Nei venti mesi della resistenza contro l’ occupatore nazista ed i suoi servi fascisti furono rarissimi i casi di definizione di “guerra civile” per quella lotta. Questo risulta dall’esame dei numerosi giornali clandestini dei partiti dei CLN come da quelli elaborati dalle formazioni partigiane, nei quali era largamente prevalente la definizione di ” guerra di liberazione”, talvolta di “nostra lotta”
Ugualmente nella stampa di Salò non comparve mai il termine guerra civile : essi parlavano di “lotta ai ribelli” o “lotta alle bande”.
Se la definizione di “guerra civile” fu usata solo in qualche caso durante il conflitto , essa entrò in uso , a guerra finira, inizialmente da parte degli avvocati difensori di repubblichini portati avanti ai tribunali, e questo per sfuggire all’accusa di tradimento della nostra gente come del governo legittimo , che il 13 ottobre 1943 aveva dichiarato guerra alla Germania (il governo di Salò non fu riconosciuto da nessuno, nemmeno dalla Spagna di Franco).
La magistratura di allora tollerò questa pratica. Ricordiamo che la magistratura non aveva subito alcuna forma di epurazione: era quella che era stata selezionata , addestrata e formata dal fascismo , regime che essa aveva servito fino alla sua fine. ( Ugualmente il fascismo rimase annidato in tutte le strutture dello stato, forze armate, polizie, prefetti ministeri, ecc. fino al servizi segreti. Appena negli anni ’70 comparirà la nuova leva di magistrati democratici ( allora definiti “pretori d’assalto”).
La mancata epurazione costituì la prima sconfitta della spinta innovativa della Resistenza e la causa della fine del governo Parri nel dicembre 1945.
Ma la definizione di guerra civile venne presto usata anche fuori dai tribunali: rappresentava una sorta di equiparazione tra le due parti in lotta e perciò da allora venne sempre usata dai fascisti vecchi e nuovi.
Negli anni ’50 , importato dalla Francia si diffuse il termine “Resistenza” che da allora venne prevalentemente usato dalle forze democratiche al posto di “lotta di liberazione”. Nel panorama storiografico del dopoguerra fa spicco la serie di convegni storici. aventi oggetto “Fascismo e antifascismo”, tenuti a Milano dal gennaio al giugno del 1961 , che videro la partecipazione oltre che dei principali storici di allora anche di protagonisti, politici quali Basso, Valiani, Amendola Togliatti, Lombardi, ecc. Soltanto due dei 54 relatori usarono il termine “guerra civile”.
Nel 1991 apparve il testo di Claudio Pavone, storico di area democratica, “Una guerra civile “- sottotitolo “La moralità della Resistenza”. Pochi lessero il testo, complessivamente valido, ma quel titolo ebbe la massima visibilità sui media, rappresentava ua grossa novità una svolta. Certamente non voluto dall’autore ,ma quel titolo fu un formidabile aiuto alle tesi fasciste.
E da allora il termine venne usato anche da politici di sinistra tanto che spesso i vecchi partigiani interrompevano oratori, che usavano quella definizione.
La prima loro obiezione era che usando quella definizione, come categoria interpretativa di quella vicenda, si eliminava dal panorama di quella storia il nemico principale, più temibile, che era il tedesco , gli occupatori nazisti. Dicevano i partigiani : era stata ANCHE guerra civile, ma principalmente guerra di liberazione
.Accanto a questo basilare concetto esistevano una quantità di altri rilievi
A quella generazione il termine “guerra civile” faceva subito pensare alla vicina guerra di Spagna, 1936 – 1939 nella quale una parte , certamente rilevante, del paese si era ribellata al governo legittimo democraticamente eletto-. Oppure, indietro nella storia, alla guerra di secessione americana tra il nord e il sud degli Stati Uniti (1861 – 1865) che aveva lacerato il paese e causato ben 750.000 vittime.
Guerre che presentavano aspetti, situazioni, considerazioni ben differenti da quelle esistenti nel nostro paese dopo l’8 settembre 1943 nelle quali solo una esigua minoraza , valutabile a meno del 5 % della popolazione aveva dato adesione al nuovo feroce fascismo e si contrapponeva alla stragrande maggioranza della gente.
(Ricordiamo che le forze armate di Salò furono ingrossate da giovani di leva che in notevole parte si presentarono alla chiamata, contro la loro volontà e convinzioni , soltanto per evitare rappresaglie alle loro famiglie.)
Altro motivo che faceva escludere la definizione di guerra civile era la generale consapevolezza che il vecchio fascismo si era liquefetto il 25 luglio 1943, senza alcuna sua reazione , senza che dimostrasse segni di vita e che il nuovo fascismo repubblichino non sarebbe mai venuto alla luce senza la presenza, l’iniziativa e l’impegno dell’invasore tedesco. Era evidente a tutti che il nuovo fascismo era creatura dei tedeschi attuata per facilitare loro il controllo del paese occupato Struttura da loro dipendente priva di autonomia decisionale. Governo di Salò che non fece obiezioni alla sottrazione dal novero statale italiano di nove provincie annesse di fatto alla Germania. Per questo , con questa consapevolezza, anche tanti che erano stati squadristi , fascisti convinti, non aderirono a Salò. A cominciare dal superstite dei quadrumviri della marcia su Roma, Cesare De Vecchi e dal più noto dei segretari del partito fascista Achille Starace.
C’era la convinzione che cessando la presenza tedesca il regime repubblichino di Salò non sarebbe durato un giorno. (Come verificato poi sl 25 aprile del 1945.) Altro che guerra civile.
I danni ed i malanni provocati da quella esigua minoranaza fanatica dei nuovi fascisti, che ammirava, e puntava ad eguagliare, la spietatezza e la ferocia dei nazisti, furono evidenti da subito. Essi si impegnarono a fondo contro la propria gente aiutando i tedeschi a catturare ebrei e antifascisti e successivamnete con. le loro delazioni causarono una infinità di lutti, di stragi.
E questo in nome di una una fedeltà all’alleato nazista la cui rottura , srcondo loro ,rappresentava un disonore.. Onore perciò di stampo mafioso , fedeltà a prescindere da moralità, obiettivi, scopi, ideali , comportamenti dell’alleato. La vera onta all’onore dell’Italia non era l’armistizio dell’8 settembe, inevitabile in quelle condizioni per un paese che non aveva più risorse per continuare la guerra, ma essere stati in precedenza alleati, in subordine, ai criminali nazisti
Certamente ci fu anche guerra civile . Il cui inizio fu la creazione delle formazioni armate di Salò usate dai tedeschi quasi esclusivamente in funzione antipartigiana. Quando il 9 settembre 1943 il CLN clandestino a Roma decise la resistenza all’ aggressione nazista non poteva prevedere la costituzione dello stato fantoccio repubblichino e la formazione delle sue bande armate. Se si combattè tra italiani la responsabilità fu tutta dei nuovi fascisti.
Dalla fine di luglio 1944 , quando ingenti forze alleate vengono sottratte dal fronte italiano per effettuare lo sbarco in Provenza dell’agosto, si determinò la fine dello sforzo offensivo alleato. La stasi del fronte sulla “Linea Gotica” i tedeschi e loro collaborazionisti si scontrarono, fino all’aprile 1945, quasi soltanto con i partigiani.
Negli altri grandi filoni della Resistenza non sono ravvisabili elementi di guerra civile.
Non nella lotta dei soldati italiani che dopo l’8 settembre rimasero isolati nella Balcania e combatterono a fianco dei partigiani locali (jugoslavi, albanesi, greci) e che pagarono questo impegno con 20.000 caduti.
Non fu guerra civile i 27.000 caduti dell’8 settembre (tra essi quelli della divisione “Acqui! e della corazzata “Roma”).
Come non lo fu la resistenza dei 650.000 IMI , soldati fatti prigionieri all’atto dell’armistizio e deportati in Germania, che preferirono languire nei lager anziche schierarsi con Salò e con i tedeschi, e 40.000 di loro non tornarono.
Come i 35.000 deportati politici e gli 8.000 deportati rzziali, dei quali 27.000 non tornarono. Come nel caso dei quasi 10.000 soldati dell’esercito del sud, dei gruppi di combattimento, della marina e dell’aviazione, caduti nel 1944-45 combattendo a fianco degli alleati.
Come i circa 10.000 civili uccisi nelle stragi di gente inerme
Questi importanti filoni della resistenza non possono certamente definirsi guerra civile come anche non è così definibile l’inizio della resistenza che fu l’aiuto della nostra gente, e specie delle nostre donne , ai soldati sbandati dell’8 settembre che tentavano di tornare alle loro famiglie, aiuto contro le imposizioni dei bandi tedeschi , vera disobbedienza di massa, e come pure non furono guerra civile gli importanti scioperi del marzo 1944.
Che non ci fosse una frattura nel paese che potesse configurarsi come presupposto di guerra civile è comprovato dal fatto che nel sud , come detto, liberato dagli alleati, non si verificò nessuna resistenza alla loro occupazione, malgrado i tentativi di alcuni inviati dal nord di fomentarla.
E sono da ricordare le tragiche condizioni della nostra gente nell’Italia del nord. Fame , freddo, privazioni di ogni genere, bombardamenti , rappresaglie, uccisioni, impiccagioni, rastrellamenti per invio al lavoro coatto in Germania. La pace era la prima aspirazione della gente, il desiderio di tutti, l’aspettativa primaria. Ma non una pace che potesse venire dalla vittoria nazista, che avrebbe significato la continuazione del regime di terrore nel quale si viveva. Per la stragrande maggioranza della gente la pace doveva venire dalla vittoria delle forze delle nazioni unite, degli alleati, una pace che portasse la libertà, che segnasse la fine delle dittature.
Altro che “ zona grigia”: c’era una forte omogeneità di fondo dell’opinione pubblica, fondalmentamente schierata dalla parter della resistenza. , Ed era questa la forza del movimento partigiano. Mentre i fascisti, provvisti ed equipaggiati di tutto, avevano coscienza di essere circondati da un clima di disprezzo e di odio da parte della gente . Questo risulta dalla loro memorialistica del dopoguerra, come dalle loro canzoni di allora: “Le donne non ci vogliono più bene perché portiamo la camicia nera ….”.. ( Uno dei loro motti allora era: “Chi non è con noi è contro di noi” ). L’uso del termine guerra civile falsa la realtà di quella vicenda poiché non esisteva nell’animo della gente una equiparazione tra le parti come sugerisce, fa pensare, il termine.. L’insistenza ad usarlo è per sminuire la resistenza.
Al proposito è da rilevare che mai il termine viene usato nel caso di lotte tra italiani nel Risorgimento, nella liberazione dello stato pontificio , 1860 Marche ed Umbria, Castelfidardo, Porta Pia 1870 , nella gloriosa vicenda garibaldina della liberazione delle due Sicilie, Milazzo, Calatafimi, Volturno. Eppure erano italiani contro altri italiani. Il Risorgimento era la storia di riferimento della Resistenza. Di quelle storia i resistenti si sentivano eredi e continuatori
Come detto sopra è illuminante la rilettura della stampa clandestina dell’epoca, Sorprende vedere , anche nei gornali prodotti dalle formazioni partigiane comuniste, il grande uso della parola “Patria” . Questo viene a smentire la tesi di Pavone di una” guerra di classe” accanto a quella di liberazione,della quale non si vede traccia in quei documenti, tesi peraltro ormai abbandonata dagli storici. Tesi che non teneva conto della “Svolta di Salerno” alla quale il PCI rimase ancorato fino alla sua dissoluzione. . Certamente i partigiani parlavano di giustizia sociale ma questo anche tra i resistenti degli altri partiti, compresi i cattolici, come era allora comune il mito dell’URSS che sconfiggeva il nazismo. Quelle riletture oggi sono commoventi: ci riportano al clima di tragedie ,eroismi, lutti di allora. Da esse emerge come per la comprensione di quella vicenda storica sia più adeguata la definizione di allora di guerra di liberazione. Liberazione anche dalla guerra. e che solo in parte fu anche guerra civile. Fu guerra per la civiltà , per la liberazione non solo del nostro paese ma di tutto il mondo dal pericolo che lo stava minacciando.

Alcuni storici hanno rilevato che in ogni nazione dell’Europa occupata dai nazisti vi fu accanto alla lotta all’invasore anche quella ai suoi collaborazionisti e che la dimensione internazionale di quella gigantesca lotta della civiltà contro la barbarie fa escludere il concetto , che è strettamente nazionale , di guerra civile
Caso particolare quello della Jugoslavia: del milione di morti computati al termine del conflitto quasi settecentomila erano stati uccisi da altri jugoslavi. Eppure non è ricordata come guerra civile ma come guerra di liberazione,

Mario Bonifacio

Mario Bonifacio, nato a Pirano d’Istria nel 1928, è, negli anni della Resistenza, partigiano nel GAP della sua città. Dopo la fine della guerra si diploma all’Istituto nautico di Trieste e prende il mare: per anni sarà il suo luogo di lavoro, fino all’assunzione nel cantiere di Arona della società di navigazione “Lago Maggiore” nel 1953 e nell’ACNIL (Azienda comunale di navigazione interna lagunare, ora ACTV), a Venezia, nel 1961. Esule negli anni ‘50, assieme alla sua famiglia, nel campo profughi a Prosecco di Trieste per via del passaggio del suo paese natale all’ex Jugoslavia, oggi vive a Mestre ed è attivista per l’ANPI (Associazione nazionale partigiani d’Italia) mestrina nonché presidente onorario dell’Istituto veneziano per la storia della Resistenza e della società contemporanea. Nella primavera del 2015 ha donato questo piccolo fondo documentario ora conservato dall’Iveser raccolto durante gli anni della sua militanza nell’Associazione partigiani: si tratta di documentazione di vario tipo riguardante la storia dell’antifascismo, della Resistenza – in particolare di Venezia, ma non solo – e la rielaborazione della sua memoria collettiva attraverso le celebrazioni delle ricorrenze e degli anniversari negli anni ’70 e successivi. 


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