di Gianfranco Nappi .

“Abbiamo proseguito imperterriti, pensando di rimanere sempre sani in un mondo malato”

In questa affermazione di Papa Francesco si può intravedere tutta una analisi e tutta una valutazione su cosa questa pandemia rechi con se’ e da dove occorra ripartire.
In primo luogo essa fa giustizia dell’idea che si possa fare qualsiasi cosa nei confronti dell’ambiente, rendersi protagonisti di qualsiasi azione essendo tranquilli che tanto poi una soluzione ‘scientifica’ si troverà e sarà sempre in condizione di recuperare i vulnus inferti.
Non ci può essere cura dell’uomo se l’uomo non si prende cura della natura, ci dice il Papa.
E l’uomo non si prende cura della natura se non si concepisce egli stesso come sua parte smettendo invece di considerarsi suo signore assoluto, del tutto irresponsabile delle sue azioni.
Il virus reca con se’ questa evidenza palmare dunque: c’è un legame stretto tra sua emersione/diffusione , salto da un animale all’altro e poi all’uomo e condizione di “ stress cui abbiamo sottoposto il Pianeta” per dirla con il Professor Gianni Tamino (docente di Biologia generale all’Università di Padova, dove attualmente svolge attività di ricerca nel campo dei rischi legati alle applicazioni biomolecolari), impegnato da molti anni a indagare il rapporto tra ambiente e salute :

Il Covid-19 è una reazione allo stato di stress che abbiamo causato al pianeta. Questa pandemia non ha una letalità elevata, anche se è alta la contagiosità. Nella Pianura Padana, soprattutto in Lombardia, sta colpendo una popolazione anziana e indebolita da patologie pregresse. E l’inquinamento dell’ambiente svolge un ruolo fondamentale nell’insorgenza di queste patologie. Riusciamo a tenere in vita più a lungo le persone, ma non siamo in grado di garantire una vita sana. A fronte di una età media più elevata, la nostra «aspettativa di vita sana» si è ridotta. Per arginare le future epidemie dobbiamo modificare il nostro rapporto con l’ambiente, ma anche potenziare le strutture sanitarie pubbliche che vengono smantellate in tutti i paesi.

https://ilmanifesto.it/il-virus-e-la-malattia-del-pianeta-stressato/


Quando l’epidemia si è affacciata in modo deciso in Italia e in Europa, David Quammen , divulgatore scientifico e scrittore, e autore di un saggio del 2012, SPILLOVER, sulla diffusione dei nuovi patogeni assolutamente visionario rispetto a quello he stiamo vivendo oggi, in una intervista a wired.it, si spinge oltre, a ragionare su cosa ci aspetta ‘dopo il coronavirus’ ha tra l’altro avuto modo di dire:
Si,dovremo davvero temere nuovi scoppi di epidemie virali, e sempre più crisi come questa. La cosa peggiore che può succedere con la malattia Covid-19 è che si diffonda fino a diventare una grave pandemia globale, infettando centinaia di milioni di persone e uccidendone milioni. La seconda peggior cosa che può succedere è che riusciamo a controllarla nei prossimi mesi, limitando con successo i danni e i sacrifici… e che quindi poi i politici e altri dicano okay, visto?, era un falso allarme, non è mai stato niente di che! e usino questa lettura sbagliata e compiaciuta come scusa per non arrivare preparati alla prossima epidemia. Le ragioni per cui assisteremo ad altre crisi come questa nel futuro sono che 1) i nostri diversi ecosistemi naturali sono pieni di molte specie di animali, piante e altre creature, ognuna delle quali contiene in sé virus unici; 2) molti di questi virus, specialmente quelli presenti nei mammiferi selvatici, possono contagiare gli esseri umani; 3) stiamo invadendo e alterando questi ecosistemi con più decisione che mai, esponendoci dunque ai nuovi virus e 4) quando un virus effettua uno spillover, un salto di specie da un portatore animale non-umano agli esseri umani, e si adatta alla trasmissione uomo-uomo, beh, quel virus ha vinto la lotteria: ora ha una popolazione di 7.7 miliardi di individui che vivono in alte densità demografiche, viaggiando in lungo e in largo, attraverso cui può diffondersi. Quando un virus degli scimpanzé, per esempio, fa il salto per diventare un virus dell’uomo, ha aumentato enormemente il suo potenziale di successo evolutivo. Un esempio? Il virus che chiamiamo Hiv-1 …Non possiamo uscire da questa situazione, da questo dilemma: siamo parte della natura, di una natura che esiste su questo pianeta e solo su questo. Più distruggiamo gli ecosistemi, più smuoviamo i virus dai loro ospiti naturali e ci offriamo come un ospite alternativo.

https://www.wired.it/play/cultura/2020/03/09/coronavirus-david-quammen-spillover-intervista/

Rafforza questi elementi di analisi la riflessione di una figura straordinaria della lotta per una nuova visione dello sviluppo e del rapporto ecologico, Vandana Shiva :

L’emergenza sanitaria covid 19 è legata alle emergenze della perdita della biodiversità e delle specie, della scomparsa delle foreste e del clima.
Tutte queste emergenze sono radicate in una visione del mondo meccanicistica, militaristica, antropocentrica in cui l’uomo è separato e superiore agli altri esseri che possono essere posseduti, manipolati e controllati e sull’idea di un modello economico basato sull’illusione di una crescita e di un’avidità senza limiti. Le malattie si stanno spostando da altri animali all’uomo poiché distruggiamo l’habitat delle specie selvatiche, alterando l’equilibrio tra animali, virus e batteri.
Il modello alimentare e agricolo globalizzato, industrializzato e inefficiente, sta invadendo l’habitat ecologico di altre specie, manipolando animali e piante senza alcun rispetto per la loro integrità e la loro salute. In questo modo si stanno creando nuove malattie. L’illusione che la terra e i suoi esseri siano mera materia prima da sfruttare a scopo di lucro sta creando un unico mondo connesso attraverso la malattia. L’attuale emergenza sanitaria ci offre l’occasione di guardare ai sistemi malsani e ai sistemi salubri da una prospettiva olistica e sistemica.
Come abbiamo scritto nel manifesto Food For Health della Commissione Internazionale sul Futuro del Cibo
( https://navdanyainternational.org/wp-content/uploads/2019/01/Manifesto-Food-for-Health-Cibo-per-la-Salute.pdf )

dobbiamo scartare «le politiche e le pratiche che portano al degrado fisico e morale del sistema alimentare, distruggendo la nostra salute e mettendo in pericolo la stabilità ecologica del pianeta, e mettendo in pericolo la sopravvivenza biogenetica della vita sul pianeta».”

https://ilmanifesto.it/sistema-malato-la-lezione-del-coronavirus/


Una riflessione non dissimile viene sviluppata da Rob Wallae biologo statunitense che da 25 anni studia le interrelazioni fra il nostro modello produttivo e i nuovi patogeni, il ruolo dell’agricoltura industriale e degli allevamenti intensivi è determinante nella diffusione delle epidemie:

Le malattie hanno successo o falliscono in base alle opportunità che trovano nell’ambiente circostante. Nel modello capitalista, la sottrazione di risorse alle foreste del pianeta interrompe il ciclo ecologico, lasciando che i patogeni che erano tenuti sotto controllo dalla complessità di quell’ecosistema possano viaggiare liberamente. Penetrando nelle zone rurali più remote il modello neoliberista ha aumentato le possibilità di Spillover (o salto di specie, ndr), portando la popolazione umana a relazionarsi con patogeni marginalizzati, come è successo con L’ebola, che ha lasciato un numero altissimo di morti…In molti paesi gli allevamenti intensivi occupano gran parte dei territori rurali, perché sono ovunque, e per renderli più proficui le compagnie esercitano controllo su ogni aspetto del processo, dai mangimi alla macellazione. In questo tipo di allevamento, che ha lo scopo di rendere i prodotti che ne derivano disponibili sempre e ovunque, la salute degli animali dipende esclusivamente da vaccini e interventi medici, e questo causa depressione immunitaria e stress da morbilità, rendendoli molto vulnerabili verso le nuove infezioni…Curare il gap tra economia ed ecologia è la primaria sfida scientifica e sociale del nostro secolo. Dobbiamo seriamente domandarci come tornare ad un’economia naturale, preservando i servizi ecosistemici che permettono di avere aria e acqua pulite, suolo fertile e di ridurre le possibilità di epidemie. I piccoli contadini e le popolazioni native mostrano che per secoli abbiamo utilizzato un tipo di agricoltura rigenerativa e non invasiva e quindi possiamo tornare a farlo, impiegando le risorse che ci permetterebbero di continuare a fornire il cibo di cui il mondo ha bisogno senza distruggere i mezzi con i quali lo produciamo realmente.

https://ilmanifesto.it/i-virus-figli-dellagro-business/



Tengo a sottolineare che l’insieme di queste riflessioni viene avanzato da figure e personalità del mondo scientifico che con grande lucidità pongono la questione di fondo da affrontare, tutta politica se si vuole: sviluppare una critica serrata all’attuale modello di sviluppo e lavorare per indicare, del tutto possibili, traiettorie alternative, urgentissime.
La prima e fondamentale lezione che ci viene dal coronavirus è questa e va assunta con tutte le use radicali implicazioni.
In uno scritto di Piero Bevilacqua, predisposto ben prima dell’esplosione della pandemia in Europa, egli sostiene:
Ricordo che tutte le minacce ambientali che abbiamo di fronte sono il risultato – oltre che di processi materiali promossi dai poteri dominanti – di un pensiero e di una cultura che ispirano il capitalismo da oltre due secoli. Tale cultura, diventata pensiero unico negli ultimi decenni, è il dogma economico che ispira pressoché tutti gli agenti della scena politica mondiale: i grandi gruppi finanziari e le banche, le multinazionali, gli stati, i partiti politici, i media, gli uffici studi, buona parte dei gruppi intellettuali, le grandi istituzioni internazionali (FMI, Banca Mondiale, ecc).
Si tratta di un pensiero e di un edificio culturale che si presentano con la veste scintillante delle loro strumentazioni matematiche, ma che sono privi di fondamenti. Come una qualunque religione. Il pensiero economico di tutte le scuole (keynesiane, istituzionaliste, neoliberiste, ma anche marxiste) si fonda su una cancellazione di realtà, che lo rende scientificamente falso. Esso infatti ignora, in radice, che l’attività economica, il processo di produzione e consumo di beni, utilizza natura. Nel calcolo economico capitalistico la natura compare certo, ma solo come costo per le materie prime. Ma la materia prima non esaurisce la natura, è una sua riduzione epistemologicamente misera e una falsificazione della realtà. La natura, infatti, non è semplicemente, ferro, carbone, legno, ecc. (appunto la materia prima estratta dalla natura). Ma è molto altro. Innanzi tutto essa entra nel processo economico, vale a dire nella creazione complessiva della ricchezza, non solo in forma di merce (carbone, legno), ma anche in forme non mercificabili: ossigeno, fertilità del suolo, biodiversità naturale, fotosintesi clorofilliana, sollevamento delle acque dagli oceani ad opera del sole e loro purificazione, trasformazione in pioggia, fiumi, laghi, energia motrice, ecc. L’insieme dei beni comuni, che rende possibile la vita e fornisce risorse naturali non viene dunque calcolato.
Ma il pensiero economico ignora anche che l’attività produttiva e di consumo non solo usa natura non mercificabile e non acquistabile, ma ne sconvolge gli assetti. Un bosco non è riducibile a un quantum di legname, ma è un ecosistema, serbatoio di acque, produttore di ossigeno, conservatore del suolo, habitat di biodiversità animale e vegetale, mitigatore climatico, ecc. Se lo si abbatte si sconvolgono equilibri che producono danni, effetti economici generali mai calcolati.


Ora, proprio queste verità ‘scientifiche’ di cui ci parla Bevilacqua sono state coperte dalla egemonia del pensiero dominante che invece si accompagna ad un’altra idea e visione della scienza: supporto alla yubris sconfinata dei meccanismi di mercato e di profitto.
Forse che non esiste ‘la scienza’ nella sua (presunta) oggettività ma ‘scienze’ frutto diretto anche di rapporti di forza sociali?
Quanto torna utile la lezione di uno scienziato come Marcello Cini che insieme alla ‘libertà’ della ricerca vedeva quanto fosse decisivo che la scienza fosse anche ‘autonomia’!
E allora, forse che non servono nuovi vaccini? Forse che le ricerche microbiologiche, epidemiologiche, farmacologiche, genetiche non sono utili?
E caspita se lo sono.
Quello che non è utile è l’idea che, e torniamo al punto di inizio di questo percorso di ragionamenti, vadano pure avanti in modo indiscusso mercato e profitto, tanto poi, scienza e tecnica una soluzione comunque la trovano…
E’ questo determinismo scientifico, questo dominio della tecnica, di cui il digitale rappresenta forse la frontiera più avanzata e pervasiva, questa idea di onnipotenza che a sua volta ha alimentato anche l’opposto: paure ancestrali e ritorni di pregiudizi antiscientifici, diffusi a piene mani con l’uso della rete, fino ai novelli NO-VAX.

Servono una ricerca e una scienza che si accompagnino, anzi di più, che aiutino a realizzare questo urgente ri-congiungimento, questo indispensabile ri-conoscimento tra uomo e natura, di uomo-natura.
Ma questo processo, per svilupparsi, ha bisogno che il suo ‘limite’, il suo ‘contrasto’, il suo ‘ostacolo’ vengano individuati e nominati : solo così, anche sul piano culturale, le idee nuove potranno camminare e avanzare.
Questo ostacolo si ritrova nella versione di capitalismo consolidatasi negli ultimi tre decenni, con tutti i prefissi e suffissi possibili: neoliberista, bio, finanz, biocognitivo, della sorveglianza.
Sull’elemento della consapevolezza e della coscienza insiste un altro scienziato, tra i padri dell’ambientalismo italiano, Ugo Leone :

È lo sviluppo della coscienza che ci consente di avviarci proficuamente verso una società “immateriale” che riesca a produrre merci che siano beni e a farlo con minori quantità di materie prime ed energia e che riesca a produrre meno merci e più servizi. E servizi per la qualità dell’ambiente e, di conseguenza, per la qualità della vita. Una qualità, quest’ultima, compromessa quotidianamente proprio dagli scarsi o nulli interventi di miglioramento della qualità ambientale o, peggio, da interventi che ne minano integrità e fruibilità per una popolazione che ha ormai di molto superato i sette miliardi di persone

https://ilbolive.unipd.it/it/news/decrescita-parlassimo-benessere-interno-lordo


La consapevolezza però è cresciuta anche, e di molto, nella scienza economica. Tra i tantissimi studi possibili a cu ifar riferimento, voglio citarne uno recentissimo comparso sulla Rivista dei Gesuiti, la Civiltà Cattolica, ad opera di un Economista francese, docente alla Sorbona, Gesuita egli stesso, Gael Giraud :

La salute di tutti dipende dalla salute di ciascuno. Siamo tutti connessi in una relazione di interdipendenza. E questa pandemia non è affatto l’ultima, la «grande peste» che non tornerà per un altro secolo, al contrario: il riscaldamento globale promette la moltiplicazione delle pandemie tropicali, come affermano la Banca Mondiale e l’Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc) da anni. E ci saranno altri coronavirus. La pandemia ci sta costringendo a capire che non esiste un capitalismo davvero praticabile senza un forte sistema di servizi pubblici e a ripensare completamente il modo in cui produciamo e consumiamo, perché questa pandemia non sarà l’ultima. La deforestazione – così come i mercati della fauna selvatica di Wuhan – ci mette in contatto con animali i cui virus non ci sono noti. Lo scongelamento del permafrost minaccia di diffondere pericolose epidemie, come la «spagnola» del 1918, l’antrace, ecc. Lo stesso allevamento intensivo facilita la diffusione di epidemie.
A breve termine, dovremo nazionalizzare le imprese non sostenibili e, forse, alcune banche. Ma molto presto dovremo imparare la lezione di questa dolorosa primavera: riconvertire la produzione, regolare i mercati finanziari; ripensare gli standard contabili, al fine di migliorare la resilienza dei nostri sistemi di produzione; fissare una tassa sul carbonio e sulla salute; lanciare un grande piano di risanamento per la reindustrializzazione ecologica e la conversione massiccia alle energie rinnovabili.
Proviamo a ipotizzare in questa situazione alcune possibili scelte di politica economica:
1. Iniettare liquidità nell’economia reale. Alcuni economisti tedeschi prevedono un calo del Pil in Germania del 9% nel 2020. Il dato è ragionevole e ci sono pochi motivi per cui le cose possano andare diversamente in Francia e, anche peggio, in Italia, Inghilterra, Svizzera e Paesi Bassi. Ciò dovrebbe indurre Germania e Olanda – i fautori della convinzione secondo la quale una maggiore austerità di bilancio aggiusta l’economia, mentre la macroeconomia più elementare dimostra il contrario – a rivedere i loro dogmi, se ancora l’escalation di vittime nei rispettivi Paesi non bastasse a far loro aprire gli occhi.
Negli Stati Uniti, Donald Trump e il suo segretario al Tesoro Steven Mnuchin propongono al Congresso di distribuire un assegno di 1.200 dollari a ciascun cittadino statunitense. Sono un po’ «soldi dall’elicottero» o, supponendo che la Banca centrale si occupi di questo problema monetario, «un quantitative easing per le persone». Misure che, eventualmente, avrebbero dovuto già essere state prese nel 2009. Possiamo anche vedere nell’iniziativa dell’amministrazione Trump l’abbozzo di un reddito minimo universale per tutti. Una proposta che è stata avanzata da molti per lungo tempo.
In Europa, la sospensione delle regole del Patto di stabilità, l’emissione di «obbligazioni corona» o l’attivazione di prestiti del Meccanismo europeo di stabilità sono tutte misure essenziali.
2. Creare posti di lavoro. Tuttavia, le iniziative appena menzionate sono insufficienti. È necessario comprendere che il sistema di produzione occidentale è, o sarà, parzialmente bloccato. A differenza del crollo del mercato azionario del 1929 e della crisi dei mutui subprime del 2008, questa nuova crisi colpisce innanzitutto l’economia reale. Nella maggior parte delle aziende, al 30% dei dipendenti ai quali venisse impedito di lavorare non corrisponderebbe il 30% in meno di produzione, ma una produzione pari a zero. Se un’azienda inserita in una catena del valore smette di produrre, l’intera catena viene interrotta. Stiamo constatando che le catene di approvvigionamento just-in-time (ossia senza scorte) ci rendono estremamente fragili. Pensiamo alla filiera della produzione e della fornitura del cibo. Naturalmente, alcuni governi sono pronti a inviare la polizia o l’esercito per costringere i lavoratori a rischiare la propria vita per non interrompere le catene di approvvigionamento. Le lavoratrici e i lavoratori posti più in basso nella catena di produzione e approvvigionamento sono i primi esposti e i primi sacrificati. Un’enorme ammissione di impotenza!
Nella maggior parte dei Paesi costretti a praticare il contenimento, il sistema produttivo viene quindi parzialmente bloccato, o lo sarà presto. Le catene del valore globali stanno rallentando e alcune saranno tagliate. Il lavoro è involontariamente «in sciopero». Non siamo solo di fronte a una carenza keynesiana della domanda – perché chi ha i contanti non può spenderli, dal momento che deve rimanere a casa –, ma di fronte anche a una crisi dell’offerta. Questa pandemia ci introduce, dunque, in un tipo di crisi nuovo e senza precedenti, in cui si uniscono il calo della domanda e quello dell’offerta. In tale contesto, l’iniezione di liquidità è tanto necessaria quanto insufficiente. Essere appagati da questo equivarrebbe a dare le stampelle a qualcuno che ha appena perso le gambe…
Solo lo Stato, perciò, può creare nuovi posti di lavoro capaci di assorbire la massa di dipendenti che, quando usciranno finalmente di casa, scopriranno di aver perso il lavoro. L’idea dello Stato come datore di lavoro di ultima istanza non è neppure nuova: è stata studiata molto seriamente dall’economista britannico Tony Atkinson. Naturalmente, affinché ciò abbia un senso, dobbiamo seriamente pensare al tipo di settori industriali per i quali vogliamo favorire l’uscita dal tunnel. Questo discernimento dev’essere fatto in ciascun Paese, alla luce delle caratteristiche specifiche di ciascun tessuto economico.
È quindi legittimo e indispensabile che gli Stati occidentali, oggi come ieri, utilizzino una spesa in deficit per finanziare lo sforzo di ricostruzione del sistema produttivo che sarà necessario alla fine di questo lungo parto; e lo dovranno fare in modo acuto e selettivo, favorendo questo o quel settore. Ovviamente, il loro debito pubblico aumenterà. Ricordiamo che, durante la Seconda guerra mondiale, il deficit pubblico degli Stati Uniti raggiunse il 20% del Pil per diversi anni consecutivi. Ma il deficit sarebbe molto più grande in assenza di ingenti spese da parte dello Stato per salvare l’economia.
Possiamo anche notare che il piano di aggiustamento strutturale imposto alla Grecia alcuni anni orsono è stato assolutamente inutile: il rapporto debito pubblico/Pil di Atene ha raggiunto nel 2019 gli stessi livelli del 2010. In altre parole, l’austerità uccide – lo vediamo bene coi nostri occhi in questo momento, nei nostri reparti di rianimazione –, ma non risolve alcun problema macroeconomico….
In termini di evoluzione biologica, per un virus è molto più «efficace» infettare gli esseri umani che la renna artica, già in pericolo a causa del riscaldamento globale. E questo sarà sempre più così, perché la crisi ecologica decimerà altre specie viventi. È soprattutto la distruzione della biodiversità, in cui siamo da tempo impegnati, a favorire la diffusione dei virus[9]. Oggi molti ne sono consapevoli: la crisi ecologica ci garantisce pandemie ricorrenti. Accontentarsi di dotarsi di mascherine ed enzimi per il prossimo futuro equivarrebbe a trattare solo il sintomo. Il male è molto più profondo, ed è la sua radice che dev’essere medicata. La ricostruzione economica che dovremo realizzare dopo essere usciti dal tunnel sarà l’occasione inaspettata per attuare le trasformazioni che, anche ieri, sembravano inconcepibili a coloro che continuano a guardare al futuro attraverso lo specchietto retrovisore della globalizzazione finanziaria. Abbiamo bisogno di una reindustrializzazione verde, accompagnata da una relocalizzazione di tutte le nostre attività umane.

( la versione integrale del Saggio si trova su

https://www.laciviltacattolica.it/articolo/per-ripartire-dopo-lemergenza-covid-19/?fbclid=IwAR0sPf1qwiXeJBzrXLgLceRx1uTjoCFPs8KbMZdUtUzVP1f7D6WNHb3MgyU )

Nuovi e inimmaginabili scenari dunque.
Si può invertire una rotta, Non c’è alcunchè di naturale e di oggettivo. Anzi, siamo in presenza di tantissimo di innaturale e di assolutamente soggettivo ( leggi, di parte ).
Giraud ci propone una riflessione stringente sul che fare, sulle politiche da mettere in campo, ora.
Un altro scienziato, Gianni Silvestrini, ci propone di ‘agire’ anche con una piattaforma proposta da Connettere.org che condensa un appello ai decisori istituzionali nazionali ed europei per una svolta nelle politiche per lo sviluppo e in campo ambientale che merita di essere diffusa e sostenuta .

https://www.qualenergia.it/articoli/uscire-dallemergenza-planetaria-appello-alle-istituzioni-italiane-ed-europee/?fbclid=IwAR0H7KkLE4u3HdX3vwh3nI0EcWpf-ONTRbASPU7_BFsWKr1ndcC8t5k6b_4









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1 commento

  1. 9 aprile ore 12 circa: leggo solo ora .
    Percorso di riflessioni interessantissimo: i il susseguirsi di analisi e proposte di competenti (onesti e attenti nella comunicazione) rendono questo lavoro di Gianfranco Nappi particolarmente valido per diffondere ” saperi” , per acquisire più consapevolezza individuale e collettiva nei nostri stili di vita ( che sono determinati anche da scelte personali strutturate nel tempo ), per incrementare attiva partecipazione frantumando muri di poteri e lavorare ( con cautela e anche con tentativi ed errori) per dare spazio e sostegno ad una Politica Responsabile, rivitalizzata da politici onesti, competenti e realmente coerenti ai loro doveri. Io spero che riesca ad emergere una nuova capacità politica come prodotto di un lavoro attento in stretta collaborazione di esperti ( quelli veri e in più campi) capacità politica che sappia sempre più gestire l’emergenza con una progettualità concreta e ” di lungo respiro” sostenuta da rinnovamento graduale culturale e comportamentale. In sintesi antropologica. Certamente non solo come Italia. Evidenti tante complessità, oggi più che mai in continua accelerazione….ma non fermiamoci, ognuno con i propri strumenti e metodi, anche come piccole tessere di un mosaico proiettato in un futuro più umano.

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