Nel nostro tempo di rapidi cambiamenti produttivi e sociali, appare offuscato, ma non tramontato, il “Sol dell’avvenire” sorto nel secolo scorso: il capitalismo nelle sue cicliche crisi ha alzato il livello del controllo sulla produzione e l’accumulazione della ricchezza, de localizzando i processi produttivi “pesanti” nei paesi terzi, oggi sottosviluppati e socialmente asserviti , monopolizzando gli strumenti di produzione informatici, assumendo il controllo e l’indirizzo della coscienza generale indirizzata nella frammentazione sociale e nell’individualismo proprietario lasciando ai detentori della produzione della ricchezza campo largo per gestire le diseguaglianze e istituzionalizzare negli Stati la logica di regolatore con gestione autoritaria questi processi.
Proverò a individuare, nei paragrafi successivi, un percorso di “lavoro politico” e inchiesta sui temi dettati dai cambiamenti strutturali che hanno, di fatto, spinto la sinistra nel luogo di solitudine e incertezza teorica.
Milano / Napoli l’analogia della diseguaglianza
Sono, quindi, i processi di ristrutturazione economica del neoliberalismo che stanno travolgendo la condizione di equilibrio sociale degli anni della fine del 900’ trasformando anche gli assetti istituzionali nati dal patto capitale-lavoro e la formazione del sistema di difesa sociale .
Il ciclo “lavoro/produzione di ricchezza” ha esportato sul territorio la catena produttiva frazionando le competenze, riducendo con l’automazione il numero dei lavoratori, avviando sul territorio una conquista speculativa di ricchezza derivata dalla privatizzazione dei servizi, dalla valorizzazione redditiera degli immobili, dall’orientamento monopolistico dell’immaginario bene di consumo di massa.
Questi processi sono analizzati da Lucia Tozzi in “L’invenzione di Milano” edito da Cronopio, con il rilievo che pone sul ruolo della finanza nella privatizzazione della città pubblica e delle istituzioni socio culturali. La neutralità, parziale, dell’amministrazione pubblica verso tale trasformazione facilita la neutralizzazione degli antagonismi promossi da associazioni resilienti, diventa la nota istituzionale predominante dello sviluppo neoliberista abdicando al ruolo di regolatore dello sviluppo.
Analogamente la città di Napoli e la sua area metropolitana è investita da un processo di “formazione di Brand” relegata a capitale minore meridionale dal processo di sviluppo neodualistico si costruisce un’ immagine di città da vendere sul mercato turistico, una città che si rigenera nell’immaginario, che attrae con il “bello” usufruibile a buon mercato.
In parallelo si sviluppa una politica di trasformazione del tessuto urbano che mette a rendita crescente le residenze storiche, sia nei vicoli che nelle zone residenziali, relegando le periferie a luogo secondario e nascosto in cui operano forze malavitose e di economia sommersa, che, nella commistione tra lavoro nero e speculazione organica si avvalgono come leva dell’estrazione della ricchezza.
Una città il cui governo si affida alla spontaneità degli eventi senza intervenire nella gestione strutturale di un riequilibrio urbano controllando il patrimonio pubblico, sviluppando progetti di intervento pubblico che trasformino la città in luogo inclusivo, funzionale all’integrazione nel tessuto urbano delle periferie, assumendo in proprio la conduzione del patrimonio culturale diffuso dei suoi musei e dei valori urbanistici, resistendo alle chimere delle multinazionali della cultura omologante che hanno destinato a Napoli il futuro di spettacolo “atipico” come marchio vendibile.
Sono questi processi, che coniugati con il monopolio dello sviluppo tecnologico, forniscono i temi dell’ideologia della modernità come orizzonte unico possibile verso cui indirizzare l’umanità, che sono alla base dell’amalgama politico che governa oggi il nostro Paese, riproducendo il modello dualistico di sviluppo che ha determinato. e continua ad alimentare, la diseguaglianza tra Nord e Sud e apre fratture sociali e istituzionali tese all’ulteriore frazionamento dei ceti sociali per affermare il bisogno della governabilità forte da compiersi con la revisione costituzionale.

Autonomia differenziata
Il Governo di destra ha lanciato l’attacco alla Costituzione con la riforma detta “Autonomia differenziata” con due obiettivi: il primo è un disegno di una struttura diseguale nella distribuzione delle risorse pubbliche e il conseguente relegamento del mezzogiorno ad area assistita e desertificata, in cui realizzare un patto tra Stato, settore imprenditoriale legato alla rendita edilizia nella modalità descritta da Lucia Tozzi, e l’economia sommersa infiltrata dalla malavita mafiosa.
Il secondo obiettivo consiste nell’anticipare la riforma costituzionale con il tema del premierato con investitura elettorale diretta, si realizza un sistema di Presidenti regionali in rapporto al Presidente del Consiglio eletto direttamente dall’elettorato con poteri quasi assoluti, di fatto un’ esautorazione del Parlamento e la formazione di una nomenclatura presidenzialista che disporrà di tutte le leve economiche e istituzionali senza controllo democratico.
Si configura un sovranismo regionalista della destra come applicazione e sviluppo del neoliberismo nel nostro Paese: il divario nord sud viene implementato secondo il modello dualista: concentrazione di produzione di ricchezza nel Nord, concentrazione di sviluppo distorto del Sud in cui lavoro nero e evasione sono gli ammortizzatori sociali dell’era globalista, il sud diventa mercato di consumo interno al Paese, le aree meridionali sono destinate a luogo di estrazione di ricchezza usando il territorio pubblico a fini redditieri, esasperando le marginalità e convivendo con la criminalità.
Una politica che trova riscontro in campo Europeo con l’affermarsi di governi di destra nei paesi dell’Est,questi con forti venature autoritarie, e nella crisi socialdemocratica dei paesi scandinavi che lasciano il campo a esperimenti governativi di destra neoliberista con venature di egoismo sociale rispetto all’emigrazione.
L’obiettivo finale è quindi una Unione Europea a guida delle destre, debole sul piano sociale ma forte della frammentazione dei processi produttivi che coniugati con un’ ideologia primatista e individualista fornisce la base politica a un blocco sociale interclassista, riformula i corpi intermedi in aggregazioni volatili su obiettivi particolaristici, che esaurita la funzione mediatrice, si sciolgono nel magma confuso dell’individualismo proprietario.
Estrazione della ricchezza
I processi ciclici del capitalismo, segnati da crisi economiche e finanziarie con ricadute sociali, hanno perseguito il frazionamento sociale del mondo del lavoro superando il limite fordista della fabbrica estendendo al territorio, sia su scale locale che planetaria, la produzione di ricchezza configurata nelle delocalizzazioni produttive nei paesi terzi e nello sfruttamento neocoloniale delle loro risorse, nell’estrazione di ricchezza nelle aree forti, Occidente e sue periferie prossime, attraverso l’appropriazione proprietaria del territorio su cui sviluppare modelli gerarchici di convivenza sociale regolata del libero mercato e dal divaricarsi delle diseguaglianze sociali.
In questo quadro la povertà generata dall’aumento delle diseguaglianze, si aggrava sia in termini materiali che sociali.
Le aree interne, le periferie urbane sono sempre più marginalizzate usate come luoghi di clientela, come mercato speculativo dei beni essenziali, le aree rilevanti per il turismo sono monopolizzate su uno sviluppo auto centrato sul mercato del tempo libero senza ricadute strutturali sul territorio.
La contrattualizzazione delle condizioni di lavoro si è trasformata in contrattazione individuale senza regole, istituto caldeggiato e regolamentato dalla sinistra nei primi anni del questo secolo, che ha disarticolato il movimento sindacale, incoraggiato, con sussidi e agevolazioni fiscali, la formazione di imprese individuali che sono la base porosa del sistema di appalti delle opere pubbliche ma anche delle delocalizzazioni industriali e della logistica
Il welfare sociale è stato smantellato con l’assioma che l’efficienza è insita nel privato, la Sanità, con diverse modulazioni regionali, è stata frazionata tra la specialistica privata “efficiente” e centri esclusivi di cura sul modello anglosassone; l’assistenza sociale, dagli anziani agli immigrati, dalle donne ai diversamente abili, è stata devoluta a privati e associazioni di volontariato, il sistema pensionistico è sotto tiro della grandi compagnie assicurative.
In questo quadro la misura di welfare del “reddito di cittadinanza”, unica misura prodotta dai governi succedutisi nell’ultimo decennio per il contrasto alle diseguaglianze, elaborata organicamente e rivolta verso le fasce deboli, ma maldestramente gestita, è oggetto di smantellamento voluto dalla destra e dai moderati alimentando un fuoco della disapprovazione sociale motivato dalla “fannnullità” dei giovani e dei meridionali.
La Sinistra si è adeguata allo stato della cose, dal 1989 ha cancellato la ricerca politica di alternativa sociale e ideale al neoliberismo assumendo la strategia dei due tempi: gestiamo il processo di riorganizzazione capitalistica e poi assicuriamo i diritti di cittadinanza, non i diritti dei lavoratori di intervento sulle decisioni del modo e i tempi delle ristrutturazioni produttive e sui tempi di vita, riducendo l’area dei lavoratori a cittadini consumatori. Ed è questa svolta del XXI secolo nella politica della sinistra che supera il limite socialdemocratico di Bad Godesberg aprendo a una assunzione del modello liberista come valore fondante della società e della sua coesione.
Tutti i processi produttivi e di riorganizzazione sociale messi in campo dal capitalismo hanno un valore aggiunto al loro servizio: la tecnologia informatica.
Lo sviluppo informatico, dal personal computer al tablet, alla rete di internet, all’intelligenza artificiale, sviluppatosi tra Stati Uniti Europa e Giappone dalla metà del secolo scorso, è stato terreno di appropriazione privatistica delle fonti scientifiche e delle modalità d’uso che condizionano, oggi, l’intero arco di vita dell’umanità.
Altri, meglio di me, ragionano su questo tema, mi limito a alcune considerazioni del rapporto tra la sinistra e lo sviluppo tecnologico: la prima ricordando la disfatta dell’Olivetti negli anni 60-70 del secolo scorso, la seconda sottolineando la sottovalutazione della potenza del mezzo stesso.
L’Olivetti ha avuto la forza negli anni del dopo guerra di sviluppare un ciclo produttivo basato su ricerca e funzionalità automatizzante del suo prodotto, ha anticipato soluzioni di ingegneria informatica e di calcolo che si sono rivelate decisive successivamente, e proprio per queste caratteristiche è stata oggetto di un offensiva delle “major” informatiche d’oltre oceano verso cui la fabbrica di Ivrea non ha trovato lo Stato al suo fianco, avendo questo preferito non contrastare l’alleato americano, ma non ha neppure trovato alleanze nel mondo della sinistra fermo a perseguire il “canone” leninista dello sviluppo organico cioè a consolidare il sistema produttivo pesante, per poi passare a una fase successiva. Ci hanno visto corto!
Ne è derivata, a sinistra, una diffidenza verso la modernizzazione scientifica dapprima intesa come campo consumistico superfluo e successivamente adottata acriticamente come strumento comunicativo; la sinistra non ha compreso che era ed è in corso una rivoluzione produttiva, che riducendo le componenti umane del lavoro sviluppa una potenza produttiva inimmaginabile, che accoppiando la proprietà monopolistica delle fonti di calcolo e degli algoritmi gestionali si estende al governo della vita ordinaria: dalla finanza alla scelta del bar dove prendere l’aperitivo.
Gli Stati hanno consentito, in cambio di servizi informatici per la propria attività, l’acquisizione, da parte delle grandi imprese informatiche, delle identità materiali e informatiche di ogni donna e uomo che utilizzi uno strumento tecnologico.
Governare un Paese oggi significa porre la questione del controllo condiviso dei flussi di dati per orientarli verso un interesse inclusivo e di progresso, significa costruire una proposta politica che affronti il divario dualistico Nord Sud,locale e planetario, che affronti il tema della distribuzione della ricchezza in modo inclusivo e assumendo il lavoro come condizione umana e non come merce.
Negli anni 60 del secolo scorso gli economisti Baran e Sweezy nella teoria del capitale monopolistico anticiparono una inversione di canone: il plusvalore, con lo sviluppo tecnologico, si produce anche con il consumo, il penny inserito in un distributore di Coca Cola produceva plusvalore, mi riferisco alle conferenze di Claudio Napoleoni alla Sapienza di Roma.
Oggi quello sviluppo sta configurando il mondo!

Napoli,la Campania al tempo globale
Il divario registrato oggi tra le aree della Regione appare sostanzialmente in continuità con le contraddizioni dei decenni di fine secolo scorso: il livello di urbanizzazione dei capoluoghi di Provincia, tutti compresi, sono, sia per quantità che per qualità, inferiori alla media nazionale, le aree costiere sono investite da un ciclo di cementificazione senza regole e al cui contrasto si invoca la necessità di modernizzazione e apertura al mercato turistico. Esemplare, a tal proposito, la vicenda del Puc di Cetara, in costiera amalfitana, che prevede una nuova urbanizzazione in collina, che è approvato dal Consiglio regionale quasi all’unanimità; le aree interne dell’Appennino campano, pur registrando un minimo innalzamento della vivibilità e nuova,timida, imprenditorialità nel settore agroalimentare, restano senza reti di comunicazione, di servizi sanitari e sociali, di logistica e trasporti. L’osso e la polpa del Mezzogiorno di Manlio Rossi Doria, si ripropone nella sostanza politica oggi.
L’organizzazione territoriale della Campania è oggi staticamente ferma dal post terremoto del 1980 e in più vede i ceti sociali cittadini, metropolitani, delle aree interne e costiere in competizione tra di loro per assicurarsi il massimo finanziamento pubblico da destinare alla soddisfazione di bisogni e esigenze dei vari localismi.
Un quadro in linea con le devoluzioni economiche del neoliberismo, a cui la sinistra ha tentato di resistere negli anni a cavallo dei due secoli con ambiziosi piani di riequilibrio tra le aree interne e costiere, con un cambio di passo nel governo della cosa pubblica aprendo a innovazioni gestionali innovative, ma poi sotto attacco politico e sociale dei ceti legati alla rendita di posizione si sono dissolti trasformandosi in azione dirigista in competizione tra di loro.
Salario minimo e unificazione del mondo del lavoro
La pervicace azione di frammentazione dei ruoli e dei salari, perseguita con le delocalizzazioni industriali in paesi dell’est europeo e del sud del mondo, la scomposizione della figura operaia in addetto allo sviluppo dell’impresa come singolo ente con cui stipulare contratti individuali, l’esternazione di cicli produttivi nel territorio circostante affidandoli a consulenti a partita iva, è stata perseguita dalle forze imprenditoriali in un disegno di controllo sull’intero ciclo di vita del lavoratore e della lavoratrici sostituendo alla capacità di apprendimento e gestione alternativa del ciclo produttivo l’idea, socialmente in linea con il neoliberismo, della competizione per l’accrescimento del proprio reddito rinunciando alla quota di ricchezza che si aggiungeva e si aggiunge ancora oggi al profitto dell’investimento del capitale.
Coniugata a questa azione l’uso proprietario delle risorse e degli apparati dello sviluppo tecnologico, ha completato il quadro di dominio sulle vite individuali.
Il mercato del lavoro appare oggi come un suk in cui si vende e compra lavoro con trattative individuali senza garanzie di stabilità e qualificazione, la legislazione prodotta nell’ultimo decennio è la cornice legale che sostiene il processo diseguale della produzione di ricchezza.
La Sinistra ha tentato un patto con le forze del capitale: guidate voi lo sviluppo della strada dell’ accumulazione di ricchezza, io cerco di sviluppare un sistema di diritti, non legati al modo di produrre o di ridurre le diseguaglianze, ma che rendano sopportabile agli “altri” questo sistema. Rinunziando al suo ruolo di critica dello sviluppo diseguale ha aperto la via al populismo e alle destre che oggi sentono vicino il tempo della propria egemonia.
Per un’ intelligenza di sinistra su nuovi parametri
Gianfranco Nappi in un intervento su Repubblica Napoli “Esiste una sinistra oltre il Pd di Schlein” evidenzia la carenza della proposta del nuovo Pd nell’ambiguità della visione complessiva del momento storico in cui viviamo: a fronte della politica neoliberista si risponde con una radicalità democratica che rivendica di più per tutti (diritti,redditi spazi…).Questa politica elude il tema di fondo del contrasto generale alle diseguaglianze, al modello di sviluppo neoliberista in quanto portatore di divisione sociale e di sfruttamento del lavoro vivo e delle risorse del pianeta,e resta debole e parziale, ingabbiata dal patto di continuità dello sviluppo senza critica alternativa sociale, politica e gestionale ponendo il tema del giorno: come la sinistra interpreta il Mondo, oggi.
L’interpretazione del Mondo oggi non può partire con il canone tradizionale della sinistra, traslato senza soluzione di continuità da Togliatti a Occhetto, che prevedeva il gradualismo istituzionale per trasformare il Paese, in sintesi: lasciamo compiere la maturità del capitale in una cornice istituzionale di governo democratico che prepari il salto verso la liberazione dell’uomo.
I limiti di quel canone si sono visti quando il crollo del muro di Berlino ha trascinato con sé il paese guida del “socialismo reale”, eppure nel dibattito del Pci questo limite è stato sempre oggetto di confronto e scontro politico da parte delle sue organizzazioni legate alle esigenze popolari e di classe. I lavori di ricerca sullo sviluppo del capitale per individuarne i punti di crisi e di trasformazione della società sono stati la nota qualificante della sinistra sindacale e comunista all’interno del partito, ma anche “extra moenia” grazie a gruppi politici nati negli anni 60”: uno per tutti si ricorda il lavoro di inchiesta politica svolto dalle riviste “I quaderni piacentini” e “Quaderni rossi”, che hanno fornito la struttura politica e ideale alle piattaforme delle lotte contrattuali degli anni 70.
Il maggior partito della sinistra si è andato modificando secondo il canone tradizionale dell’istituzionalismo strutturale fino a diventare attore più o meno consapevole delle innovazioni neoliberiste, basti ripensare ai decenni passati nei governi centristi nel tentativo di arginare, senza strumenti interpretavi, la deriva di destra.
Oggi per affrontare un rilancio della sinistra occorre un’ inversione del canone interpretativo: un canone inverso.
Inverso nel determinare le forme di diseguaglianze per individuare i soggetti sociali nella gerarchia degli sfruttati e sfruttatori, per ricercare nel progresso tecnico i temi unificanti e inclusivi di uno sviluppo condiviso, per prospettare un orizzonte di giustizia sociale teso alla liberazione dell’umanità dall’alienazione e dai condizionamenti economici, libero da dipendenze nostalgiche.
Inverso al canone tradizionale della sinistra ma non opposto: il marxismo, il canone melodico organico, va liberato dall’ideologismo sovietico, va sperimentato nelle nuove contraddizioni dello sviluppo capitalistico, va armonizzato con i bisogni materiali e immateriali delle donne e uomini oggi ridotti a oggetti passivi del mercato finanziario.
La proposta avanzata da “Infiniti Mondi” di costituire un centro di formazione politica della sinistra deve fare della melodia dell’oggi il contrappunto al canone originale: aprirsi al confronto con culture diverse, dai cattolici alle esperienze “antagoniste”, dai movimenti ambientalisti al mondo inquieto del femminismo.
Un confronto con le “Istituzioni” del movimento democratico per tessere un filo conduttore per una società diversa da quella proposta: “Tina” acronimo anglosassone (there is no alternative) che tradotto significa rassegnatevi e adeguatevi allo stato attuale del mondo va contrastato con una radicale innovazione cognitiva della sinistra.
Occorre uscire dalle proprie certezze, di partito, di associazioni, di gruppi autoreferenziali, di nicchie culturali, per contaminarsi e trovare l’unità sociale per una alternativa allo stato attuale delle cose.
Si tratta di finalizzare i campi di ricerca coinvolgendo attori diversi impegnati nella politica, nella cultura, nel sindacalismo, al fine di definire nuove alleanze tra la tradizione canonica e la melodia del controcanto.
Un’ impresa ambiziosa certamente ma non demagogica, un’ impresa che abbia il coraggio di guardare il mondo e trasformarlo come i due amici tedeschi ebbero il coraggio di fare iniziando una scalata alla felicità, oramai più di un secolo addietro.
Massimo Anselmo


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