Il 24 marzo 1984 si tenne a Roma una delle manifestazioni più imponenti della storia democratica italiana: quella del mondo del lavoro contro il Decreto di San Valentino del Governo Craxi che tagliava di 4 punti la Scala mobile: ecco, intanto, se ci si chiede com’è che l’Italia sia all’ultimo posto per potere di acquisto delle retribuzioni, bisognerebbe almeno avere l’onestà intellettuale di dire che questo è il frutto di una storia certo complessa, dai caratteri anche globali certo, ma che altrettanto certamente ha trovato in quel decreto un punto di avvio di non secondaria importanza quanto a lateralizzazione e attacco al potere e alla dignità del lavoro.
Bene.
Enrico Berlinguer, allora, tra distinguo e mal di pancia, con due terzi scarsi del suo partito, mezza CGIL ma con milioni di lavoratrici e lavoratori, condusse la battaglia contro quel Decreto, fino al lancio di un Referendum abrogativo che poi si tenne un anno dopo la sua scomparsa.
A quella manifestazione c’erano anche tanti giovani. Tra di essi, un giovanissimo studente del Movimento contro la Camorra, di Ottaviano, Michele Pizza che con gambe tremanti dal palco di fronte a quella marea umana, prese la parola in rappresentanza di un Movimento che stava scuotendo fin nel profondo la società meridionale e che aveva trovato proprio in Berlinguer e nel PCI un riferimento sicuro insieme al mondo cattolico.

Per pochi punti di differenza quel Referendum poi si perse. Probabilmente, il piano era comunque già inclinato e difficile da recuperare. Ma certo, se quel Referendum si fosse vinto, e se Berlinguer non fosse caduto su quel palco di Padova chi può sostenere che questo non sarebbe stato possibile o molto probabile? Come sarebbe cambiato tutto quel che ne è venuto dopo? L’Italia, invece di essere l’antesignana di thatcherismo e reaganismo non sarebbe stata invece un punto di resistenza e di riorganizzazione delle forze? Non si sarebbe recuperato un tempo per questo? E quale influenza avrebbe avuto per il destino di tutta la sinistra europea e l’Europa intera? Prima del blairismo e della perdita di se’ che in tutta Europa ha accompagnato la sinistra? E la cancrena che ha poi divorato il sistema politico italiano aprendo essa un’autostrada all’antipolitica, non avrebbe potuto, forse, trovare altre strade per essere affrontata?
Dico questo non per fare la storia con i se, come banalmente si può obiettare.
Ma per dire che, come mi ha insegnato Franco Barbagallo insieme alla migliore scuola di Storia, una cosa finchè non accade non sta scritto da nessuna parte che debba accadere per forza; che la Storia è sempre aperta ad esiti diversi e che nessuno storicismo deteriore, oggi eretto a legge di natura, ci può presentare quel che è accaduto come naturale che accadesse e per il solo fatto che è accaduto con dentro di se’ la sua giustificazione anche etica.
Poi, certo, è con l’accaduto del fatto storico che ti misuri. E da lì riparti.
Quindi, la Storia può andare sempre in un altro modo. E’ l’ideologia dei vincitori che ce la presenta come invece necessitata e obbligata e, in quanto tale, naturale.
E allora, grazie alla CGIL questa volta ( e pur in un quadro impallidito rispetto a quel 1984-1985 ), con tanti distinguo anche ora che crescono avvicinandosi al voto e con riformisti o presunti tali che considerano sbagliato il merito e il profilo politico del Referendum ( solo oggi se ne contano tantissimi dalle fila del centrosinistra, dai più autorevoli, come Paolo Gentiloni, ai meno, detto sinceramente e sempre con rispetto, come Stefano Ceccanti), c’è una grande occasione e opportunità insieme per cambiare il corso delle cose; rimettere al centro le ragioni del lavoro, della sua dignità, del suo potere; spingere per un profondo rinnovamento della sinistra e del tanto neoliberismo che ancora la attanaglia; dare strumenti nuovi alla battaglia democratica contro un governo che fa scempio di diritti.
Esercitiamolo questo diritto al voto. Votiamo Bene. Un SI al Futuro declinato 5 volte.
Gianfranco Nappi

