a cura di Gianfranco Nappi


Scambio di mail , dibattito insieme rigorosamente online l’altro anno in tempo di pandemia, un suo contributo al numero monografico di Infinitimondi che abbiamo dedicato al comune amico Pietro Greco che, così, ha continuato a farci regali di condivisione di conoscenze, pur non essendoci lui più: questo è la mia scoperta di Bruno Arpaia, che conoscevo solo come grande traduttore di grandi autori spagnoli e come narratore egli stesso
.

Bruno Arpaia è di Ottaviano, città simbolo per una generazione di ragazzi Vesuviani e Napoletani che proprio lì, dopo tanti omicidi di camorra, in una Marcia rimasta famosa che organizzammo proprio 40 anni fa da Somma al Castello allora di Cutolo ed oggi di nuovo Mediceo, ci vide alzare il velo di silenzi, ipocrisie e collusioni con il potere di cui la camorra godeva.

E’ appena uscita la sua nuova fatica: Ma tu chi sei? Guanda Milano 2023 su cui non sapremmo dire nulla di meglio di quel che ne ha scritto Valerio Calzolaio, comune amico nostro e di Pietro…ancora lui.

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Recensione Ma tu chi sei

Ma tu chi sei
Bruno Arpaia
Memoria autobiografica
Guanda Milano
2023
Pag. 167 euro 18

Valerio Calzolaio
Ottaviano. 2019-2022. In esergo Terenzio, Grossman e Leopardi come sintesi centrale. “La morte non è un male… La vecchiezza è male sommo: perché priva l’uomo di tutti i piaceri, lasciandogliene gli appetiti; e porta seco tutti i dolori”. La madre (vedova dal 1988) e il suo unico figlio scrittore sono di Ottaviano, il bel comune a est di Napoli, sul Parco Nazionale del Vesuvio. Lei ci si è sempre vissuta, lui ormai da decenni si è trasferito a Milano e gira per il mondo (soprattutto latino-americano), pur tornando spesso da quelle parti. Ancor di più va e viene in questi ultimi anni, quando in lei si è affacciata prepotentemente la malattia dell’Alzheimer. Va a trovarla nonostante l’arrivo della pandemia, ha provato a farla svagare in Liguria e Toscana, ha proposto di portarsela stabilmente in Lombardia, infine è riuscito a sistemarla in una residenza campana in cui le vogliono bene, lo aggiornano sul decorso o lo accolgono per le frequenti visite. L’autore non scriveva un rigo da più di due anni, pur continuando a pensare, tradurre, appuntare, accantonare narrazioni. La morte è diventata sempre più presente in quei suoi pensieri e nella vita: sa che quella della mamma è prossima; intorno stanno morendo tante persone a lui care (come la cugina Fabiola, Luis Sepulveda, Pietro Greco); forse anche la sua non è lontana. Ha una compagna da quarant’anni ma il rapporto non fila liscio (hanno un amato figlio ed è comunque una consolazione), crescono inevitabilmente i malanni dell’età, l’intensa vita professionale non sempre garantisce il dovuto corrispettivo pratico. E sa da tempo sia che la memoria inganna, ma solo nella memoria la realtà prende davvero forma; sia che la scrittura autobiografica, o dichiarata come tale, non ha funzione terapeutica e anzi contiene sempre un infido germe di violenza verso chi la pratica e verso chi viene tirato in ballo, ma, pur se dolorosa da scrivere, è talora magnifica da leggere. Come in questo caso. Meritevole di fede, letteraria e civile.
Il grande giornalista, traduttore, consulente editoriale e scrittore Bruno Arpaia (Ottaviano, 1957) è da decenni un noto serio appassionato di neuroscienze, convinto da sempre che vadano abbattute le barriere tra cultura umanistica e cultura scientifica. L’intenso bel filo narrativo è costituito dal rapporto con la madre. Il titolo (esclamativo) del libro è l’esordio della narrazione in prima persona, il primo interrogativo appello che l’ormai 92enne pronuncia e poi continua a ripetergli di continuo: “Ma tu chi sei?”. Come è possibile? Quanto è strana e come va assecondata la malattia dell’identità che svanisce? E, allora, lei gli ha mai voluto davvero bene? Ed è decente parlarne e metterla in piazza? Si può denudarsi e mostrarsi sanguinante attraverso vicende personali vissute, sognate, ascoltate, lette? Per raccontare come funziona il cervello (di tutti) e come possono essere alterati i ricordi (di tutti), Arpaia decide di partire dalla propria esperienza, da buchi, mancanze, stranezze e sgambetti del suo cervello e della sua memoria: la dimenticanza totale di alcuni episodi importanti, la difficoltà a collocare gli eventi nel tempo, la leggera forma di prosopagnosia (incapacità di riconoscere e ricordare i volti). I capitoli alternano gli incontri con la mamma e le riflessioni culturali, i surreali dialoghi reali con in sottofondo emozioni e sentimenti da figlio scrittore e le acute toccanti approfondite riflessioni sui libri pubblicati o da iniziare, oppure sulle notizie che aggiungono spunti competenti o poetici all’attesa della morte, alle paure private e alle angosce collettive (come la crisi climatica, la pandemia e la guerra). Per esistere dobbiamo raccontarci, anche a noi stessi: quel racconto, anche se non vogliamo, è pieno di bugie. Ogni memoria inventa e affabula, scandisce il tempo che ci consuma. E l’oblio è una forma di morte sempre presente all’interno della vita. Così, non esistono due ricordi uguali, perché evocare un evento passato ne modifica il contenuto presente e condiziona i progetti per il futuro. Anche la nostra identità è plastica e può essere modificata da nuova informazione. Amelia di Joni Mitchell e Allegro giocoso di Brahms, prima o poi. Uno splendido “romanzo”.


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Temi e tematiche trattate da Bruno Arpaia, anche quelle biografiche, su cui mi consento una notazione personale: le ho sentite con particolare intensità avendo da poco ho perso mio padre novantratreenne, e avendo attraversato nell’ultimissima fase della sua esistenza la condizione dell’essere a lui quasi sconosciuto, di quello che questo significa, di una perdita in qualche modo già annunciata e in atto prima ancora della sanzione finale.

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Temi e questioni che Arpaia riprende nella sua intervista a Tuttolibri de La Stampa di sabato 11 febbraio: una ulteriore occasione per porre in tensione feconda la vicenda umana e personale con uno dei temi più generali e centrali di questo nostro tempo: non solo il come ma perfino il se del rapporto con la nostra storia collettiva, di comunità, di paese, di umanità che da sempre più parti si vuole azzerata, ogni giorno ricostruita e ogni giorno sostituita da una nuova che, appena emersa, ne attende subito la sostituta…Non è questo un segno del destino ma il portato invece di un certo tipo di rapporti sociali realizzati in questo tempo di neocapitalismo. E così come sono stati determinati, possono essere cambiati. E il filo della memoria non smarrita è parte fondamentale per tornare a progettare il futuro: potremmo dire con l’ultimo Mario Tronti, per strapparlo dalle mani di coloro che ce l’hanno sottratto.

Queste invece le parole di Bruno Arpaia nella sua intervista: La nostra identità è essa stessa una storia che ci raccontiamo…Il cervello è una macchina di futuro: lo prevede sulla base dei ricordi immagazzinati. Per quanto possa sembrare strano, lo scopo principale della memoria non è guardarsi alle spalle, ma proiettarsi in avanti, immaginare e prevedere scenari a venire…Conoscere la storia è fondamentale per uscire dai binari in cui siamo incanalati e che ci stanno portando verso il disastro“.

E ho detto tutto!

La memoria allora come potere, come forza eversiva nei confronti dello stato di cose presenti.

Non è del resto un caso che proprio sulla memoria, ovvero sull’archiviazione e sulla elaborazione del vissuto, e quindi della storia di ciascuno di noi, che diventa lavorazione di miliardi di dati, metadato, algoritmo di trattamento, si alimentano livelli sempre più elaborati di Intelligenza Artificiale ed è aperto forse lo scontro principale della nostra epoca.

Per dirla con Susanne Zuboff: pochi cercano di controllare la nostra storia, ridotta a dati, per essere i soli non solo a prevedere il futuro ma a determinarlo in anticipo. Per ciascuno di noi.

E allora, proprio ragionando su e con Bruno Arpaia, e Valerio Calzolaio, mi viene un’altra suggestione.

In queste ore che ci avvicinano alla data topica del 17 febbraio quando in quel lontano 1600 fu posto al rogo un Vesuviano, l’autore della Nolana filosofia, che proprio sulla potenza della conoscenza e della memoria aveva fondato non poco della possibilità per gli uomini di guadagnare un futuro migliore, forse può valere la pena di provare a ritrovarci in un tempo non lontano per intrecciare sguardi, riflessioni, linee di ricerca ispirati anche proprio da Giordano Bruno, altro dei grandi compagni di viaggio di Pietro: magari proprio a Nola, da quel Monte Cicala da dove si vede, così simile, Ottaviano adagiata sul Monte Somma.


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