Franco Astengo

MARIO TRONTI : TRA UTOPIA E ORGANIZZAZIONE DELLA CLASSE

Un approfondito ricordo di Mario Tronti e stato elaborato da Maurizio Iacono e pubblicato dal Manifesto (8 agosto). Nel suo testo Iacono, dopo aver descritto lo stile lapidario e “decisionista” di Tronti, ha fatto emergere un punto che mi sono permesso di riprendere in questa occasione, pur nella consapevolezza di non disporre della strumentazione culturale adeguata per affrontare compiutamente il tema. Purtuttavia mi è parso il caso di segnalarlo consegnandone il senso a chi potrà sicuramente svilupparlo meglio in seguito.

Dopo aver rilevato come Tronti avesse intuito la lacerazione che si stava compiendo nel blocco sociale di classe con la politica di solidarietà nazionale portata avanti dal PCI nel ’77-’78, Iacono aggiunge come il teorico dell’operaismo insistesse sulla necessità di concepire la democrazia come una struttura di potere cercando nuove forme di partecipazione democratica capace di incidere sul potere capitalistico.

Iacono trova oggi in questo passaggio dei punti di contatto (indiretti) con la riflessione sui consigli di fabbrica e sulla democrazia consiliare che stava portando avanti Lucio Magri: con una differenza che l’allora segretario del Pdup e fondatore del “Manifesto” non accettava “l’autonomia del politico”.

Si può scavare su questo punto senza la pretesa di elaborare un confronto parallelo tra Tronti e Magri, per il quale sarebbe necessario un lavoro ben più organizzato di questa abborracciata improvvisazione?

Nell’ottobre 2019 Tronti aveva affrontato su “Infiniti Mondi” (la rivista di Gianfranco Nappi) il tema dell’Utopia in questi termini:

Il pensiero utopico o riesce a essere antagonista pensiero critico di ogni giorno, oppure rischia di diventare una consolatoria filosofia della domenica”

Nello stesso testo Tronti pronunciava quasi un proclama profetico e definitorio: ” Questo è un mondo che produce il massimo dell’avventurismo tecnologico e nello  stesso tempo provoca il massimo della decadenza umana.”

In queste due frasi si sommano le maggiori problematiche che ci stiamo ancora ( e più che mai) trovando di fronte:

a) il tema dell’organizzazione della classe per far sì che il pensiero della “nostra” Utopia riesca a trasformarsi in antagonismo quotidiano (il tema del partito, del potere di cui è necessario disporre, la concezione della democrazia, i termini concreti della rappresentanza);

b) la ricerca da condurre sull’intreccio delle nuove contraddizioni che investano l’antico impianto fondato sulla centralità della “contraddizione principale”.

Il punto rimane allora quello della forma/sostanza dell’organizzazione della classe e se essa debba cedere alla forma assunta dalla democrazia borghese nel senso proprio dell’autonomia del politico (interrogandosi anche sul come Tronti abbia utilizzato questo strumento teorico nel corso del suo lungo passaggio filosofico – politico) oppure se rimane aperta la ricerca per la promozione di vie diverse che – appunto – Magri raccoglieva (non da solo) come via consiliare in una nuova forma della strutturazione partitica e di conseguenza della democrazia.

Rilevare una sorta di delega all’Utopia da parte dell’autonomia del politico rimane un limite tutto da esplorare e da superare: quanto in questo modo si muove realisticamente nell’ambito del “pensiero lungo” rimane l’eredità tutta intera di questa parte importante del pensiero comunista che sicuramente non può essere abbandonata nel momento della scomparsa dei suoi epigoni più importanti.

Per chi, come noi, si trova in uno stato di vera e propria “alienazione” rispetto al sistema politico si tratta davvero di volare alto analizzando  quattro punti assolutamente fondamentali:

1)      Il pressoché definitivo esaurimento delle tradizionali formule politiche;

2)      Il venir meno, dal punto di vista della sinistra, dei tradizionali punti di riferimento storico – politici;

3)      La necessità di ritrovare una riconoscibilità concreta della contraddizione capitale/lavoro intrecciandola all’insieme delle contraddizioni definite post-materialiste, “in primis” quella dell’assalto capitalistico alle condizioni materiali di vivibilità sul pianeta messe in discussione dalla speculazione selvaggia attuata verso territorio e natura : assieme alla contraddizione di genere la vera fonte dell’allargamento delle disuguaglianze;

4)      Il  ritrovare la disponibilità di un nucleo militante d’avanguardia politicamente preparato e inserito “in tutte le pieghe della società”.

Rispetto a questi problemi può ancora essere possibile organizzare un’efficace risposta aprendo una ricerca  sul tema della riattualizzazione della concezione gramsciana dell’egemonia, articolabile attorno a quattro punti:

1)      La necessità di formare, attraverso un articolato lavoro di lotta sociale e politica, un nuovo “blocco storico”;

2)      La praticabilità di una mediazione svolta da una forza politica profondamente ramificata nel senso comune di massa, per tentare di smantellare l’apparato egemonico dell’avversario attraverso un  lavoro di costante decodificazione;

3)      L’operatività di un soggetto  in grado di agire non come una semplice avanguardia  ma come intellettuale collettivo promotore di una trasformazione intellettuale e morale;

4)      L’esigenza, infine, di fare tutto questo attraverso un non breve processo di lotta con parole d’ordine intermedie e positive e con una forte attivazione e partecipazione.

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Antonio Napoli

https://www.ilsussidiario.net/news/visto-da-sinistra-addio-a-mario-tronti-vincere-nel-68-e-perdere-con-il-post-pci/2575440/

VISTO DA SINISTRA/ Addio a Mario Tronti, vincere nel ’68 e perdere con il post-Pci

Pubblicazione: 09.08.2023 – Antonio Napoli

La sinistra piange Mario Tronti (1931-2023), filosofo e politico, teorico dell’operaismo, prima con Ingrao poi nel Pd. Sapeva che la vecchia sinistra era stata sconfitta

Uno alla volta se ne vanno, i protagonisti del Novecento. È inevitabile, visto che siamo entrati nel terzo decennio del XXI secolo. Eppure colpisce che di questi uomini ormai centenari è vivo il ricordo, e tanti di loro sono rimasti attivi, hanno continuando a essere presenti e a dire la loro ed aiutano a riflettere sulla nostra storia.

Tra questi c’era sicuramente Mario Tronti, morto ieri nella sua casa di Ferentillo, in provincia di Terni, all’età di 92 anni. Tronti è stato un pensatore della sinistra operaista degli anni Sessanta. Una figura oggi difficile da raccontare ad un ventenne. Potremmo definirlo uno spirito libero, a metà tra il filosofo e il dirigente politico, con la scrittura impegnata di un letterato e l’oratoria brillante ed avvolgente di un leader popolare, serioso come tutti all’epoca ma anche attento a curare il proprio look, quasi da attore, ispirato a Trintignant.

CAOS PNRR/ La “bocciatura” per la Spagna e per chi la prende a modello in Italia

I primi anni Sessanta erano anni difficili, come sappiamo, ma il boom economico stava rapidamente portando l’Italia fuori dalla miseria e dalle privazioni patite dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Lo straordinario sviluppo industriale del Nord del Paese – edilizia, frigoriferi e lavatrici, auto, meccanica e turbine elettriche – provocò anche una rapida trasformazione sociale, spingendo milioni di contadini (e di braccianti poveri) del Sud a diventare operai. Mario Tronti incominciò proprio da lì il suo percorso, cercando di esaminare le conseguenze di una crescita così improvvisa e numerosa nel nostro Paese di una moderna e giovane classe operaia. Un processo impetuoso, che non poteva non avere conseguenze sulla struttura del potere.

In primo luogo, questi milioni di giovani operai, soprattutto metalmeccanici, entrati in contatto con il vecchio sindacato uscito dalla guerra, e con il suo gruppo dirigente espresso dalla lotta antifascista, imposero una profonda trasformazione organizzativa. E stravolsero il vecchio modo di intendere la rappresentanza di classe. Il ’68 italiano nasce qui, travolgendo il vecchio sindacato e imponendo regole di conflitto mai conosciute prima. E Tronti insieme ad un manipolo di giovani intellettuali riuniti intorno alla rivista Quaderni Rossi vede prima degli altri le conseguenze.

Quando scoppia il ’68 in Italia la matrice operaia sopravanza quella studentesca, al contrario di come era accaduto in Francia e negli Stati Uniti. Il ’68 italiano è soprattutto operaio, politicizzato, c’è la fabbrica al centro, molto più delle università e delle scuole. Tronti l’operaista trova così le sue conferme, il suo “Operai e Capitale” diventa un libro di riferimento e lui sogna una classe operaia che si fa Stato. Quando poco dopo con il movimento nascono i primi consigli di fabbrica, egli vede prendere corpo la vecchia idea gramsciana della classe principe che si autogoverna.

Mario Tronti non tradirà mai la sua appartenenza politica al principale partito della sinistra. Nel Pci prima, al fianco di Pietro Ingrao, in quella che sarebbe diventata la corrente della sinistra massimalista. Ma non seguì il suo capo quando con la scissione del 1990 i suoi compagni di strada abbandonarono Occhetto e il Pds. Tronti divenne prima deputato di quel partito nel 1992 e poi, dopo aver per molti anni ricoperto il ruolo di presidente dell’istituto Crs (Centro per la riforma dello Stato), tornò in Parlamento con il Pd nel 2013 che lo elesse senatore.

È proprio scrivendo al suo vecchio leader Pietro Ingrao nel 2011, in occasione del suo compleanno, come ha ricordato giustamente un vecchio comunista napoletano, il professor Nino Ferraiuolo, che Tronti affronta senza veli il tema della sconfitta storica subita dalla sua parte politica. Tronti rifiuta l’idea “di essere stati noi, del movimento operaio di impronta comunista, gli autori di una storia sbagliata. Mentre i nostri avversari, e qualcuno dei nostri concorrenti, avevano visto giusto e capito tutto fin dall’inizio. lo credo che se dobbiamo rimproverarci qualcosa, questo sta nel campo di ciò che non abbiamo fatto, più che nel campo di ciò che abbiamo fatto male”.

Questo non significa non essere consapevoli di essere responsabili di una sconfitta dolorosa: “lasciamo ai nostri figli, ai nostri nipoti, una condizione di vita, individuale e sociale, e uno stato interiore, che con una parola a me, ma so anche a te, cara, possiamo definire spirituale, peggiore di tutto quanto noi abbiamo vissuto”.

Tronti si chiede se di fronte a tale realtà sia possibile trovare scusanti accettabili, e conclude: “Difficile perdonarci questa colpa. I potenti, i ricchi, i sovrapposti, i possessori delle nostre vite, non si sono mai sentiti così bene al sicuro come in questo tempo. Lo dimostrano il peso della loro arroganza, la volgarità della loro egemonia, le certezze della loro indiscutibile ragione. È qui che va posta la domanda: dove abbiamo sbagliato? Una domanda per tutti, uomini e donne, credenti e non credenti, rivoluzionari e riformisti. Non ci si può sottrarre. Non per disperarsi, tanto meno per rassegnarsi”.

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