Suscita orrore e merita condanna ferma l’azione di guerra contro Israele partita dalla Striscia di Gaza: lo penso con convinzione.

Si conferma in qualche modo che in questo tempo la guerra è sempre meno solo scontro tra eserciti ma coinvolge e colpisce direttamente le popolazioni civili, inermi e indifese.

Presentando nei giorni scorsi a San Paolo Bel Sito il nostro speciale dedicato agli 80 anni dagli eccidi nazisti consumati nel Napoletano nel settembre e ottobre 1943, il Professore Guido d’Agostino ha invitato a riflettere su come la Seconda guerra mondiale segni un po’ questo passaggio, di coinvolgimento forte dei civili negli obiettivi delle azioni belliche: i bombardamenti a tappeto, la razzie, gli eccidi di civili inermi. E allo stesso modo aveva invitato a riflettere Edgar Morin ( Edgar Morin, SVEGLIAMOCI, Mimesis 2022 ), su questo e su quanto anche le ragioni positive contro i nazisti, proprio nella Seconda guerra mondiale, si siano prestate ad un uso indiscriminato della violenza contro i civili anche da parte degli Alleati, con bombardamenti che hanno raso al suoli intere città e largamente inutili nella parte finale dello scontro armato: e anche Napoli ne sa qualcosa.

Guerra come scontro tra eserciti e guerra come orrore verso i civili. Del resto, in Ucraina l’invasione russa si sta muovendo secondo le stesse coordinate.

Questo ci deve spingere a riflettere su quanto la guerra si stia affermando come via per affrontare e (non) risolvere le controversie internazionali: questo è il grave di questo tempo che ha superato gli ordini del passato ( il mondo diviso in blocchi ), ma senza riuscire ad aprire lo spazio a nuove forme dell’organizzazione delle relazioni internazionali: e proprio in queste settimane abbiamo posto, con il nascente Centro di formazione di Cultura Politica Critica questo tema al centro di un ciclo di incontri con autori di ricerche importanti con l’obiettivo di concorrere ad una più ampia consapevolezza e mobilitazione per la pace.

Questa dimensione del problema, che chiama in causa tutti e in primo luogo i vincitori della guerra fredda che hanno dato le carte in questi trenta anni, è scarsamente presente nei commenti mainstream nel nostro paese e su quanto sia ancora più difficile rintracciare nei loro ragionamenti poi le cause di fondo del conflitto mediorientale che sembra non trovare soluzioni.

Ho trovato a questo proposito davvero indicativo che le firme più autorevoli dei due più importanti quotidiani nei loro editoriali di ieri, Corriere Della Sera e Repubblica, non abbiano trovato modo di fare alcun riferimento alla Questione palestinese. Cioè al diritto di un popolo, quello Palestinese, di vedere riconosciuto quanto tutte le risoluzioni ONU e gli stessi Accordi bilaterali hanno sancito: un popolo, uno Stato a fianco di un altro popolo con un altro Stato, nella pace e nella sicurezza reciproca. Questa strada si è deciso ad un certo punto di non percorrerla e di non ricercarla nemmeno più. E infatti, nessuno ne parla da anni.

Non l’ha fatto Israele, che ha pensato ormai di avere consolidato una posizione di sicurezza affidata totalmente al dispositivo militare all’ombra del quale ha continuato la sua espansione territoriale indebita sull’onda di politiche di destra estrema condannate con fermezza dalle stesse voci democratiche larghe del suo mondo intellettuale : salvo poi scoprirsi esposto di fronte ad un attacco come quello di questi giorni, pensato e pianificato proprio per colpire i punti deboli di un dispositivo che appariva, illusoriamente, inattaccabile.

Non l’hanno fatto i suoli alleati, Usa in primo luogo.

Non l’ha fatto l’Europa che invece aveva assicurato per tutta una fase una funzione fondamentale di amicizia con Israele e di sostegno alle ragioni del Popolo palestinese.

E poichè i problemi contemporanei non sono polvere che puoi mettere sotto il tappeto, in questo mondo così interconnesso e interdipendente, ogni questione non risolta, ti esplode contro, immancabilmente.

E così, abbandonati i Palestinesi al proprio destino di occupazione militare subita e di futuro negato, li si è lasciati prigionieri anche di un montante spirito di rivolta, tanto più forte nella Striscia di Gaza che è una sorta di enorme Campo di concentramento: lo spazio per la radicalizzazione nasce da qui, la forza di Hamas, di questa sorta di esercito di liberazione organizzato, e quindi del consenso di cui gode tra la popolazione nasce da qui; la penetrazione dell’influenza Hezbollah e dell’Iran viene da qui.

Giustifica questo la violenza di Hamas? No. Ma certo ne spiega alcune dinamiche. E indica anche la via che occorrerebbe imboccare per dare una soluzione strutturale al problema.

E allora, in questa ondata drammatica di lutti, di cattura di ostaggi, di distruzioni, quando rimettere al primo posto la politica se non ora?

Si dice, ma Israele non ha diritto di difendersi? E certo che questo diritto ce l’ha. Ma è di questo che si sta parlando in queste ore? Di una risposta proporzionata mirata a colpire i responsabili dell’aggressione? L’azione militare di terra nella striscia di Gaza cosa sarà? Chi saranno i bersagli? Cosa si distruggerà? Temo ben poco di Hamas e molto di quei civili Palestinesi che cadranno forse a migliaia con distruzioni sistematiche e a quel punto irrecuperabili.

E’ questo il diritto alla difesa? E’ questo occhio per occhio? Quanti , insisto, non combattenti avversi ma bambini, vecchi, donne inermi palestinesi dovranno morire per pareggiare il conto delle vite israeliane drammaticamente stroncate?

Ed è davvero clamoroso come in questo tempo ipertecnologico, in cui la potenza dei dispositivi militari non è mai stata così diffusa, siamo tutti così insicuri e forse sull’orlo di qualcosa più generale ancora; e in cui la Civiltà per antonomasia, che vuole sola illuminare il mondo, non trova altro sistema per affrontare e risolvere i problemi che la clava. E alla clava davvero corriamo il rischio di tornare.

Gianfranco Nappi

Print Friendly, PDF & Email

Vuoi ricevere un avviso sulle novità del nostro sito web?
Iscriviti alla nostra newsletter!

Termini e Condizioni *

1 commento

  1. E quanti abitanti di quelle terre, oggi più di ieri, i più poveri ed inermi, saranno costretti a lasciare la loro terra e salire sulle carrette del mare? Ecco che torna l’interconnessione tra le tragedie del nostro tempo. Quanto ancora bisogna attendere per costruire un movimento per la Pace?

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *