Non è moralmente accettabile che i morti di Ischia, quelli di cui si è rinvenuto i corpi e quelli ancora sepolti, siano presentati quasi come responsabili della propria fine.
Ischia è stata al centro di uno scempio urbanistico e di consumo di suolo lungo decenni e decenni che si è snodato sotto gli occhi di tutti. C’è chi si è opposto, a Ischia e fuori. C’è chi se ne è reso responsabile, a Ischia e fuori.
Ogni responsabilità andrà accertata. E che dubbio c’è.
Occorrerebbe però sollevare anche lo sguardo al tema più generale che la tragedia di Ischia evoca e sollecita.
La lista delle norme sui condoni è lunga e comincia nel 1994, con il primo Governo Berlusconi, e poi ancora con Berlusconi e con la possibilità di aumentare volumi attraverso le ristrutturazioni, e poi anche con il primo Governo Conte ci si è messo mano. E fino all’ultima campagna elettorale nella quale candidati autorevoli di centrodestra inneggiavano al ‘condono per tutti’.
E’ sul paese del dissesto idrogeologico, che è tutta l’Italia, quella della collina e quella della pianura; sul paese del consumo dissennato di suolo, sempre più asfaltato e cementificato che occorre levare lo sguardo per pretendere, per davvero, politiche coerenti.
Dalle associazioni ambientaliste, da Legambiente, dal mondo della Ricerca e delle Università e da tante Agenzie pubbliche sono pronti e disponibili fior fiore di studi, analisi, proposte, progetti.

Parlando sempre di isole mi viene da guardare all’esperienza in corso a Procida dove, dalla contestazione radicale della logica dei grandi eventi di Procida capitale della cultura che depositano sul territorio solo scorie, in tutti i sensi – e come meritoriamente in tempi non sospetti il drammaturgo Mimmo Borrelli ebbe a denunciare – , è nato un Osservatorio partecipato sullo sviluppo del territorio che, dal basso, sta disegnando una altra ipotesi di sviluppo fondata proprio su ciò che invece viene ordinariamente dissipato.
E non sono le risorse economiche a mancare.
Né gli ostacoli burocratici che pure vi sono possono essere eretti ad alibi per non fare.
La verità è che la priorità ‘territorio’, sua sicurezza viene rivendicata in tutti i momenti che seguono una tragedia o una catastrofe, del tutto annunciate peraltro.
E poi si torna al ‘normale’.

E il normale è quello di una cultura, di una pratica e di politiche che verso il suolo sono aggressive e dissipatorie. Il suolo, al pari di ogni altra ‘cosa’, è una ‘merce’ da mettere a valore, da cui trarre profitto, guadagno, rendita.
Questa è l’Italia delle frane e degli allagamenti, degli smottamenti e degli annegamenti, del fango e dell’acqua: e il tutto, senza interventi radicali – di cui non v’è traccia – sui cambiamenti climatici, è destinato a crescere in intensità e frequenza.
Questa è l’Italia dei grandi lavori pubblici e privati con dovizia di subappalti e sub-subappalti che si portano appresso lavori fatti male e spazio allo sfruttamento del lavoro e alla presenza criminale.
Questo è il nodo duro da spezzare nel quale, in buona sostanza, il potere di condizionamento della ‘grande’ finanza, dell’economia del mattone e del cemento, dell’economia delle cave; della grande proprietà immobiliare – protagonista di tanti salotti buoni; proprietaria di tante testate informative che insorgono indignate per la rinovellata tragedia – decide sulla politica.
E decide sia sulla politica sguaiata della destra oggi al governo, e sia sulla politica di un centrosinistra a pezzi, culturalmente e socialmente prima ancora che politicamente.
Ecco allora il nodo da tagliare.
In Campania, e parliamo anche di noi quindi, si continua a consumare suolo a tutto spiano.
Vedi anche le ultime norme urbanistiche approvate dal Consiglio Regionale e contro cui si è levato il meglio della cultura urbanistica e ambientalista.
Vedi i vani che si continuano a costruire, migliaia e migliaia, ovunque, mentre altrettanti rimangono vuoti nei centri storici e vengono su città fantasma utili solo a far girare l’economia e i profitti del mattone.
Vedi gli ampliamenti delle Aree di Sviluppo Industriale, mentre centinaia di grandi capannoni, con milioni di metri quadri cementificati, rimangono inutilizzati e mentre l’occupazione non cresce: da ultimo, l’ASI di Nola che sta procedendo ai lavori di ampliamento per 1 milione di metri quadri. 1 milione di metri quadri che si stanno sbancando di quella che rimane ancora, nonostante tutto, una delle terre più fertili d’Europa.
Vedi l’esplosione dei Centri commerciali, di milioni di metri quadri cementificati per fare spazio, in una corsa che sottrae spazio alle produzioni locali, a sempre nuovi grandi insediamenti della Grande distribuzione Organizzata.
Vedi lo stato delle colline e delle montagne, sempre più abbandonate, con i loro Comuni.
I Comuni sono in difficoltà enorme privi di ogni capacità di progettazione: per la ristrettezza delle energie professionali a disposizione, per la mancanza di risorse.
C’era una struttura tecnica, l’Agenzia Regionale per la Difesa Suolo, oltre 100 tra geometri, architetti, ingegneri che nacque dal disastro di Sarno e Quindici, e che avrebbe potuto rappresentare quel polmone di progettazione dei Comuni campani per utilizzare al massimo e al meglio le risorse europee, oggi anche quelle del PNRR: smantellata negli ultimi dieci anni senza colpo ferire.
E allora, si riparta proprio da qui.
Da una giusta indignazione anche per tutto questo.
Crescano un movimento e una lotta.
Si animi un conflitto.
E diciamolo apertamente:
quando alla tutela del territorio, dell’ambiente e della terra si preferisce il salotto buono dei costruttori e del mattone, puoi chiamarti come vuoi tu, puoi dirti quanto vuoi tu di sinistra, democratico o progressista, semplicemente non sei nessuna di queste cose. Punto.

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3 commenti

  1. Grazie, con piena, pienissima condivisione .

  2. Leggerti è sempre un piacere ed un arricchimento. Condivido il pieno il tutto👏👏

  3. Che dire Gianfranco… di tutto e di più! Viviamo in un’epoca terribile, mai conosciuta e vista prima nel nostro Paese. Soprattutto perché quelli che dovrebbero essere i “nostri” riferimenti, che in altre epoche erano ben visibili e riconoscibili, oggi semplicemente “non esistono”… se si vuole essere ottimisti, altrimenti dovremmo considerarli “complici”. Grazie per il riconoscimento di quanto alcuni di noi stanno portando avanti per Procida attraverso la creazione e le attività di un “Osservatorio per la Tutela e lo Sviluppo Sostenibile” dell’isola. Purtroppo anche lottando contro tentativi denigratori, arroganti e miopi di una amministrazione sedicente di centrosinistra spiaggiata su comportamenti di tipo correntizio e clientelare. Procida, che per sua “fortuna” non possiede né il monte Epomeo e neppure un’altura di centinaia di metri, ma solo di poche decine di metri, ha ancora costoni che franano sulle spiagge erose dal mare. La nomina a Capitale della Cultura ha portato alla nascita di centinaia di B&B su tutta l’isola riducendo l’offerta di case per i giovani. In cambio tante proposte di lavori precari (cameriere e sguattero) nelle friggitorie e bracierie sorte nei posti più belli e caratteristici dell’isola. Molto spesso con concessioni scandalosi di tantissimi metri quadrati di suolo pubblico sottratto ai residenti e ai visitatori. Tutto questo mentre il paradiso di Vivara resta privatizzato e privato della possibilità di essere opportunamente goduto, e mentre la Posidonia oceanica continua ad essere arata e strappata dalle migliaia di ancoraggi selvaggi all’interno di un sedicente Parco Marino tenuto in vita solo per pagare stipendi a qualche fedele beneficiato. Che dire….forse sarebbe meglio non dire e risparmiare parole e fiato. Ma per noi, figli di un altro mondo, questo è impossibile. Lo sappiamo bene e continueremo

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