RIENTRANDO DALL’INCONTRO DEL 27 E 28 NOVEMBRE NEL DECENNALE DELLA SCOMPARSA DI LUCIO MAGRI

di Gianfranco Nappi

Sono partito di buonora in treno sabato mattina per raggiungere Rimini dove ero stato invitato a prendere parte alla reunion ( come si dice dei gruppi musicali che dopo tanto tempo si ritrovano per suonare di nuovo insieme… ), promossa dalle compagne e dai compagni del PdUP : Luciana Castellina, Famiano Crucianelli, Aldo Garzia in particolare con Massimo Serafini,Vincenzo Vita, Nicola Manca, Massimo Anselmo, Sergio Caserta, Peppe Napolitano e Ilaria Perrelli e tanti altri in un numero largamente superiore alle attese.
L’occasione di incontro era significativa per il decennale della scomparsa di Lucio Magri.
Non è che io avessi fatto parte di quella storia. Checchè ne dica Antonio Bassolino ( che non perde occasione per tacciarmi di estremismo e di gruppettarismo…e ovviamente il riferimento non può essere alla storia del PdUP), sono nato e cresciuto nella FGCI e nel PCI. Poi, dopo lo scioglimento del PCI, nelle vicende di Rifondazione Comunista e delle sue crisi interne dei primi anni mi sono ritrovato vicino a Sergio Garavini e a Lucio Magri fino poi alla rottura finale con Rifondazione in occasione del passaggio della costituzione del Governo Dini ( tra 1994 e 1995 ), quando la maggioranza parlamentare di Berlusconi andò repentinamente in crisi e si prospettò la possibilità di costituire un governo di transizione che desse il tempo di organizzare gli schieramenti per le successive elezioni politiche. Senza quel tempo, l’Ulivo non sarebbe nato. Con un nutrito gruppo di parlamentari di Rifondazione scegliemmo di dare quel tempo al centrosinistra per organizzarsi e, lasciando Rifondazione, demmo vita alla esperienza dei Comunisti Unitari che per quasi quattro anni visse e agì, con onore e dignità penso tutt’ora. E’ in questi passaggi, dopo quelli della battaglia contro lo scioglimento del PCI, che ho avuto modo di frequentare con intensità Famiano, Luciana e Lucio.
Quindi con piacere e con gratitudine nei confronti di Lucio ho accettato l’invito, curioso anche di vedere la discussione tra gli esponenti di un gruppo politico che aveva assolto ad una funzione di non secondaria importanza alla sinistra del PCI, dopo la radiazione del Manifesto, e poi nello stesso PCI dopo il rientro dell’83 per scelta sollecitata anche da Enrico Berlinguer.
E poi per me era anche un test per vedere se quella esigenza avvertita in modo sempre più diffuso – e che però non ha ancora trovato le forme e i modi e i protagonisti per ‘precipitare’ in un movimento consapevolmente orientato, di copertura di un vuoto politico sempre più insopportabile a sinistra – fosse anche lì avvertita e presente.
Ovviamente il tutto non perché glorie, più o meno tali ( nel senso di glorie e di vecchie ), al cui novero del resto mi iscrivo anche io, almeno per il vecchie, dovessero lanciare la costituzione di nuovi soggetti politici ma perché lì vedevo rappresentato un concentrato di esperienze, di culture, di attività preziose ancora per un discorso di sinistra, potenzialmente disponibli per essere al servizio e utili alla ricerca di nuovi protagonisti.
Avendo tempo in treno, mi sono organizzato un programma di letture tra andata e ritorno.


All’andata. Per un lavoro che sto costruendo, in un nutrito elenco di titoli al mio esame , ho (ri)letto il lavoro di Pietro Folena del 2017 Enrico e Francesco. Pensieri lunghi. In questo lavoro Pietro è andato riflettendo sulla vicinanza almeno di agenda, di segnalazione di priorità di grandi questioni, di tensione ideale tra gli scritti di Berlinguer e quelli di Papa Bergoglio. Davvero impressionante. In quello stesso volume poi Pietro ‘rieditava’ il suo I Ragazzi di Berlinguer con il quale nel 1997 aveva provato a riflettere su quanto quella personalità fosse stata decisiva per il formarsi di intere generazioni di comunisti italiani e in particolare della sua ( nostra ) di generazione. E poi, con significativi sviluppi di riflessione rispetto al vecchio testo, un saggio nuovo, l’Evaporazione, con il quale ha posto con i piedi per terra una lettura dell’ultimo Berlinguer, quello che va dalla fine della solidarietà nazionale all’Alternativa e alla prima metà degli anni ’80 segnati dal grande movimento pacifista, da quello contro la camorra; dalla vicinanza alla nuova elaborazione femminile e femminista; dalla scesa in campo al fianco della classe operaia e dalla proposizione del grande tema della qualità dello sviluppo tutto dentro la questione ecologica alla questione morale e al rilancio di una prospettiva di critica del capitalismo che in più punti incontrava il meglio della stessa sinistra socialdemocratica europea: i Palme, Brandt, Kreisky.
Un Berlinguer questo, rimosso dalla cultura politica del PDS, DS e ancor più PD; considerato come uno sconfitto in un vicolo cieco di settarismo e di isolazionismo ( secondo le lettura che è corsa da Miriam Mafai a D’Alema a Fassino ), o tutto al più ridotto a icona moralizzatrice nella lettura di Veltroni ma privato di quel che più importava : il suo non aver rinunciato a criticare le storture del capitalismo e a battersi per superarle.
Insomma, Folena ci restituisce con questo saggio una giusta sostanza dello sforzo dell’ultimo Berlinguer, delle questioni che ha lasciato nell’agenda politica della sinistra, di una ricerca interrotta ma che presenta tutti i temi più stringenti con cui ci misuriamo per il futuro.
E non è un caso che questo è il Berlinguer con il quale Magri, Luciana e il PdUP ritrovano terreno di superamento della rottura del ’69.


Arrivo così ancor più convinto del bisogno che occorra pur fare qualcosa per superare quel vuoto a sinistra e di ritrovare nella bella sala del Museo di Rimini idee e spirito motivati in questa direzione.
E invece il grosso della discussione mi porta da un’altra parte.
Due giornate intense devo dire, per me di grande interesse e scoperta di una storia – dei suoi dibattiti, delle sue divisioni, delle sue esperienze politiche e umane, dei suoi non detti e invece magari detti ora dopo tanto tempo – che non era la mia storia per lunghissimi tratti del suo svolgersi, e che però, per temi e passioni , mi interrogava e dalla quale mi piaceva anche essere interrogato.
Bene. Mi hanno colpito tutti gli interventi,a cominciare da quelli di una sempre straordinaria Luciana Castellina, compresi quelli di un piccolo gruppo di giovani storici che su quelle vicende della seconda metà del secolo scorso si è piegata con lo studio.
Ho avvertito in tanti di essi una tensione comune alla mia ma sul punto che più mi sollecitava invece, mi sono lasciato convincere che non era tempo, non era più tempo per noi : ciascuno si renda utile, faccia, stia dentro le cose, provi, territorio per territorio, dove vive, lavora, dove passa il suo tempo da pensionato, ad animare sulle questioni più urgenti, dalla pandemia alla questione climatica, relazione tra esperienze diverse, costruzione di piattaforme e vertenzialità locali…poi, un giorno, forse, tutto questo potrà maturare, insieme a tantissime altre cose necessarie, in un movimento politico cosciente del suo essere tale seppur con forme nuove.
E così, nel freddo primo pomeriggio di domenica, mi sono convinto che sì, forse questa era la strada, ciascuno con il suo pezzetto di esperienze e poi…si vedrà. E facevo di tutto per convincermi della giustezza di tutto ciò nel mentre in un bello spazio non lontano della stazione mandavo giù piadine calde con ottima mortadella con un bicchiere di lambrusco ( ragazzi, sulla mortadella, tanto di cappello. Sul lambrusco, mi dispiace, per il vino, la Romagna, non è cosa…).


Al ritorno. In treno ho così affrontato la lettura di Disuguaglianze Conflitto Sviluppo. La pandemia, la sinistra e il partito che non c’è. Donzelli 2021. Libro intervista a Fabrizio Barca ad opera di Fulvio Lorefice. E mi sono detto…vuoi vedere che ora che mi sono convinto che …un pezzetto alla volta solo si può….trovo qui elementi per rispondere invece alla principale? Il sottotitolo del libro era più di una autorizzazione a pensarlo.
La conversazione con Lorefice da’ l’esatta misura del lavoro importante realizzato da Fabrizio e da tanti altri con lui con il Forum sulle Disuguaglianze e Diversità. Un lavoro di due anni nel quale Associazioni importanti di Cittadinanza Attiva ( da Action Aid a Legambiente, dalla Caritas alla napoletana Dedalus, tra le altre ), con un nutrito gruppo di ricercatori e di studiosi, tra cui Barca, hanno discusso, si sono confrontati, hanno elaborato un quadro di analisi e di proposte progettuale di grande spessore, qualità e, cosa di non secondaria importanza, concretezza. In altri tempi avremmo potuto dire, espressione di una solida ‘cultura di governo’. Il tutto intorno a quelle che Barca e il Forum individuano come le azioni imprescindibili con cui misurarsi e che possono ben rappresentare una base di analisi, di cultura politica e di progetto per una sinistra di questo tempo, capaci di incidere sui meccanismo profondi di formazione stessa della ricchezza, oltre una mera visione redistributiva classica quale quella proveniente dalla esperienza socialdemocratica, travolta anch’essa dalla rivoluzione capitalistica nella quale siamo immersi. E qui, mentre leggevo, mi ritornava chiarissimo il Berlinguer del discorso sul come e perchè produrre ( cui non a caso anche Barca fa riferimento ), ma anche il Magri di Arcore quando provava a fornire una piattaforma non conservativa ma aperta sul futuro alla battaglia contro lo scioglimento del PCI.
E per essere ancora più espliciti, a un certo punto Barca diche che, a sinistra, bisogna “ …..osare la visione di un modo alternativo di vivere, e quindi ritenere che, di fronte all’entità delle disuguaglianze e dei danni e rischi ambientali, si debba agire con urgenza e radicalità, promuovendo ogni possibile modo di organizzazione non capitalistico…” : e che vuoi dire di più!


Peraltro, nel ragionamento di Barca c’è dispiegata una critica radicale a dove stia conducendo la realtà della logica proprietaria dell’algoritmo e del digitale espressione di quella più generale logica proprietaria della conoscenza – vedi ultimo accordo TRIPS sulla proprietà intellettuale – dei suoi effetti devastanti per la società e su dove tutto ciò stia conducendo, a cominciare dalla negazione a miliardi di cittadini del mondo al diritto di usufruire del vaccino.
Grandi temi. Attualissimi su cui il Forum definisce proposte e comincia ad avviare battaglie ed esperienze concrete sui territori, anche nel formare e selezionare spezzoni di rappresentanza nuova e giovanile.
Altro pezzo dopo pezzo che si muove. ( Caspita, secondo me Barca e Luciana si saranno messi d’accordo…).
E poi però Lorefice non rinuncia ad incalzare Barca. Anzi, è lo stesso Fabrizio a dire con nettezza che tutto questo …” richiede un soggetto politico capace di aggregare tutte le forze di cambiamento…e di mostrare che quel disegno alternativo è possibile”.
( No, non si sono parlati Luciana e Barca ).
Caspita. Ecco il punto, mi dico.
E Barca , incalzato in modo intelligente da Lorefice che gli pone esplicitamente il tema politico, dice : “ Certo, anche la migliore strategia, la migliore proposta, quella che si reputa decisiva perché può determinare una grande opportunità o un punto di svolta, rischia di arenarsi se non si hanno le ‘gambe’ su cui farla camminare. Anche la mobilitazione delle organizzazioni che compongono il ForumDD non è sufficiente, non ci sono dubbi: serve un partito…”.
Quindi ecco ri-enucleato il punto di fondo su cui, dopo la pacificazione interiore che avevo raggiunto a Rimini, mi si riapre il conflitto mentre il treno è quasi in panne tra Bologna e Firenze: serve un partito. Addirittura detto in modo ancor più netto di quanto io stesso osi dire : io mi fermo a movimento politico, memore di tante esperienze rapidamente partitiche e altrettanto rapidamente tramontate nel tempo del post-PCI.
E poi però Barca aggiunge : “ ma non possiamo essere noi. A un certo punto qualcuno dovrà prendere in mano questa ‘bandiera’ strategica, ma chi lo farà non lo so.”.
E mi sono ricadute le braccia.


Capisco anche il senso della risposta di Barca, è indice anche di estrema serietà e rigore nei confronti dell’esperienza che si sta compiendo e dei compagni di viaggio che la animano.
E però, delle due l’una: se si dice giustamente che senza un movimento di carattere più generale, con tratti unificanti, il rischio che le singole parzialità vengano riassorbite è grande, ma allora è anche su questo fronte che occorre lavorare, non lo si può lasciare sguarnito.
Come? Con quali forme inedite? Con quale percorso di cultura politica? Come segnato dal suo essere in nuce femminile e maschile? E come, da subito, italiano, europeo, mediterraneo? E quanto a tutto questo può essere indifferente la CGIL con tutto il tema del lavoro che non scompare nelle sue condizioni di subalternità eppure in un contesto nel quale il dato sociale della produzione di ricchezza si dilata fino a ricomprendere il tempo di vita stesso nella sua estrazione informazionale?
Dov’è il Foro parallelo a quello delle esperienze pezzo dopo pezzo che le incrocia, le fa discutere e dialogare. Ma davvero ci può essere un prima e un dopo : prima ‘facciamo’ i mille ‘pezzi’ e poi vediamo come connetterli? E abbiamo tutto questo tempo?
Se l’analisi è corretta, se è corretta l’analisi che anche a Rimini è suonata fortissima e cioè che senza una attivazione cosciente di energie, senza un orizzonte in richiamo esplicito di Pietro Ingrao come pur lì si è detto; senza un ribaltamento concettuale radicale capace di mettere alla radice in discussione i capisaldi egemonici della rivoluzione passiva nella quale siamo immersi ( e a Rimini su questo il filosofo Maurizio Iacono ha detto cose di grande rilievo ), la spinta del combinato disposto di crisi climatica e crisi pandemica ( due facce della stessa medaglia di un meccanismo vocato alla massima valorizzazione del capitale con il massimo di svalorizzazione di ambiente e persone ), conduce ad una esplosione della crisi della democrazia e ad una ulteriore rottura in termini di diseguaglianze : ma allora è questo il tempo in cui osare, chiamare a raccolta tutte queste esperienze, non per proporre ricette o formule dall’alto ma per costruire una grande discussione e un grande confronto collettivi in cui ciascuno – esperienza, associazione, gruppo, movimento, centro di cultura, rivista, persona – possa sentirsi ed essere decisivo. E tra questi decisamente il Manifesto.
Far di necessità virtù mi verrebbe da dire: una grande movimento intellettuale e sociale collettivo. E poi è lì che si scioglieranno, con il metodo che Barca ha richiamato dell’esperienza del Forum – dibattito pubblico, confronto, partecipazione, sintesi – i mille nodi che emergeranno, quelli già ora immaginabili e tutti quelli non ancora immaginati.
Poi tutto questo troverà il modo di misurarsi con la ‘politica reale’, con i partiti che ci sono e valuterà se affidare ad essi la propria rappresentanza o se invece giungere, a mio parere, ad uno scompaginamento profondo di una rappresentanza politica che oggi, a sinistra, semplicemente, non rappresenta.
E come si è detto a Rimini, fatto secondo me molto bello, chi ha più esperienza, età, capelli bianchi e ne ha viste, fatte e dette tante, è libero di sentirsi solo utile, di dare una mano, di mettere a disposizione la propria esperienza. Poi tocca ad altre e nuove generazioni intraprendere le proprie strade, quelle che contano e possono decidere.
Ma penso proprio questo: che in questa rottura che il presente artatamente vive con il proprio passato e che alimenta anche l’incapacità di vedere il proprio futuro, noi si possa davvero dare una mano a ricostruire un flusso di esperienze e di connessioni che nutrano una inedita passione per il futuro.


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1 commento

  1. BEL PEZZO!
    Grazie: lo stamperò e lo rileggerò ancora e chissà…forse emergerà la volontà di scrivere qualcosa sui miei percorsi politici, con centralità – anche di emozioni tuttora vitali- al PCI e a Berlinguer. E’ ancora un disordinato desiderio ma … chissà! Intanto stampo e rileggerò.

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