Stefano Fassina è uno degli economisti italiani più preparati, Vice Ministro all’Economia e alle Finanze nel Governo Letta, Responsabile Economia e Lavoro con Bersani Segretario del PD, impegnato precedentemente al Fondo Monetario Internazionale.

E poi, lo metto in fondo, lo ricordo molto attivo nello sforzo che feci nella mia fugace apparizione alla Segreteria nazionale dei Ds, teso a costruire terreni comuni di lavoro per Centri Studi e di Ricerca della Sinistra molto forti singolarmente presi ma anche molto separati gli uni dagli altri…E non posso non ricordare in quello sforzo il sostegno forte di Alfredo Reichlin.

Stefano è anche uno di quegli economisti che con maggiore competenza e visione politica ha saputo sottrarsi a tutte le sirene del mainstream in campo economico, ha saputo lavorare controcorrente, anche al tempo in cui esso dominava a sinistra e ha saputo difendere con coerenza le sue idee con scelte anche difficili sul piano personale.

Ci affida ora questo IL MESTIERE DELLA SINISTRA nel ritorno alla politica. Castelvecchi 2022. Un libro, per dirla con Mario Tronti autore di un bel Commento conclusivo, a cui peraltro torneremo, :” da leggere con la matita, segnando i passi, marcando gli argomenti, trattenendo le dimostrazioni…”.

La sua analisi è serrata intorno a quel che è il nodo di fondo di questo trentennio che ci consegna una crisi profonda della sinistra : la sinistra storica, dice Fassina , è inutilizzabile in questo passaggio perché è stata protagonista con Blair, Clinton, Schoder e i nostrani ‘riformisti’ della ‘liberazione dell’economia dall’ingombrante presenza pubblica’ che poi ha voluto dire lasciare mano libera al mercato.

E in questa identificazione, la sinistra ha smarrito se’ stessa e la sua riconoscibilità.

Se davvero si vuole invece un ritorno della Politica, il mestiere della Sinistra deve essere per Fassina : “ ridare valore morale, economico e sociale al lavoro attraverso la ricostruzione della sua rappresentanza e soggettività politica. E’ una sfida culturale prima che politica, per navigare le contraddizioni sotto i nostri occhi: la conversione ecologica, la mutazione degli equilibri geopolitici, lo smarrimento identitario, l’emergenza educativa, l’inverno demografico, la transizione digitale. Quindi il mestiere della sinistra non è genericamente stare dalla parte degli ultimi e dei più deboli. E’ stare dalla parte del lavoro come specifico interesse economico.”

Il tema del lavoro, del posto nella società dei lavoratori e delle lavoratrici, nella galassia dei profili lavorativi, nel mare grande della precarietà come in quello alto del lavoro ricco di conoscenza e saperi, è per lui il tema centrale.

Ad esso affida una acuta analisi critica delle scelte di governo, a livello nazionale ed europeo, e non meno interessanti linee di possibile programma/progetto alternativo. In questo la sua critica, non nuova del resto, all’impianto neoliberista della politica europea non potrebbe essere più netta.

E se non sempre possono apparire ben delineati i contenuti della sua ipotesi alternativa per l’Europa , né unione di nazionalismi né nuovo Stato federale, considerato fuori dalla realtà come possibilità – perché, dice, non di fronte ad un demos da unire in un unico stato siamo ma di fronte ad un insieme di popoli, di demoi –  rimane tutta la forza costruttiva di una critica dalla quale può muovere una ricerca feconda di visioni altre dell’Europa e del suo futuro.

Forse proprio il suo ampio soffermarsi sulla centralità del lavoro, sull’esigenza di nuove forme di rappresentanza e su nuove capacità di mobilitazioni sociali, offe , almeno a me,  la chiave per affrontare il tema di un altro esito per una Europa, oggi priva di un idem sentire popolare che certo è difficile immaginare come frutto di azioni delle istituzioni.

Lo offro come spunto di riflessione: ma non ci viene proprio dalle giovani generazioni una indicazione di quanto una coscienza critica più generale, a partire dai temi dell’ambiente, stia accomunando una intera generazione del continente? Non è già quello un embrione di demos europeo?

E per il mondo del lavoro, per la sua lotta e la sua capacità di segnare il futuro dei singoli paesi come del continente, non andrebbe speso un grande impegno per movimenti sociali e di lotta europei, che uniscano diverse esperienze, pratiche, percorsi conflittuali? Non ci può essere una dimensione sociale e di lotta europea, così come i più giovani ci hanno indicato sull’ambiente?   E quanto essa cambierebbe nel profondo tutta una discussione e tutta una prospettiva anche sull’Europa e quanta forza darebbe ad una necessaria alternativa ad un oggi diviso tra unione conflittuale di nazionalismi montanti con insostenibile tecnocrazia al comando prona alle logiche del mercato e della finanza?

Esigenza di larga alleanza sociale sottolinea Stefano Fassina. E da qui può muovere una Sinistra che riprenda a fare il suo di mestiere.

Fin qui giunge il suo lavoro.

E qui preme urgente, e anche su questo mi interessa ragionare a partire dal lavoro di Stefano, tanto più dopo il voto e la nascita di questo governo guidato da una esponente che viene dal MSI, il tema – proprio dal fondo di questo abisso nel quale siamo precipitati con responsabilità politiche stratificate nel tempo di questo trentennio ben evidenti e su cui però, quel che rimane del centrosinistra non mostra alcuna intenzione di voler riflettere seriamente e criticamente –  del come, del con chi, dell’attraverso quali percorsi, perfino dell’in quale tempo della Sinistra.

Non stiamo a raccontarci storie: non sta scritto da nessuna parte che una Sinistra popolare e critica viva.

Evocarla non la rende più vicina e concreta.

Servono una visione, un lavoro paziente, la testarda disponibilità all’ascolto e la non minore disponibilità a costruire relazioni e pratiche comuni tra esperienze che vogliono rimanere diverse e che intendono questa diversità non come un ostacolo ad un rapporto unitario ma come un suo nutrimento: cosa verissima ma difficilissima a costruire nel concreto.

Serve una direzione di un processo, capace di unire trama orizzontale, sua soggettività con  elaborazione di sintesi ‘verticali’ non date apriori.

Questo processo, che non potrà che muoversi oltre le coordinate delle forme politiche novecentesche – come anche  Fassina scrive – come da quelle di questo trentennio di progressiva chiusura nella unica legittimazione istituzionale, peraltro sempre più delegittimata dal non voto, va pensato, nominato, esplicitato, insisto su questo,

Nessun protagonismo o effervescenza sociale da sola potrà farlo nascere.

E la cosa bella è che, per fare questo non c’è neanche bisogno oggi che chi ha compiuto scelte di militanza, le metta in discussione preventivamente: ritrovandosi in un percorso in cui conteranno contenuti – e qui davvero tutto lo spettro di analisi e di proposta di Fassina può essere di grande aiuto – , pratiche, lotte ed esperienze comuni, il necessario scompaginamento della insufficiente e inadeguata rappresentanza politica dell’oggi nascerà, questa sì, nelle cose e prenderà forme che oggi è difficile prevedere.

In questo senso, io che non credo che i 5 Stelle possano rappresentare un approdo per la Sinistra del futuro, e neanche per quella che immagina Stefano, vedo con interesse però questo suo impegno a costruire dialogo con quella realtà.

E’ evidente che lì c’è un magma in movimento, la possibile apertura a sbocchi molteplici e se vedo lì difficile l’assunzione della centralità costituente del conflitto sociale e di quello del mondo del lavoro in particolare, questo non vuol dire che non vi si muovano forze e pulsioni con cui interloquire per un ancoraggio a sinistra.

Per finire.

Per la Sinistra a cui fa riferimento Stefano, che riprenda a guardare il mondo per cambiarlo,  servirà una visione generale, una ambizione grande, una proposta di radicale trasformazione per definire la quale riformismo è ormai una di quelle parole inutilizzabili, passata all’uso del campo avverso.

Aiuta allora proprio l’indicazione di una rottura, del bisogno di un punto in cui una storia si spezza, quella di questo trentennio che ha derubricato le ragioni del lavoro – come quelle del Pianeta e della sua vita – e si prova a delineare l’orizzonte di una nuova.

Nuova nelle forme, nelle pratiche, nelle strumentazioni concrete e programmatiche, ma antica nella sua scelta di ancorarsi ad un bisogno radicale di giustizia sociale e di liberazione umana. Può valere allora la parola indicibile che usa Mario Tronti nel suo Commento: “ il riformismo senza minaccia rivoluzionaria non ottiene neanche quel che chiede”.

Ecco, una rivoluzione democratica serve. Un orizzonte generale. Ma non è che questo orizzonte potrebbe anche chiamarsi nuovo socialismo? 

Gianfranco Nappi

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1 commento

  1. La sinistra di oggi ha bisogno di una VISIONE, coraggiosa e rivoluzionaria!

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