Conoscevo Fabrizio da lontano, come Urbanista tra i più importanti di Napoli e poi per riuscite presenze televisive legate alla sua passione per il cibo e la sua cultura, in modo particolare per i dolci e per le sue prime sperimentazioni narrative presentate ad alcune edizioni di Futuro Remoto.
Poi ho avuto la fortuna di conoscerlo da vicino, di diventarne amico, di sviluppare con lui una relazione intellettuale e culturale nella quale mi sono arricchito e ho ricevuto stimoli importanti.
Difficile non riandare allo sforzo che compimmo in anni ormai lontani, e che pure sembrano avere insegnato poco, quando sul finire del primo decennio del terzo millennio si pose il problema a tutti i responsabili della cosa pubblica in Campania di sostenere a livello internazionale la qualità delle nostre produzioni agroalimentari che correvano il rischio di venire travolte dalle crisi ambientali che caratterizzarono non poco di quel periodo.
E così, tra le tante cose, ci trovammo ad allestire un percorso di incontri di promozione delle nostre eccellenze nelle capitali europee e a Varsavia restituimmo ai Polacchi il giusto orgoglio, credo, di scoprire che un loro connazionale, a cavallo tra ‘600 e ‘700, nientemeno che loro re oltrechè suocero del successore del re Sole in Francia, Stanislao Leszczyhsky, fosse il vero ‘inventore’ di un dolce che più napoletano non si può : il babà.
Il protagonista di questa scoperta è stato proprio Fabrizio che tenne in quella occasione, davanti ad un pubblico affascinato, una lectio-spettacolo, che poi avrebbe fatto diventare vero e proprio format narrativo potendo avvalersi anche delle competenze di Caterina, moglie e ispiratrice affettuosa di tante sue attività. Lectio con musiche, immagini, testo, pasticciere e…una quintalata di babà preparato nelle più diverse fogge e, alla fine della lectio, allegramente divorato dal pubblico attento.


Da allora ci siamo poi ritrovati tantissime volte, per eventi pubblici e incontri di discussione: in tante occasioni formative e didattiche, negli ultimi anni ha fornito alle attività di Città della Scienza un contributo fortissimo di contenuti e di ideazioni; in iniziative ed eventi in quel Cilento che era diventato la sua seconda patria e dove con Caterina si era trasferito, a San Mauro Cilento, sentendosi lontano, come lui mi diceva, dal chiacchiericcio napoletano; in iniziative promosse da questa nostra rivista Infinitimondi per la quale ha preparato forse uno degli ultimi suoi contributi: due saggi sulla cucina di mare nel Mediterraneo e sulla Pasta che vedranno a breve la luce in una iniziativa editoriale di un Istituto scolastico calabrese e in una pubblicazione che vogliamo curare in suo onore.


Non posso discutere del suo contributo alla cultura urbanistica democratica del nostro paese, cosa che pure andrà fatta, ma proprio di questa sua passione che nel tempo è diventata predominante nella sua attività intellettuale e per la quale ha saputo inventare format narrativi del tutto originali che hanno contribuito a restituire al pubblico più ampio due verità semplici ma fondamentali per orientarsi in questo nostro mondo di oggi : il cibo è una delle massime espressioni della cultura e della civiltà di un popolo e, quindi, mal si aggrada ad essere immaginato come seriale, anonimo, merce tra le merci come la fabbrica globale lo vuol far diventare; e il cibo è, al tempo stesso, una delle massime espressioni di una cultura e di una civiltà che possono spiegare sé stesse solo come frutto di mescolanze, di scambi, di influenze molteplici. Il cibo come esempio di identità necessariamente plurali e non riducibili a purezze antistoriche e del resto impoverenti. E anche da questo viene una lezione più generale in questo nostro tempo nel quale il Mediterraneo, culla di quella Dieta Mediterranea giustamente celebrata, e alla cui affermazione proprio intellettuali come Fabrizio hanno offerto un contributo decisivo, è diventato sempre più teatro e frontiera di quella guerra ai poveri che vede impegnati i paesi più ricchi del mondo contro i migranti.
E così, Fabrizio, proprio negli ultimi anni di studio suo, ci ha spinti a comprendere quanto il nostro ‘essere’ gastronomico oggi sia il frutto di quelle mescolanze cui proprio le culture arabe hanno fornito contributi decisivi a cavallo tra primo e secondo millennio: dall’Andalusia alla Persia, a Baghdad.


Stavamo ragionando ultimamente su quanto l’occasione della ‘Dieta Mediterranea’ si stava largamente sciupando, diventando più contesa di lotte localistiche e ‘coperchio’ buono per coprire tutto e il contrario di tutto, lontani da quella idea originaria di ‘leva’ per ripensare l’intero sviluppo di grandi aree territoriali e dello stesso Mediterraneo e immaginare nuovi stili di vita a fronte delle due epidemie che in questi anni sono cresciute e non diminuite: quella dell’obesità, che colpisce ormai più di 1 miliardo di cittadini dei paesi più ricchi e quella della fame e della carenza alimentare che colpisce quasi 1 miliardo di donne e uomini dei paesi più poveri.
E stavamo ragionando insieme su come aprire una riflessione urgente su questi temi.
La faremo questa riflessione.
Fabrizio non la potrà vedere anche se il suo contributo anche in essa continuerà a sollecitarci e stimolarci.
Grazie Fabrizio.

Gianfranco Nappi

La foto è tratta dalla pagina social di Fabrizio Mangoni

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