C’è un doveroso sentimento di pietas di fronte alla morte che anche per Silvio Berlusconi non può non valere, al di là dei punti di vista politici.

Al tempo stesso la morte però, pur suprema livellatrice come forse direbbe ancora il grande Totò, se tutti uguali rende di fronte alla nuda terra o al Signore dei Cieli, certo non assolve da giudizi e valutazioni su come si sia vissuto e su come ci si sia rapportati, in questo caso, con il bene pubblico e la polis.

Da questo punto di vista, dal giusto cordoglio, dal dolore sincero di quanti lo hanno avuto come riferimento, e non sono pochi, si è rapidamente passati ad un processo di annunciata beatificazione, sfrontata nei toni e nei contenuti con il supporto dl un Servizio pubblico radiotelevisivo ridotto a megafono acritico e con un lutto nazionale che la dice lunga e chiara sul punto cui è giunta la nostra democrazia.

Del resto, è sufficiente spostarsi fuori dai confini nazionali per vedere come occhi più distaccati abbiano trattato l’evento in termini di bilancio politico culturale. E pur fatta la tara di un modo di guardare sempre con sufficienza all’Italia da parte di alcuni, dai più la valutazione critica si è presentata ben fondata.

E’ certo che nel trentennio da lui attraversato Berlusconi abbia rappresentato l’affermarsi di una concezione e di una pratica della politica, del ruolo nelle istituzioni e delle stesse istituzioni, dell’attività legislativa e di governo come strumenti piegati agli interessi privatistici, ad una personalizzazione estrema, a fenomeni corruttivi diffusi, peraltro accertati e conclamati, ad un decadimento estremo della morale pubblica che pesa come un macigno sul futuro dell’intero paese. Il tutto con un confinamento della donna in una visione regressiva e negatrice di ogni sua soggettività. Il timbro è stato quello di una esaltazione – e quindi con la costruzione dei più facili consensi – della furbizia, del raggiro, dell’elusione e dell’evasione di ogni norma, a cominciare da quella fiscale, come modelli di riferimento. Di una refrattarietà a parlare di mafia e di lotta ad essa. E, prima della scesa in campo , dell’utilizzo spudorato dei padrinati politici per costruire un impero legato alla rendita fondiaria e al mercato televisivo e all’informazione in nessun modo immaginabile senza di essi; espressione di tutto tranne che del mito dell’imprenditore fattosi da se modello di virtù d’impresa…

Altrettanto indubbio è che il suo attraversamento di questo tempo a cavallo di due secoli, reso possibile dal crollo di tutto un mondo e di tutto un equilibrio nato dal secondo dopoguerra, sia stato molto poco un fenomeno da italietta e molto invece in sintonia – al tempo stesso acceleratore – di quei processi di frantumazione sociale e di resa all’individualismo più esasperato che hanno segnato l’affermarsi del neoliberismo e del neocapitalismo di assalto dell’ultimo trentennio.

In questo, davvero Berlusconi è stato anticipatore di una tendenza che poi si è diffusa nel progressivo processo di delegittimazione della politica e di ogni soggettività collettiva: Trump, Putin, Bolsonaro, Orban, perfino Zelensky, appaiono tutti appunto espressione della tendenza ultima del capitalismo, di sovversivismo delle classi dirigenti potremmo dire con Gramsci perfino e di messa in discussione della democrazia che non solo non è più progressiva, ma che non può neanche più essere liberale

L’elemento che voglio sottolineare è che la critica di questi fenomeni non è ascrivibile, almeno per me, alla categoria del moralismo: in essa non c’è alcuna concessione all’antipolitica perchè altrimenti non vedremmo che essa, l’antipolitica, più che essere alimentata dalla polemica contro i partiti ( tipica della destra qualunquistica ), è alimentata invece dal livello di omologazione raggiunta proprio dai partiti tutti ad una concezione e pratica di politica privatizzata. E, visto che ci siamo: in caso contrario, peraltro, dovremmo perfino considerare Enrico Berlinguer come uno dei capostipiti del populismo…E infatti, nello sbandamento culturale che attraversa quel che rimane di quel che si richiama alla sinistra, a Berlinguer è stato imputato anche questo…

Quindi, ecco il punto: nel mio ragionamento, il discorso morale ha immediatamente un risvolto sociale, perchè quell’idea di Italia e di politica si è poi incarnata in una pratica del tutto contraria alle ragioni del mondo del lavoro e della giustizia sociale. Ha coalizzato un blocco sociale che ha unito il rampantismo neoliberista al mondo pluriforme dell’evasionismo fiscale, dell’antistatalismo. Ha smantellato sistema formativo pubblico, sistema sanitario pubblico, ha aperto ad un dilagante processo di privatizzazione e di concentrazione sfacciata della ricchezza. Ha profilato desideri e pulsioni di un cittadino ridotto a consumatore nell’incipiente mondo dei flussi comunicativi di cui la TV commerciale è stato veicolo fondante e ridotto a spettatore di un circuito massmediatico in cui si è annullata ogni differenza tra TV pubblica e TV privata con la prima ampiamente omologata alla seconda.

L’Italia che tutto questo ci consegna è l’Italia dove si piangono quasi due morti al giorno per incidenti sul lavoro e si è appena approvata, ad opera di questo Governo, una controriforma del Codice degli appalti che consente il sub appalto ad infinito; dove una Presidente del Consiglio grida in una piazza contro il pizzo di Stato ( le tasse per commercianti…), e qualche giorno dopo il suo Ministro del Bilancio tranquillizza i grandi interessi finanziari dicendo che nè ora nè mai il Governo toccherà gli extraprofitti delle Banche; è l’Italia dove un lavoratore dipendente e un pensionato hanno oggi un livello di reddito che raggiunge a malapena l’85% del reddito reale che aveva nel 2007; è un paese dove perfino oggi su la Stampa Elsa Fornero, che certo amica del mondo del lavoro non è stata…, dice: ” Vanno aumentati gli stipendi di fronte ad una inflazione che mangia il potere d’acquisto e vanno tassati più che proporzionalmente gli extraprofitti della finanza e delle aziende”. Lo dice la Fornero non la sinistra…

L’altra verità che bisogna riconoscere quindi è che il Berlusconismo si legge meglio anche guardandolo in relazione alla cultura espressa dai suoi oppositori. E dunque non si può fare un discorso su di esso che non lo veda anche in relazione con il cosa, il come e il perchè , il per chi di coloro che avrebbero dovuto rappresentare l’alternativa ad esso e non solo l’opposizione. Perchè l’opposizione, se non è nutrita di una forte carica alternativa, morale e sociale insieme appunto, alla lunga tende a stemperarsi, tende a posizionarsi su di un terreno dove non fioriscono i compromessi , del tutto necessari in politica , ma crescono invece le omologazioni: e ancora oggi, su questo D’Alema non trova il modo sul Corriere della Sera di sviluppare un discorso critico…

E allora, se il Berlusconismo ha potuto vedere crescere in questo modo un suo popolo di riferimento è anche perchè la sinistra ha smesso di fare popolo e di fare comunità; ha pensato essa stessa per se’ , non più possibile una narrazione collettiva ( qual’è stata l’ultima di queste narrazioni di questi decenni? Forse la lotta che portò in modo vincente i due milioni di Cofferati e della CGIL al Circo Massimo degli inizi degli anni 2000?); ha assunto come prevalente la dimensione della politica-potere; ha esasperato ogni suo personalismo e ogni sua personalizzazione; è diventata anch’essa, e pienamente, partito-personale fino a diventare, i partiti della sinistra e il Pd massimamente, insieme di persone-partito.

E allora, una riflessione sincera sul Berlusconismo ne lascia aperta anche una su di noi, una sorta di de te fabula narratur che attraverso la sua parabola possiamo leggere in controluce per noi. O meglio, dovremmo leggere. Perchè, invero, questa lettura non la vedo neanche ora. E neanche con Elly Schlein pur oggetto di una invereconda campagna di aggressione politica e personale che muove da quella destra che ci si illude possa civilizzarsi ma anche dall’interno del suo Partito.

E però, cara Segretaria del PD, lo dico dall’esterno e preoccupato proprio in chiave democratica, se una visione altra c’è; se una selezione di priorità nuove c’è; se un appello al Paese per chiamarne le energie migliori alla mobilitazione c’è, qui ed ora, in questo tempo di guerra e di crisi climatica; se un discorso nuovo sulle forme della politica e sul radicale cambiamento che non può non investire in primis proprio il PD, c’è beh, allora, è venuto il momento in cui, se c’è, si faccia vedere e sentire.

Gianfranco Nappi

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1 commento

  1. Penso che sia sbagliato parlare di Berlusconismo poiché i capovolgimenti, la restaurazione sociale e politica emerge con la sconfitta di tutti i movimenti nati a cavallo degli anni 60/70 i cui artefici vanno ricercati in schieramenti della sinistra. Berlusconi ha gioco facile in questo deserto dove manca qualsiasi opposizione, dove le carceri scoppiano di detenuti per fatti di rivolta, dove strati sociali sono stati zittiti da una legislazione prodotta con la scusa dell’emergenza e del terrorismo. La Sinistra non è che non capì in quale tunnel si stava infilando, era parte protagonista della commedia. E l’alluvione in Emilia Romagna ci consegna una foto nitida della concezione che di aveva dello “sviluppo” e della “crescita” nelle regioni rosse: puro sviluppo capitalistico, cinsentito, approvato e incoraggiato.

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