di Iaia De Marco
Sabato pomeriggio, invitato da padre Zanotelli, Mimmo Lucano riceve l’abbraccio di tante e tanti napoletani di tutte le età che hanno affollato la chiesa dello Spirito Santo. Già, proprio quello Spirito che nella rappresentazione biblica dovrebbe insufflare saggezza, mentre il racconto composto e sgomento di Lucano restituisce tutta l’insensatezza e l’ottusità di interventi decisi per mero calcolo politico. A cominciare dalle obiezioni più remote, quelle relative all’occupazione delle case degli emigrati che non sarebbero mai più tornati: “ma perché dobbiamo fare i campi profughi, dove le persone stanno come animali, se abbiamo le case vuote che possono essere abitate? E nel nostro paese spopolato possono ricominciare a nascere i bambini?”.
Avevo conosciuto il sindaco di Riace nel 2015, quando accettò di venire a Pozzuoli per raccontarci la sua esperienza, ancora non canonizzata come “modello”, al nostro festival delle idee politiche. Sembrava quasi facesse fatica a parlare, riottoso all’esibizione pubblica. I fatti, le azioni, la sua risposta alla muta richiesta di accoglienza da cui si sentiva interpellato erano la sua lingua. Una lingua universale con una ruvida e tenera inflessione calabrese. Sabato, invece ha parlato tanto, sempre senza retorica, usando parole nette, scabre per ricostruire sì la propria vicenda personale (“è una tortura dell’anima essere incriminato innocente”), ma soprattutto per denunciare la disumanità dell’assalto giudiziario a Riace, degli effetti rovinosi che la chiusura di quell’esperienza ha prodotto e produce sulle persone. Le più fragili, le più disperate, in fuga dagli “orrori della guerra o della fame” dice, liquidando assurdi distinguo. Rivendica il valore della disobbedienza civile alle leggi ingiuste, dichiarando – con un tono di voce appena un po’ più teso – che rifarebbe tutto e di essere pronto a pagare con il carcere, piuttosto che patteggiare.
Ricorda anche che, prima della nomina di Di Bari a Reggio Calabria, con la Prefettura i rapporti erano di grande collaborazione, “mi mandavano a chiamare per dare consigli, per trovare soluzioni”. La torsione securitaria impressa dall’allora ministro degli Interni, Salvini, ha cambiato le cose. Quelle cose che, sottolinea Lucano con amarezza, sono rimaste così anche quando lo scenario politico è mutato. Sono cose che conosciamo, ne abbiamo letto sui giornali e che Adriana Pollice, giornalista del manifesto presente all’incontro, ha giustamente inquadrato in dinamiche politiche ed economiche internazionali. Però, ascoltarle dalla voce ferma e irriducibile di Mimmo Lucano è come viverle da dentro. Un’ultima notazione: girandosi verso Alex Zanotelli con uno dei rari sorrisi che per un attimo scalfiscono l’espressione severa, ammette la sorpresa “per me che sono laico” – e io so che questa è una litote – di essersi trovato sempre accanto la Chiesa, quella dei missionari, dei preti di strada. Nel non detto, mi sembra di cogliere la delusione per la sostanziale assenza di una organizzazione politica che assumesse come proprio il Modello Riace, che lo difendesse e lo propagasse. Una delusione che, anche più in generale, appartiene a tante e tanti di noi.
Mimmo Grasso ha portato a Lucano l’abbraccio di InfinitiMondi, regalandogli l’ultimo numero che apre proprio con la sua composizione poetica “passato postumo” ispirata ai migranti di ogni tempo.
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