte al mistero dell’esistenza occorra umiltà. Io non escludo nulla, so di essere uno degli oltre 7 miliardi di esseri umani invisibili dallo spazio, vivo per pochi anni, su un granello nell’universo infinito: per dirla con Pirandello: «labile forma su questo volubile granello di terra perduto nei cieli». Il teologo Vito Mancuso nei suoi libri riporta più di una volta l’affermazione dell’astronomo Fred Hoyle (citata dal fisico R. Davies: “Da dove viene la vita”, Mondadori, 2000): «le probabilità che un processo spontaneo metta insieme un essere vivente sono analoghe a quelle che una tromba d’aria, spazzando un deposito di robivecchi, produca un Boeing 747 perfettamente funzionante». Sono convinto anche io che il mistero della vita sia troppo grande per dei “granellini pensanti” come noi. Non escludo, quindi, che possa esserci una vita dopo la morte e che quelle testimonianze, quei racconti, che oggi grazie alla rete, grazie alle TV sono ampiamente diffusi, siano esperienze reali di esseri umani che hanno sofferto, sono stati in contatto con un’altra dimensione e ne sono tornati arricchiti. Tutti i risvegliati dal coma, bene o male, infatti, raccontano che la loro vita su questa terra è cambiata per sempre, in positivo, dopo quella esperienza di pre-morte. Un risveglio, quindi, che oltre il dato fisico è assimilabile al sentiero del risveglio indicato del Buddha Gauthama. Tale anche il racconto di Mario Dalla Torre che dopo l’incidente, l’esperienza di pre-morte, la straordinaria uscita dal corpo con la sensazione indescrivibile di un senso di pace, di benessere, di «essere tutt’uno con l’Amore Universale», l’incontro con la nonna morta più di trent’anni prima, il rientro doloroso nel corpo e i numerosi interventi chirurgici per fratture multiple, ha abbandonato il lavoro di pubblicitario, avviato un percorso spirituale, soggiornando periodicamente in India. Nel libro cita il suo maestro indiano: Swami Iswar Prasad di Mirzapur e alcuni suoi insegnamenti: egli «celebra nella sua terra una meravigliosa funzione religiosa cristiano-cattolica con il rito indiano, affinché possa essere adeguatamente recepita e sperimentata dai nativi indù». Prima dell’incidente, Mario non credeva se non a ciò che vedeva, dopo frequenta corsi sulle energie sottili, diviene guaritore, o meglio “terapeuta bioenergetico” con un suo studio a Schio, counselor olistico, fa conferenze in Italia e all’estero, conduce seminari, scrive oltre a quello di cui stiamo trattando, altri due libri: “I bianchi petali del silenzio” (2012, Editoriale Programma); “Guarirsi” (ivi, 2017). Nei suoi volumi si possono trovare le testimonianze delle guarigioni da lui operate (Mario utilizza anche «la tecnica di imposizione delle mani sulle parti del corpo malate», che, come è noto, è un’azione biblica). Ma quello che Dalla Torre mette in moto nei pazienti è soprattutto un percorso di auto-guarigione spirituale. L’assunto di base è sintetizzato a p. 121, nel capitolo finale: “I miei princìpi, il mio metodo”, in cui il guaritore riassume il suo operato parlando dei sintomi della malattia: «il corpo manifesta con precisione e puntualità quasi matematica la tensione cui è sottoposto al livello della coscienza». Cambiare vita spesso può guarirci, dice Dalla Torre, se diamo una nuova direzione alla nostra energia bloccata, diretta verso obiettivi sbagliati che ci fanno soffrire interiormente. E non è certo casuale la citazione da Platone con cui si apre il capitolo in questione: «Non si può guarire il corpo senza prima guarire l’anima».


Il libro ha anche delle belle pagine dal punto di vista letterario. Amo molto il capitolo 1, “Prima dell’incidente” in cui Mario sintetizza la sua vita da bambino, intorno agli anni ’50, nella «contrada della nonna paterna», a Schio. C’è tutto il ritratto antropologico di un mondo contadino che, a distanza di anni, l’autore definisce di pura «magia», con la neve e il focolare e il cibo di un tempo:
sono nato […] in una vecchia casa di pietra con pavimenti e scale di legno, addossata ad altre vetuste case abbracciate fra di loro, sulla groppa di un ombrosa collina. La finestrella della camera guardava il fienile e, più in basso, la stalla.
[…] Rammento ancora i volti dei vecchi abitanti della borgata, le loro voci, i nomignoli e i soprannomi che ciascuno affibbiava a ciascuno; e gli odori inconfondibili delle stalle che si mescolavano con quelli dei soffritti e delle saporite zuppe di cavoli che si spandevano dalle inferriate delle cucine, grandi spelonche con il vistoso focolare coronato da sedie e scranni di legno.
[…] E poi la sera, mentre fuori spesso nevicava, tutti nella stanza. Arrivavano dal buio, alla spicciolata, i vecchi col mantello e il cappellaccio, le donne e le mamme infreddolite negli scialli, coi bambini in braccio o per mano; portavano anche oggetti e strumenti di lavoro o passatempo: qualche sacco di pannocchie da scartocciare, verdure da pulire, calzettoni o mutandoni da rammentare, e gli inseparabili ferri da calza.
Dai tabarri e dalle bisacce degli uomini apparivano come per incanto cartocci di formaggio e salami dall’acre odore di aglio, pane e vino, fichi secchi, patate o castagne abbrustolite.
C’era in un angolo, in fondo alla stalla, delimitata da grossi sassi, un’area preposta per il fuocherello. Il vecchio Toni si accucciava per accenderlo e accudirlo; le fiamme coloravano i volti e tutto assumeva sembianze magiche e irreali.
Era una piccola comunità che sgranocchiando, mangiucchiando e sferruzzando si raccontava fatti e pettegolezzi della giornata.
[…] Qualcuno raccontava di quella volta che si era imbattuto nel diavolo, o c’era chi aveva avuto la disavventura di incontrare le “anguane” (una locale varietà di streghe che infestavano nottetempo quelle vallate).
Un altro ancora asseriva essergli capitato di aver smarrito il sentiero per colpa dei “salbanéi” (folletti dispettosi che popolavano quelle zone e che infastidivano anche pesantemente che si avventurava nei loro paraggi).
[…] Mi soffermo sempre volentieri e con struggente nostalgia a rivisitare con la memoria questi miei primi anni di vita, visceralmente stampati nell’anima e che profumano ancora di un mondo, ahimè, irrimediabilmente scomparso. Ricordi indelebili ed importanti rammento sempre con chiarezza. La parte più profonda del mio cuore è rimasta in quella contrada».
Basterebbero queste pagine per rendere caro il libro anche a chi non crede al metodo della guarigione bioenergetica, per ritrovare l’anima profonda dell’Italia contadina cui hanno guardato i grandi scrittori, come Alvaro e Pasolini, insistendo sul valore della memoria. Vengono in mente anche i testi di uno tra i più importanti poeti italiani viventi, che seguo da molti anni, divenuto a me fraterno, Umberto Piersanti, marchigiano, che a partire dalla pubblicazione dei “Luoghi persi” (Einaudi, 1997) è divenuto noto anche ai non addetti ai lavori. In questo libro vengono evocati in poesia i racconti leggendari di diavoli e folletti della nonna Fenisa e del nonno Madìo con il suo carro (il «biroccio»), ad esempio sullo «sprovinglo», cioè «il diavolo contadino delle Cesane», come si chiamano i rilievi dell’Appennino intorno ad Urbino. Racconti di un mondo di natura ormai scomparso, che il poeta recupera nella memoria:
ora dov’è la fonte col folletto
e la piana remota dove a Madìo
saliva lo sprovinglo nel biroccio?


UNA RIFLESSIONE SU “HO ASSAGGIATO IL PARADISO” DI MELANIA RUSSO

“Come gli occhi della civetta, ci sono pensieri che non sopportano la luce piena. Non possono nascere che di notte, dove la loro funzione è la stessa della luna, necessaria a smuovere maree di senso in qualche invisibile altrove dell’ ‘anima” (Michela Murgia – “Accabadora”)

Un’emozione simile a quella suscitata da queste parole di Murgia è quella che ho provato quando, per uno strano gioco del destino, ho iniziato a leggere “Ho assaggiato il Paradiso” di Mario Della Torre.
L’autore racconta di un incidente che gli ha cambiato la vita, dopo averla messa in serio pericolo.
A me è capitato qualcosa di simile. Anche io, alcuni anni fa ho sfiorato la morte, investita da un’auto, una sera di Ferragosto ad Ischia, dove ero in vacanza.
Come l’autore non sono morta. Non sono andata in coma, ma ho avuto seri danni fisici da cui mi sono ripresa dopo molti mesi e molte sofferenze.
E anche per me l’incidente ha rappresentato una svolta importante nel mio modo di vedere la vita e la morte.
A partire da quell’evento tragico mi si sono aperti orizzonti fino ad allora per me inimmaginabili. Ho iniziato ad esplorare un nuovo modo di vedere ed interpretare gli eventi che accadono agli umani nello spazio e nel tempo, sconosciuti alla maggior parte delle persone.
E perché non sono morta? Perché proprio a me?
Non ho trovato risposte razionali a queste domande. Ma un’alunna di una terza liceale, a cui raccontavo la mia esperienza dopo aver letto “Il Mito della Caverna” di Platone, mi ha offerto una suggestione.
“Professoressa, forse dovete ancora aiutare qualcuno a uscire dalla Caverna…”
È con l’emozione che ancora provo al ricordo di questa risposta che ho letto d’un fiato “Ho assaggiato il Paradiso”, ritrovando suggestioni e memorie emotive che appartengono a me, all’autore e a chissà quanti altri che non hanno avuto il coraggio di raccontarsi con tanta sincerità.
Corrispondenze che non hanno a che vedere con la razionalità, ma affondano le radici nel mistero della vita e ci fanno riflettere sul fatto che siamo tutti collegati in qualche modo.
Esperienze che ci mettono in contatto col mistero del divino numinoso e alogico, e che aprono la strada ad una visione che è difficile spiegare, ma che, per chi la vive, è impossibile non condividere.
L’invito è a leggere “Ho assaggiato il Paradiso” senza aspettative e pregiudizi logici, pronti ad emozionarsi davanti al mistero che la vita umana rappresenta.
Ringrazio l’autore e chi me lo fatto conoscere, perché mi ha confermato, con il suo racconto, che è possibile vivere la guarigione fisica con una consapevolezza emotiva e spirituale che diventa necessario, per chi l’ ha raggiunta, comunicare e diffondere.

***


Melania Russo è nata a Nola e attualmente vive a San Paolo Bel Sito. Laureata in Filosofia all’ Università Federico II di Napoli, ha insegnato Storia e Filosofia nei Licei; attualmente collabora con L’Istituto Gestalt Counseling e Mediazione artistica di Napoli in qualità di Gestalt Counselor Professionista avanzato, svolgendo attività di consulenza e formazione presso Scuole e Associazioni. Tra le tante attività svolte ne ricordiamo alcune: la Progettazione e realizzazione di un Corso di formazione per Docenti del Liceo “Albertini” di Nola dal titolo “Costruire relazioni e gestire conflitti a scuola”; la partecipazione come relatrice al convegno Regionale organizzato nel 2017 ad Avellino dal Comitato Nazionale Counsellor Professionisti dal titolo ”Il Counselling nelle Professioni: l’ Empatia per il benessere nelle relazioni professionali”; la progettazione e realizzazione, nel 2018, di un Corso di Formazione per i Volontari dei progetti di supporto agli alunni in difficoltà della scuola primaria, organizzato dalla Caritas di Cicciano con L’Istituto comprensivo di Cicciano; nello stesso anno la partecipazione come relatrice al Seminario Esperenziale ”Differenziazione e tipologie dei caratteri attraverso l’Enneagramma” presso l’Istituto Gestalt Counselling e Mediazione Artistica di Napoli. Attività di formazione sono state svolte anche per la Fidapa di Nola e l’ Unitre sezione di Nola.

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