I disegni di Attianese

C’è un filo che si svolge quasi in penombra lungo la storia delle arti visive e che si può collocare nell’immaginario del silenzio e dello straniamento. Artisti come Pontormo, Johannes Vermeer, Gioacchino Toma, Angelo Morbelli o l’americano Edward Hopper ne sono alcuni dei protagonisti, in una diramata eterogeneità di tempi e vicende tale da non lasciare spazio a semplici assimilazioni di natura stilistica o tematica. Non sono i modi della pittura, né tantomeno la scelta dei soggetti a collegare esperienze così diversificate e anche se in alcuni casi si concretizza un legame formale più stringente, come accade tra la luce di Vermeer e quella di Toma, non è in questa direzione che si può puntare. È invece nel rapporto tra come gli elementi interni all’opera si strutturano e dialogano e nella relazione tra questi ultimi e le forme di espressione che si determina un effetto di propagazione della raffigurazione, il non detto si fa discorso.

Nei disegni di Attianese, che pubblichiamo su questo numero, avviene questo fenomeno di sospensione e amplificazione: le immagini di gruppo o quelle con poche sparute figure umane, fino alla sola presenza oggettuale sono sempre raggelate, ma questa sospensione e questo sguardo rallentato implicano una complessa anteriorità e posteriorità che consentono all’immagine di forzare i limiti della mera rappresentazione. La stesura densa, corposa della grafite, che rifiuta le modulazioni chiaroscurali, per lasciare spazio a bianchi e grigi polverosi, si frappone alla visione come un limite dentro il quale le forme precipitano.

Questo approccio indiretto che si ritrova nelle scene di spazi periferici e vagamente desolati così come nelle scene più affollate è contraddistinto da segni stranianti, quasi di contrappunto dinamico: due piccole stelle sugli occhi di un gatto ed una su uno schermo bianco, linee convergenti verso il punto di fuga prospettico di un emiciclo assembleare, una linea puntinata che percorre orizzontalmente una riunione di lavoro. Questi elementi pur coerenti con l’estetica o la grammatica dell’immagine rappresentano una frattura nell’ordinario svolgimento delle cose, riconducono l’immagine dentro la sfera delle forme dell’arte e del suo discorso.

Massimo Tartaglione

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