Tre colpi di genio e una pessima idea. Ascesa e caduta di uno scienziato
squinternato

Silvia Bencivelli
Storia della medicina
Bollati Boringhieri Milano
2025
Pag. 186 euro 18

Il grande scienziato Charles-Édouard Brown-Sequard (Port Louis, 8 aprile 1817 – Sceaux, 2 aprile 1894) ebbe un finale di vita patetico: si era messo a
prelevare testicoli dei porcellini d’India (presto sostituiti da semplici cani) e a
schiacciarli, ammollarli, iniettarseli, dichiarando all’universo mondo di aver
riacquistato il vigore di un tempo e promuovendo di fatto un business
internazionale. Dieci iniezioni in tre settimane ed eccolo lì il primo giugno 1889
alla Societé de Biologie di Parigi, una grande conferenza per un clamoroso
annuncio dell’esperimento compiuto su sé stesso. Si di lui calò un silenzio
imbarazzato, eppure… una precisa sindrome neurologica ha il suo nome, risulta
uno dei medici più famosi e influenti del mondo nella seconda metà
dell’ottocento, avrebbe potuto ottenere mezzi busti in bronzo nelle piazze delle
città di tre continenti. Nativo di Mauritius, cittadino britannico di cultura
francese, Brown-Séquard era un uomo a dir poco inquieto. Ventenne andò in
Francia per tentare la carriera letteraria, ma finì per studiare medicina e per
costruirsi una carriera medica importante. Attraversò l’Atlantico ben
sessantasei volte, sempre alla ricerca del luogo migliore in cui sviluppare le
proprie ricerche (e trovare la felicità), scalò a fatica i gradini di un’accademia a
lui sempre un po’ ostile, fino a quando tornò a Parigi, dove finalmente riuscì a
ottenere la cittadinanza francese e a diventare professore. Dopo aver dato
contributi fondamentali alla nascente neurologia e dopo aver intuito tra i primi
l’esistenza degli ormoni, si giocò la reputazione e tocca ora a una bravissima
comunicatrice scientifica riconsegnarci una stimolante vivida biografia di un
notevole eccezionale irrequieto scienziato.

L’ottima giornalista e divulgatrice, conduttrice radiofonica e televisiva, Silvia
Bencivelli (La Spezia, 1977), pisana d’adozione, si è laureata in medicina nel
2002 e ha ottenuto il master in comunicazione nel 2004 a Trieste, una delle
allieve predilette di Pietro Greco (ringraziato in fondo insieme agli altrettanto
mitici e compianti Romeo Bassoli e Rossella Panarese). Da anni la scrittrice ci
delizia con saggi colti e ironici che narrano magnificamente vicende e
personalità della costruzione culturale della scienza, “dove ogni due passi c’è
qualcuno che sbaglia strada, incespica, prende una storta, litiga, magari si
incazza e prosegue zoppicando… ma va, in qualche modo e comunque, va… e
costruisce non solo nuova conoscenza, nuovi bisogni, nuove soluzioni, nuove
prassi, nuovi lessici, ma anche nuove fantasie”. La narrazione inizia con la
conferenza conclusiva, pessima comunicazione di un risultato, per di più
sbagliato, all’origine della curiosità che ha trascinato Bencivelli nella storia di
uno scienziato brillante e coraggioso, introverso e impulsivo, buono e
disadattato; il quale non riuscì a mettere mai radici da nessuna parte
(perdendo cattedre, mogli, posti di lavoro), pur risolvendo in modo geniale
almeno tre sconvolgimenti nelle proprie comunità (il colera per esempio) e
compiendo in fondo un grossolano passo falso (da cui il titolo); un’esistenza a
tratti incredibile e molto sfortunata (la foto di copertina è della tomba nel
cimitero di Montparnasse), forse bipolare. I capitoli successivi all’ultimo
”errore” ricostruiscono cronologicamente fasi e clamori della vita, con un
intermezzo (l’apparato endocrino), per concludersi con un grande finale
(intuizioni e attualità di tiroide, testicoli, surreni, ormoni) e un piccolo finale
(testosterone), l’appendice con stralci di alcune lettere, i ringraziamenti e la
bibliografia (necessariamente) essenziale.

***

Un cadavere in cucina. Un caso per Manrico Spinori
Giancarlo De Cataldo
Giallo
Einaudi Torino
2025
Pag. 229 euro 18

Roma. Luglio 2019. L’estate del melomane romano sostituto procuratore della
Repubblica Manrico Leopoldo
Costante Severo Fruttuoso Rick Contino Spinori
della Rocca dei conti di Albis e Santa Gioconda viene cullata dalla risacca nel
luglio pontino di Sabaudia: sul lettino accanto siede la mitica madre Donna
Elena, che gli mostra una notizia gossip su una seratina folle il 22 luglio in un
ristorante extralusso, con intossicazioni varie; lei è preoccupata che lui sia
senza compagna da due mesi, un record (relativo). A cena il maggiordomo
Camillo allestisce un barbecue in giardino, presenti anche il figlio Alex e la sua
ragazza Rachele. Mentre sorseggiano Barolo, chiama il procuratore Gaspare
Volpe Argentata Melchiorre, è successo un guaio proprio in quel ristorante. La
mattina dopo Manrico torna e gli viene affidato il caso: ci è scappato il morto,
un colonnello dell’esercito, attenzionato anche dai Servizi, Vladimiro Micheli.
Non in ferie ora il sostituto può contare solo sulla tonica Deborah Cianchetti,
metro e ottanta di muscolatura e avvenenza (pur se meno tinteggiata del
capo). Vanno insieme al ristorante, una specie di chalet in una zona verde ai
margini di Tor di Quinto, cominciano le indagini, presentazioni e interrogatori,
ma il titolare grande chef Marini è scomparso. Per altro, Manrico non sa proprio
cucinare, pur godendo di un palato raffinatissimo, sapendo distinguere gli
ingredienti, conoscendo i vini e gli spiriti. Un fungo aveva provocato le
intossicazioni (Psilocybe semilanceata), un altro (velenoso, Amanita Falloide) la
morte. L’autopsia è compito di Stella Dubois, ogni tanto ancora si attraggono
con Manrico. La nipote di Camillo si sposa e occorre trovare chi possa
sostituirlo per una settimana, Manrico si distrae ma sulla scena del delitto
trovano pure una microspia, appare la dottoressa Stefania Baldini dell’Aisi,
bella e furba. Reciprocamente interessati ben presto finiscono a letto, poi
cominciano a frequentarsi e usarsi. Marini viene ritrovato morto avvelenato.
Pian piano tornano in ufficio Gavina e Brunella, si rendono indispensabili, finché
l’opera lirica torna a dare qualche spunto su chi e perché abbia ucciso.

Il bravo ex magistrato e grande scrittore Giancarlo De Cataldo (Taranto, 1956)
non è un melomane di gioventù, da circa un quindicennio ha riscoperto
l’impatto emozionante dell’opera lirica, il che ha dato nuove priorità alla vita
sociale, alla produzione musical-spettacolare e anche, per l’ennesima volta con
successo, all’identità letteraria. Siamo già alla sesta avventura della nuova
gustosa serie di gialli, tutti casi romani clamorosi in nemmeno un anno per
Manrico (autunno 2018 – agosto 2019), il settimo arriverà presto. Il bel
signorile melomane è un gran personaggio, perfetto per mescolare l’esperienza
professionale e la passione musicale di De Cataldo con due differenti generi
narrativi: giallo all’inglese e irrituale ironia da sacrestia. Il credo è rigoroso:
“non esiste esperienza umana – delitto incluso – che non sia già stata
raccontata da un’opera lirica. Bisogna individuarla. E rimettere al centro della
scena il melodramma della realtà”. Si comincia con il morto, come da copione,
qui una vicenda complessa da collocare artisticamente. Seguono tutti i riti
dell’investigazione, sia letterari che istituzionali. Le documentate ambientazioni
e dinamiche delle cucine stellate (da cui il titolo e la copertina), chef sous
cuochi dipendenti, orientano tutta l’avventura. La narrazione è come al solito in
terza fissa al passato, sempre su Manrico e, più raramente, su azioni e pensieri
della più autonoma e sciantosa delle sue collaboratrici, la poliziotta coatta
“destrorsa” romanaccia Deborah Cianchetti. Manrico va alle prime, cita opere,
ascolta musica antica, raccoglie informazioni sugli specifici riferimenti culturali
del caso, è caparbio e fedele al lavoro (anche a costo di mettere a repentaglio
un nuovo affetto, per quanto si annoi sempre abbastanza presto), ha un figlio
musicista, i due molto simili nella caducità dell’amore, convivono con la madre
e nonna, anticamente splendida spendacciona ludopatica. Come le altre volte,
a lungo il protagonista non riesce ad associare alcuna narrazione lirica
all’intreccio criminale, più sostanza che parodia. Tante opere liriche e musiche
classiche. Ai liquori qualche volta è preferibile un buon champagne Robert
Moncuit: se Manrico sussurra insinceramente che cerca “la verità”, Stefania
ribatte indecifrabilmente che “è sopravvalutata”.

***

Non per bellezza. Donne (e uomini) nella lotta partigiana
Margherita Becchetti
Storia
Monte Università MUP Parma
2025 (illustrato, con molte foto)
Pag. 433 euro 18

Italia. 1943 – 1945. La partecipazione delle donne italiane alla lotta di Liberazione è
stata eccezionale e imponente,
un contributo notevole e a lungo misconosciuto.
Tuttavia, poco o niente la Resistenza ha dato loro in termini di opportunità, di
crescita, di esperienza liberatrice delle singole, nemmeno poi ha inciso
sull’emancipazione di tutte le altre, sulle loro mentalità, stili di vita, sul loro rapporto
con gli uomini. La bravissima storica Margherita Becchetti (Castelnovo Monti,
Reggio Emilia, 1973) prende spunto da una frase di Elsa Oliva che salì in montagna
per unirsi a una formazione partigiana chiarendo subito che non cercava un
innamorato e voleva un’arma, “Non per bellezza”. Sei capitoli (scegliere,
trasgredire, pregiudizi, senza armi, il male, crescere) sono dedicati all’ottima
ricostruzione delle dinamiche femminili concrete, sociali esistenziali morali
relazionali; l’ultimo al “dopo”; sempre con linguaggio chiaro e colloquiale. Utili
bibliografia e indice dei nomi.

***

Sangue marcio
Antonio Manzini
Noir
Piemme
2025 (1° edizione Fazi 2005)
Pag. 223 euro 17

Una città (e L’Aquila). 1976 (e 2002). Pietro e Massimo Sini sono due fratelli di dieci
e tredici anni,
famiglia facoltosa, villa con piscina, campo da tennis, privilegi e
videogiochi, governante e giardiniere, casa al mare in Liguria. Il 12 ottobre la polizia
arresta il padre, pare possa essere lui “il mostro delle Cinque Terre”. Il processo
inizia a dicembre, la sentenza arriva a maggio, colpevole. Si trasferiscono a Milano.
Ritroviamo i fratelli circa 25 anni dopo in Abruzzo, Pietro è diventato cronista di
nera, Massimo commissario. Un serial killer sta firmando delitti di giovane donne, in
giro c’è del “Sangue marcio”. L’esordio letterario del grande Antonio Manzini
(Roma, 1964), quando faceva l’attore e aveva il manoscritto di un monologo teatrale,
fu merito di due amici, Niccolò Ammaniti e Martina Donati. Nella meritevole e
impedibile ripubblicazione non ha cambiato una parola, neanche la dedica a Toni:
“nonostante siamo su strade senza indicazioni, lei sa sempre dove girare”.

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