da ilgrandevetro.it

Più di un secolo fa (nel 1918) uscì il famoso e discusso libro di Oswald Spengler Il tramonto dell’Occidente. Per la verità l’Occidente, dalle due guerre mondiali del secolo scorso alla globalizzazione di oggi, non è ancora del tutto tramontato e tuttavia continua a calare verso un orizzonte che non è bello da vedere perché è fosco, nero, pieno di nubi che annunciano temporali e tempeste.

La vittoria di Trump negli USA ha segnato l’affermarsi di una cruda verità per l’Europa, perché quest’ultima si è costruita sotto l’egida americana e ha potuto pensarsi Europa solo sulla base di un neoliberismo economico e politico garantito dalla forza militare della NATO, cioè degli Stati Uniti, ma anche da una concezione della società e della democrazia basata sull’individualismo che ha le sue radici più forti proprio al di là dell’Atlantico. Questa verità affermata dai padroni ricchi e potenti Trump e Musk comporta la fine dell’illusione portata avanti, spesso ipocritamente, dalla sinistra occidentale contemporanea, e in particolare quella europea che ha buttato a mare anni di lotte politiche e sindacali dei lavoratori, sulla compatibilità tra capitalismo, democrazia, ecologia e uguaglianza. Compatibilità quasi mai dichiarata esplicitamente, ma praticata ideologicamente mentre la lotta, sacrosanta, per i diritti civili fu separata dalla lotta per i diritti sociali. Oggi domina l’egemonia della cultura aziendalista secondo cui le donne e gli uomini devono essere educati ad essere imprenditrici e imprenditori di sé stesse e di sé stessi. Inoltre il modello aziendalista opera nella sanità, nella scuola, nell’università.

La democrazia, vanto dell’Occidente e dell’Europa, è stata sempre più svuotata per la scarsa partecipazione, l’ignoranza pubblica, l’apatia politica, ma grazie a ciò le forze politiche ed economiche possono governare con il potere dei mass media attraverso quel sistema della circolazione delle élites (in chiave odierna alternanza) già teorizzato da Vilfredo Pareto e da Gaetano Mosca. Alle masse resta l’identificazione con l’ideologia capitalistica. E ciò avviene tutti i giorni. Del resto, già nel XVIII secolo, per David Hume si ha simpatia quando un individuo immagina di essere al posto di un uomo ricco e potente e prova emozione in questo spostamento simulato. Costui non prova le emozioni del ricco e del potente, ma prova le proprie emozioni simulando di stare nei panni del ricco e del potente. Questo simulare è la simpatia che, appunto, si differenzia dall’empatia. La simpatia nei confronti del ricco e del potente viene determinata dalla facoltà dello spettatore di mettersi al posto di costoro e di simulare per sé stessi, provando piacere, la condizione di sicurezza e di benessere di chi possiede ricchezze o potere.
La simpatia agisce da collante nelle relazioni di identificazione con il potere. Nel caso di identificazione con il ricco e con il potente ci si trova di fronte a un tipo di cooperazione fondato sulla finzione di un’eguaglianza fra il ricco e il povero, fra il potente e il debole che nega la diseguaglianza reale, ma assolutamente fondamentale per il dominio e la subordinazione consensuale.
Niente di nuovo sotto il sole, dunque, salvo che per il fatto che oggi i mezzi per produrre identificazione e consenso sono infinitamente più potenti che non nel XVIII secolo.


E’ stata esaltata la flessibilità del lavoro e invece è stata affermata la precarietà più conveniente per gli imprenditori
che possono così comandare con maggiore agio il mercato del lavoro. Inoltre, essi sono stati aiutati da un mutamento della concezione della vita basata oggi su un’eterna adolescenza e giovinezza, il cui costo è la subordinazione. Con il lavoro precario si può rinviare sine die il confronto con sé stessi e accettare la subordinazione come una condizione naturale dell’esistenza, un po’ come il personaggio del film Le ali della libertà ( e del racconto di Stephen King, Rita Hayworth e la redenzione di Shawshenk, che si trova in Quattro stagioni) impersonato magistralmente da Morgan Freeman: dopo anni di carcere, non appena uscito non riusciva a fare pipì senza chiedere il permesso. Era un uomo istituzionalizzato. Beh! Il lavoro eternamente precario istituzionalizza la subordinazione perché si è sempre sotto minaccia di licenziamento e questo abitua all’introiezione del comando altrui.
Il capitalismo è incompatibile con l’ecologia. E’ vero, oggi non c’è pubblicità che non parla di prodotto sostenibile, compatibile con l’ambiente ecc., ma la verità è che, per il modo in cui deve muoversi e crescere il capitale, esso non può prescindere da ciò che nel XVII secolo affermava già Descartes: la natura è al servizio degli uomini, i quali ne sono i signori e i padroni e Dio l’ha data loro perché possano sfruttarla a piacimento. Ma era il XVII secolo! Oggi? In modo non confessato le cose per il capitale, nonostante i movimenti di lotta e una mutata sensibilità di massa, stanno sostanzialmente ancora così.
Le diseguaglianze aumentano in Europa e nel mondo. Anni fa si rideva della famosa affermazione di Berlusconi: “un milione di posti di lavoro!”. Ma in realtà il Cavaliere non faceva altro che riprendere l’idea capitalista secondo cui l’arricchimento dell’imprenditore (e degli azionisti) avrebbe un effetto economico di trascinamento sui lavoratori. E’ invece vero il contrario. L’arricchimento trascina con sé impoverimento.
Oggi in Europa e in Italia sentiamo intellettuali (più o meno) ‘democratici e di sinistra’ che affermano senza rossore che solo noi abbiamo la storia, che solo noi abbiamo Shakespeare e Pirandello (toh!), che i giovani di oggi sono “imbelli” perché troppo abituati alla pace e dunque solo la forza e la guerra li forgerebbe!
Nel frattempo, la destra avanza pericolosamente e molta sinistra europea, dopo che Trump ha scaricato l’Europa, si muove per il riarmo mentre assiste, indifferente e complice, alla distruzione e eliminazione della Palestina e, di fatto, non vuole la pace in Ucraina.
L’Europa di oggi è questa! Sempre più privatizzazioni, sempre meno servizi sociali pubblici, riarmo, democrazia a brandelli, inconsistenza nello scenario mondiale. Se avessimo pensato l’Europa come uno Stato confederale unificando sanità, scuola, università, servizi sociali, invece che puntare tutto sul mercato, forse non ci troveremmo in questa situazione in cui il tramonto appare così senza futuro e senza domani. Del resto, quando la Signora Thatcher disse: “There is no alternative” e trovò gli europei tanto stupidi da crederci, fu allora che il tramonto s’infoscò e le nuvole da rosse diventarono nere.

Alfonso Maurizio Iacono

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Il Grandevetro è un trimestrale di immagini, politica e cultura, fondato a Santa Croce sull’Arno (PI) nel 1977 da un gruppo di intellettuali e artisti.

Il Grandevetro si autofinanzia e si regge da allora sul lavoro gratuito di chi vi opera. Per questi suoi caratteri di apertura e di indipendenza finanziaria, di promozione editoriale e culturale movimentista, Il Grandevetro si è costituito nel 2002 in associazione culturale, politica ed artistica.

La rivista nacque dalla “Polisportiva Primavera”, organizzazione di base della sinistra santacrocese guidata da Sergio Pannocchia negli anni settanta. Grazie alla sua lungimirante visione politica e culturale come pure al suo indefesso attivismo, Pannocchia non solo si interessò della promozione sportiva, ma anche e soprattutto della formazione politica e culturale delle nuove generazioni.

Fu così che attorno a lui si ritrovarono molti artisti e intellettuali di sinistra. Nacque in quegli anni una stagione intensissima di promozione culturale: fu fondato un gruppo teatrale, “La Casagialla”; furono organizzati seminari, cineforum, concerti, dibattiti, mostre.

Nel febbraio del 1977 uscì il primo numero de Il Grandevetro. Il nome fu dato da Romano Masoni, pittore e incisore, in omaggio all’opera di Marcel Duchamp “La Sposa messa a nudo dai suoi scapoli, anche” (traduzione di “La Mariée mise à nu par ses célibataires, même”), chiamato anche “Grande Vetro”.

Fu da questo collettivo che nel 1981 prese le mosse “Il Circolo del Pestival”, gruppo di artisti e intellettuali, che stilò un manifesto di interventi culturali nel territorio del Cuoio e della Calzatura di richiamo nazionale.

Fu in occasione delle manifestazioni artistiche e culturali del “Circolo del Pestival”, che entrò nella redazione de Il Grandevetro, diventandone eccezionale direttore, Luciano Della Mea. S’inaugurò, grazie a lui in modo ufficiale, la nascita delle Edizioni del “Circolo del Pestival”, che già esistevano ma che avevano uscite irregolari. Fu fondata quindi successivamente la Casa Editrice de Il Grandevetro, in coedizione, per alcune sue collane, I SenzastoriaI Lapislazzuli e I Vagabondi, con la Casa Editrice Jaca Book di Milano.

Oltre al trimestrale, l’Associazione culturale de Il Grandevetro edita libri di narrativa e altre numerose pubblicazioni a carattere politico, sociale, artistico.

Dopo la morte di Luciano Della Mea (1924-2003), di Sergio Pannocchia (1936-2008) e di Ivan Della Mea (1940-2009), che ne fu Direttore Responsabile, attualmente (nel 2023) l’organico redazionale è così composto: Direttore responsabile della rivista Alfonso Maurizio Iacono; in redazione: Franca Bellucci, Claudia Bianchi (Vicepresidente), Nicolò Bicego, Stefano Biffoli, Giovanni Commare, Maria Beatrice Di Castri, Francesco Farina (Presidente), Enzo Filosa, Marco La Rosa (Direttore), Carlotta La Penna (Segretaria), Manila Novelli,  Alfio Pellegrini, Giulio Rosa, Sonia Salsi.

Vi collaborano e vi hanno collaborato grandi firme del giornalismo italiano tra cui Gianni Mura, Gianpaolo Ormezzano, e della cultura italiana, tra cui il sociologo Mario Aldo Toscano, l’italianista Michele Feo, il giornalista RAI Alberto Severi, il poeta e critico d’arte Dino Carlesi, il musicologo Renzo Cresti, il critico d’arte Nicola Micieli. Numerosi gli scrittori, tra cui ricordiamo Alberto Pozzolini, Attilio Lolini, e innumerevoli gli artisti, i pittori e i fotografi, che occasionalmente hanno collaborato alla impostazione grafica su invito di Romano Masoni o che hanno donato opere per la vita della rivista.

Numerose sono le iniziative culturali promosse. Tra esse il “Premio nazionale di giornalismo sportivo Sergio Pannocchia” che, con cadenza biennale, viene assegnato a un giovane autore di un articolo giornalistico sportivo contraddistinto da qualità e originalità nella scrittura.



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