Grande è la confusione sotto il cielo della Campania in vista delle Regionali d’autunno. Ma, a differenza di quanto sosteneva il Grande Timoniere, la situazione è tutt’altro che eccellente. Quasi quattro mesi dopo la pronuncia della Corte Costituzionale che ha ribadito lo sbarramento al terzo mandato, e ad altrettanti di distanza dall’appuntamento con le urne, il centrosinistra o campo largo, o chiamatelo come volete, non ha fatto un solo passo avanti.
Peggio: è ancora appeso al nodo De Luca, che si riteneva reciso di netto dalla decisione della Consulta.
Fino allo scorso week end si parlava di accordi separati stipulati a Roma tra la segretaria nazionale del Pd, il leader dei Cinque Stelle e il presidente uscente della Regione, in cui l’uscente rinunciava a ogni pretesa in merito all’individuazione del candidato alla sua successione ottenendo in cambio una serie di garanzie che, di fatto, riportavano indietro le lancette dell’orologio della politica campana.
Pacta sunt servanda? Macché. A rimettere, almeno formalmente, tutto in discussione è stato lo stesso De Luca, con una serie di dichiarazioni che costituiscono un altolà, l’ennesimo, alla candidatura di Roberto Fico. Come in un assurdo gioco dell’oca, si è tornati improvvisamente alla casella di partenza.
E dire che, per come stavano le cose, gli accordi trilaterali erano soddisfacenti soprattutto per lui: se da un lato, infatti, davano il via libera a una candidatura di rinnovamento radicale, dall’altro gli riconoscevano ben più del tradizionale onore delle armi. Concedendogli uno spropositato ruolo di “interdizione” nei confronti del nuovo centrosinistra in costruzione, sia riguardo alla formazione della coalizione che sul piano programmatico, Chi aveva salutato con favore la designazione a candidato a presidente di Roberto Fico, giudicandola come una garanzia di discontinuità con il decennio politico – amministrativo che la Campania si sta lasciando alle spalle era stato costretto a ricredersi, anche se l’ex presidente della Camera, a onor del vero, continuava a definirsi estraneo alle intese romane.
Ma poi, come in un caleidoscopio impazzito, in sole 24 ore, la delusione si è prima trasformata in sorpresa e successivamente in disillusione, si spera non definitiva. Al nuovo altolà di De Luca, la segretaria del Pd Elly Schlein, intervenendo in provincia di Salerno, ha risposto ribadendo la sostanza di quegli accordi.
Ha sottolineato, cioè, che il centrosinistra intende, anzi “deve”, ripartire proprio da ciò che si credeva finalmente archiviato, anche grazie all’intervento dei giudici costituzionali.
Ora, al di là delle reali conseguenze a cui potrà condurre lo sconsiderato gioco al rialzo dell’uscente, quella della segreteria del Pd continua a essere una posizione ai limiti dell’incomprensibile. Perché ostruisce a monte la strada di quel profondo ripensamento critico del Pd dell’esperienza di governo campana ch’era sembrato farsi strada quando, prima ancora che la Consulta apponesse il proprio autorevole sigillo alla vicenda, era stata la stessa Schlein a escludere categoricamente la possibilità di una terza chance per De Luca.


Un ripensamento che (nulla è mutato da allora, semmai la situazione è peggiorata) rimane indispensabile per gettare le basi di un nuovo centrosinistra. Capace di imprimere la svolta politico-amministrativa necessaria a risollevare la Campania dalla situazione di grave disagio sociale, economico e civile in cui si trova, e a introdurre una nuova cultura di governo della Regione, più partecipata e vicina ai reali interessi dei cittadini.
Con buona pace dell’ambigua formula adottata dalla leader del Pd nel maldestro tentativo di salvare capra e cavoli (“De Luca ha fatto anche cose buone”), il bilancio con cui il governo regionale uscente si presenta agli elettori è pieno zeppo di ombre e molto avaro di luci: dalla sanità, ai trasporti, all’economia, alle politiche per il territorio, si è affermato un modello autocratico che si è sottratto sistematicamente a ogni forma di controllo democratico.
Producendo, di converso, risultati assolutamente deludenti, certificati dalle più recenti classifiche sulla vivibilità della regione, che relegano la Campania agli ultimi posti delle graduatorie nazionali. Un dato su tutti: l’aspettativa di vita dei cittadini campani si è ridotta, in questo decennio, di tre anni. Era di 82 anni nel 2015, ora è di 79 anni.
Colpa di un sistema sanitario regionale – che assorbe i due terzi del bilancio dell’ente – inefficiente, gestito con criteri esclusivamente clientelari, quando non smembrato e appaltato, a pezzi, ai privati.
Consuntivo assolutamente fallimentare nel settore dei trasporti, tornato indietro di vent’anni dopo i lusinghieri risultati ottenuti a cavallo tra il 2000 e il 2010, che imposero il modello Napoli e Campania all’attenzione della grande stampa internazionale. Oggi la Campania finisce sulle prime pagine per avere la più disastrata linea ferroviaria d’Occidente, la Circumvesuviana, un buco nero nella coscienza regionale.
Ma è sulle politiche per l’ambiente e il territorio che la Giunta uscente ha dato il peggio di sé, con la famigerata “legge Discepolo” che ha privilegiato gli interessi della grande rendita fondiaria, spianando la strada a un nuovo, indiscriminato assalto al territorio da parte del “partito trasversale” del cemento, in ossequio a quelle dinamiche “estrattive” sperimentate dal grande capitale nazionale e internazionale per sottrarsi alla sua funzione “redistributiva”.
In parallelo, le politiche per la salvaguardia ambientale hanno segnato preoccupanti battute d’arresto, muovendosi in un rapporto di interdipendenza con quelle che hanno introdotto una selvaggia deregulation nel settore dell’edilizia, privata e pubblica.


A fronte di questo quadro desolante, il centrosinistra dovrebbe avvertire l’obbligo di evitare qualsiasi soluzione pasticciata, costruire un programma radicalmente alternativo, immaginare candidature coerenti con lo sforzo di rinnovamento e di cambiamento che i cittadini della Campania sembrano chiedergli. Ridimensionando drasticamente il peso dei protagonisti di una stagione politico – amministrativa fallimentare e negativa sotto molteplici aspetti. Rompere col recente passato, insomma. Invece…
È di questi giorni la notizia di un test di gradimento condotto da un istituto demoscopico, che segnala come i campani siano profondamente insoddisfatti di come sono stati governati finora. A questo test, però, corrispondono sondaggi elettorali che danno ancora il centrosinistra vincente sul centrodestra.
Non c’è contraddizione tra gli esiti di queste rilevazioni. Piuttosto, esse evidenziano una profonda domanda di cambiamento che sale dal basso e che il cosiddetto “campo largo” ha il dovere morale di intercettare. Per rinnovare, rinnovarsi e cercare preventivamente di porre un freno a un prevedibile, nuovo, incremento dell’astensionismo, che stavolta potrebbe addirittura favorire una rimonta elettorale della destra.
Ai partiti rimasti estranei allo spirito degli “accordi di Roma”, va chiesto quindi di prendere in mano il proprio destino e di fare argine comune contro ogni tentativo di restaurazione.
Essi, insieme a Fico, hanno la possibilità, con candidature forti, rappresentative e autorevoli nei cinque collegi della regione, di porsi alla guida dell’auspicabile processo di rinnovamento che deve occupare il campo del centrosinistra. E di costruire un’area critica all’interno della coalizione, composta da tutte le forze a sinistra del Pd, dall’Alleanza Verdi Sinistra a Rifondazione Comunista, a Potere al Popolo, ma soprattutto ai tanti movimenti attivi nella realtà campana, a partire da Rigenera Campania a finire alle Assise di Napoli e della Città Metropolitana, che supporti il candidato presidente e lo preservi, nel suo percorso di governo, dai tentativi di condizionamento della vecchia politica.
Perché questo processo possa avviarsi è indispensabile l’istituzione ad horas di un tavolo regionale del cosiddetto campo largo, che si apra nel segno della totale discontinuità programmatica, culturale e politica con il decennio che si è appena concluso.
È giusto, logico e opportuno che siano le rappresentanze campane delle forze politiche a decidere programmi e candidature, senza ingerenze romane. La Campania, per storia, dimensioni territoriali e peso demografico non può e non deve essere considerata una pedina sullo scacchiere politico nazionale.
Non comprendere che si sta perdendo tempo preziosissimo a confrontarsi su un problema che già la Consulta ha sciolto (il ruolo che l’ex presidente dovrà avere) potrebbe a breve rivelarsi esiziale. Così si concede solo un vantaggio assolutamente incongruo (e gratuito) alla destra, pronta a sfruttare la situazione di impasse determinata da una transizione confusa e pericolosa. In cui, per dirla con le parole di Antonio Gramsci, “il vecchio mondo sta morendo e quello nuovo tarda a comparire. E in questo chiaroscuro nascono i mostri”.
Massimiliano Amato

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