Una copertina sobria: i colori, i nomi, il titolo e il sottotitolo costituiscono un insieme indivisibile di un libro che ci prende per mano, ci induce a non allontanarci dalla lettura fino all’ultima pagina perché ci rende sempre più partecipi di una singolare storia che può assumere le potenzialità del simbolo. L’ origine è da trovarsi in orrendi pochi minuti di incredibile violenza nelle prime ore del giorno 8 gennaio 1985 a Filadelfia, piccolo paese della Calabria.
Una seconda, terza lettura alimenta una partecipazione con emozioni più dense, con riflessioni più attente e con nitida consapevolezza perché è una storia che, nella sua peculiarità, non può essere disgiunta da altre storie in cui sono incancellabili le impronte del dolore causato da mani violente delle organizzazioni criminali e poi perpetuato, acutizzato da una giustizia negata. E nella nostra Italia, da Nord a Sud e da Ovest a Est, persistono ancora troppi casi di “giustizia negata”.

Doris Lo Moro Magistrato dal giugno 1987- già Sindaco di Lamezia Terme, Assessore alla Sanità della Regione Calabria, Deputata PD e poi Senatrice PD della Repubblica Italiana – dopo circa quaranta anni, partendo da quel terribile 8 gennaio 1985, per la prima volta ha accettato di essere intervistata da Luciana De Luca, artefice del Progetto “ Diario della Memoria” del “Quotidiano del Sud” dedicato alle vittime innocenti delle mafie. L’intervista accurata anche nell’uso delle parole diventa dialogo prezioso perché apre all’inesauribile vissuto di dolore e di sofferenze di Doris Lo Moro con la sua famiglia per l’iniqua perdita del padre e del fratello insieme causata dalla violenza mafiosa. Dolore in lei mai affievolito nell’ impeccabile riservatezza e nell’ inattaccabile dignità, nonostante gli innumerevoli ed importanti incarichi politici e ruoli pubblici. Tante le coraggiose battaglie politiche condotte da Doris Lo Moro a testa alta, annientando ogni forma di speculazione sulla tragedia familiare e senza mai arrendersi di fronte agli ostacoli più duri nella ricerca della verità durante il tortuoso percorso – apparentemente enigmatico – della specifica vicenda giudiziaria. Esito: GIUSTIZIA NEGATA. FORTE COME IL DOLORE.
Dolore più amaro perché l’ esito è l’effetto di varie forme di violenza di lungo periodo. Anche di quelle determinate dall’omertà malcelata di insospettabili, da vigliacche forme di isolamento più volte indotte e attuate determinando equivoche supposizioni e ingiusta solitudine per i familiari delle vittime. Fenomeni ben individuati, sperimentati e conosciuti nella loro ingiustificata ripetitività.

Il piccolo/grande libro esprime validità comunicativa nella ricomposizione di intoccabili ricordi personali e familiari di Doris Lo Moro, delle sue incontrovertibili note giuridiche con narrazioni di procedure e di sentenze, delle sue scelte professionali e politiche potenziate dalla forza del dovere e della responsabilità come validi antidoti alla rassegnazione. L’intero testo – incisivo nel suo essere testimonianza “ con l’onestà che impone la storia e il rispetto che incute il dolore per una perdita ingiusta” (1), dà risalto al suo spessore etico perché lei è stata costantemente determinata a trasformare l’unicità del dolore suo e dei suoi cari in rigoroso proficuo impegno civile e politico.

          

                “Era l’8 gennaio del 1985 quando uccisero il direttore didattico Giuseppe Lo Moro  e suo figlio Giovanni che aveva da poco compiuto diciannove anni, l’ultimo di otto figli. Da Lamezia Terme si stavano recando, come ogni mattina, a Filadelfia per andare a scuola. Il ragazzo frequentava l’ultimo anno del Liceo Scientifico e aveva da poco preso la patente. Guidava lui quel giorno perché il padre, che dirigeva la locale  scuola elementare, aveva subito un intervento agli occhi. Li ritrovarono morti sulla strada che dalla stradale conduce alle porte del paese, crivellati di colpi. Tutto attorno solo silenzio e pezzi di carrozzeria sparsi un po’ ovunque.” (2). Quello che poteva sembrare un incidente automobilistico – per l’urto tra una Mini90 Innocenti   e una 127 di colore celeste  in una strada in quel momento deserta  ma generalmente trafficata soprattutto di mattina  –  di fatto è stato uno spietato omicidio  che ha  spento la vita a un padre anziano e a un giovanissimo figlio. In pochi secondi. 

                Doris quel giorno era ancora in viaggio di nozze, ancora piena di “quella felicità respirata a pieni polmoni” (3) con tutta la sua grande famiglia a Gubbio nel giorno del suo matrimonio con Enzo che, già tanto apprezzato dal suocero, diventerà poi per tutti i Lo Moro un valido costante sostegno, un solido punto di riferimento. Per lei informazioni caute in un affannato e quanto più rapido viaggio di ritorno a casa. Sbigottita  e poi incredula trovò Lamezia Terme  che l’accolse con straordinaria partecipazione e calore affettivo.  Doris ha  ricordato  il suo sentirsi  pietrificata di quelle ore e  teneramente in una pagina evidenzia

 “ Tra me e mio padre c’era un forte legame, lui aveva sempre desiderato una figlia.  Io sono la terza  e non c’è dubbio che in una famiglia con sette maschi, l’unica figlia diventi facilmente la principessina di casa. In un mondo patriarcale per me essere l’unica figlia femmina è stato un singolare privilegio” (4). Pochi giorni e la “principessina” volle reagire alla paura accresciuta dal “senso dell’inverosimile”  e al   torpore dolorante  perché proprio in un tribunale  <<sentì>> l’energico  richiamo degli insegnamenti paterni . Infatti, ha raccontato: “ Lì capii che il pericolo che io e la mia famiglia stavamo correndo era quello di avere subìto un’ingiustizia e che di questa ingiustizia ci si dovesse in qualche modo giustificare “ (5).   Doris non è fuggita, non si è rifugiata nel meccanismo della  rimozione  e non  ha voluto lasciare la sua terra con le sue comunità: ha con tenacia moltiplicato le sue competenze professionali, le sue energie per   progetti e  interventi  politici  efficaci per renderla migliore, per costruire concretamente  percorsi di legalità e proposte di leggi realmente progressiste, facendo leva sulle  alleanze sane che si possono costruire  in tante comunità e nelle sedi parlamentari.

Purtroppo, da quel tragico mattino, forse, la comunità del paesino collinare Filadelfia – dove precedentemente per alcuni anni ha vissuto la famiglia Lo Moro

– ha tradito il valore del proprio nome: Filadelfia significa “amore

fraterno” perché deriva dal greco antico Philadélpheia .

               Doris figlia ha deciso di potenziare il proprio  senso del dovere e della responsabilità da coniugare con quello della giustizia ad ampio raggio , capisaldi del patrimonio lasciatole dal padre tra  tante  poesie e  giochi di parole, tra seduzioni di pensieri e viaggi immaginari, tra gentilezza empatica e doveri istituzionali,  beni immateriali strutturati  nelle quotidiane complicità familiari in sinergia  affettiva e culturale.

              Doris sorella ha  seguito anche  l’indistruttibile  richiamo  che sentiva dentro sé da “Giovannino dai capelli ricci e dal sorriso dolce”  (6) strappato con crudeltà ai suoi sogni e ai suoi progetti già in cantiere  per un mondo più giusto, rubato agli accattivanti interessi coltivati con i tanti amici  che tuttora lo portano nel cuore . “Giovanni che veniva considerato il piccolo di casa, si faceva largo tra noi fratelli  con la sua dolcezza , nonostante recitasse il ruolo dell’alter ego paterno, quasi a voler incarnare un latente protagonismo che gli derivava dalla saggezza che esprimeva con i suoi ragionamenti. Per questo veniva considerato come un minuscolo sapiente al quale soggiacere per forza di cose. Era lui il vero padroncino del pastore maremmano Argo, era lui che orientava le decisioni familiari, disarmando ogni tentativo davvero velleitario, di pensarla diversamente”. (7).

            Doris è diventata  determinata nelle scelte fondamentali per sé e per tutti i suoi cari perché ha fatto leva sulla forza simbolica dei valori assorbiti e della ricchezza  culturale accumulata nella grande famiglia del Sud: inizialmente ha sentito il penso di sentirsi inadeguata al proprio compito  che percepiva  necessario, poi coraggiosa e sicura perché non impregnata  di inadeguate tradizioni femminili calabresi proprio per volere del padre, sostenuta dalla fiducia  incrollabile di mamma Rosa Condello e di  tutti i suoi fratelli, protetta dall’amore  coniugale  e dai doni della vita che le ha aperto  nuovi tenerissimi orizzonti  con la nascita di Laura, Clara  e Alberto.

              Le pagine di “FORTE COME IL DOLORE” prendono per mano nell’ accogliere l’ essenzialità descrittiva dei fatti, le  significative  note sulla persona  Giuseppe Lo Moro, mitico anche perché portava  sempre una poesia nel portafoglio: uomo di cultura e appassionato di filosofia e di letteratura greca da motivare la scelta del nome “Doris” per la figlia tanto desiderata.  Giovanissimo, dopo la morte del padre ha lavorato come minatore per sostenere gli studi di fratelli e sorelle. Nel 1947  da segretario firmava le tessere  del PCI di Capistrano, suo paese di origine. Con perseveranza   aveva coltivato  forte  volontà e  piena fiducia nello studio e nei saperi: uomo delle istituzioni   divenne  esperto ed artefice di didattiche innovative  – rivoluzionarie in quegli anni e poi mutuate in riforme dello Stato,   manifestando sempre   la convinzione dell’importanza educativa della vita scolastica e della continua formazione culturale ed artistica di ogni persona, fondamentali per la propria  libertà  e per il progresso collettivo. Il suo costante amore e rispetto per bambini  e  giovani certamente aveva raggiunto l’apice di gioia e di  orgoglio tra i suoi otto figli insieme all’instancabile moglie Rosa, anche lei insegnante che  amava presentarsi “moglie di Pepè”.  Lei inconsapevolmente nella grande famiglia prima brillava di luce propria per quotidiana pazienza e incisiva dolcezza,   poi nell’ inaudito dolore si è ritrovata roccia per i suoi figli e tenerissima nonna le cui quotidiane  cure sono tuttora presenti nei ricordi dei nipoti ormai adulti. Struggente un suo specifico rammentare che nella  pagina 24 emerge come un sussurro  “ Il ricordo più forte di quella giornata è ancora l’immagine di mia madre seduta con una coperta addosso, che tremava per il freddo e quel freddo non le passava più”. Come il nero del suo vestirsi, mai più abbandonato.

            Le pagine con i   ricordi di Doris con i suoi fratelli  sono spazi limpidi: accolgono   amorevoli belle riflessioni  cariche di  penetrante significato  come tessere  di un grande mosaico familiare tuttora vitale nel suo valido rigenerarsi. Umano.   

           Le pagine  con le annotazioni   delle incurie presenti nelle indagini, delle falsità sui fatti, delle  indegne manipolazioni di testimonianze e di risultati delle perizie tecniche, con la memoria   delle udienze a cui la famiglia Lo Moro ha partecipato come parte civile, sono difficili da accogliere perché esprimono oscurantismo e illegalità, nell’ alternarsi tenebroso di prove e contro prove fino alla inspiegabile sentenza finale: assoluzione degli autori delle orrende morti.    Disumana.  

            Necessaria qui l’essenziale ed in ogni caso inconfutabile ricostruzione del crimine con le stesse parole di Doris: “ I due corpi lontani l’uno dall’altro, quello di Giovanni davanti alla macchina, regolarmente parcheggiata e con il motore spento, e quello di mio padre dietro, distante alcuni metri; Giovanni ucciso con un solo colpo di arma da fuoco e mio padre invece raggiunto e crivellato di colpi; le striature di colore celeste trovate sulla fiancata sinistra della nostra macchina… Giovannino è morto in maniera inconsapevole perché gli rimase un sorriso stampato sulle labbra. Certamente scese dalla macchina animato da buone intenzioni e fu subito colpito a distanza ravvicinata con un revolver calibro 38. Mio padre, invece, aveva visto uccidere il figlio, diventando drammaticamente un testimone da eliminare  …  Ho visto  il corpo di Giovanni disteso su un lettino, sembrava sereno con gli occhi socchiusi e il volto incorniciato dai suoi riccioli castani. Mio padre, invece, aveva il terrore e la disperazione  in viso…Mi fu subito evidente  che fosse morto per primo Giovanni, ucciso appena sceso dalla macchina, mentre mio padre aveva tentato di allontanarsi nella direzione opposta in preda al dolore e al panico e fu inseguito dai suoi assassini che hanno sparato entrambi con due armi, un revolver calibro 38 e una pistola calibro  22, e tutto questo gli era rimasto impresso nel volto, negli occhi.  Anche nella ricostruzione in quello che è stato trovato per terra, ho ravvisato con chiarezza il destino di un intellettuale con quegli occhiali rotti accanto a sé”. (8)

                Paolo Lo Moro, di qualche anno più grande di Giovanni, l’11 dicembre 1987 ha inviato una lettera  agli avvocati di parte civile.

Per me è un ulteriore dovere leggerla, soprattutto dopo aver accolto questo suo primo brano: “ Mio padre e Giovanni sono il classico esempio di quelle persone tra le quali si instaura una osmosi tale da renderne percettibile la coincidenza culturale. Il fatto è che Giovanni, ottavo ed ultimo figlio, non si era limitato ad ereditare  somiglianze genetiche da mio padre, ma ne aveva addirittura assimilato lo stesso modo di essere, ripetendo una somiglianza pressoché  globale. Il che non era il risultato di un’influenza ossessiva e condizionante – tale cioè da alienare la personalità di un soggetto – ma, al contrario, un puro  “dato”, spiegabile solo all’interno di un rapporto padre-figlio, particolarmente – e reciprocamente -nitido e penetrante, espressione di due personalità in perfetta sintonia. L’attrazione era facilitata da una diversità caratteriale che, paradossalmente, contribuiva a renderli simili”. (9). 

                Doris Lo Moro, nel fluire delle memorie dei suoi percorsi istituzionali     dedica emblematiche   osservazioni  a “LIBERA. Associazioni, nomi enumeri contro le mafie” di cui è stata socio fondatore:  ha compreso sempre più la necessità di edificare  – con chi portava sempre il dolore di aver perso persone care per crudeltà mafiose – “una comunanza, che non era solo l’affinità delle storie, la coincidenza di alcuni particolari o gli esiti di ciascuna tragedia. Era un sentimento di partecipazione piena, una solidarietà che sembrava spingere a fare ogni sforzo per sentire sulle proprie spalle anche la croce di altri”.(10)

                È  importante, molto,  evidenziare quanto sia  fondamentale  dare connotazioni precise alle morti per mano assassina , soprattutto a quelle causati da organizzazioni criminali, per rendere presente  il  ricordo di ogni  reale crimine. Per me è sempre emozionante sapere che nel giorno  21 marzo all’appuntamento annuale  di  LIBERA , sempre  in una località diversa, vengano letti i nomi e i cognomi delle vittime innocenti e ho sempre cercato di ascoltarli nei frammenti dei servizi televisivi.
Qui   sono  da valorizzare le dichiarazioni  di Doris, figlia e sorella : “A un  certo punto – e questo è merito di Libera – i nomi di mio padre e di mio fratello hanno cominciato ad essere pronunciati, diventando due tra le tante vittime della ‘ndrangheta. Il pronunciare il nome aveva sovrastato anche la giustizia negata: il riconoscimento  della dignità di vittima si faceva carico di una verità processuale che aveva omesso di condannare i colpevoli”. (11) 

Dichiarazioni che  diventano voce, testimonianza di una peculiare collettività.

               È bene riportare qui come incisivo messaggio finale altre ponderazioni di Doris Lo Moro “ La fiducia nella Giustizia anzi è stata sempre coltivata nella mia famiglia e non è certo un caso che mia figlia Clara ha studiato giurisprudenza e fa il magistrato. Il giudizio su singoli casi e su singole vicende giudiziarie non può e non deve intaccare il valore della Giustizia e il rispetto dell’Istituzione proposta a garantirla. Non si possono confondere i singoli giudici con la Magistratura e questo lo sanno bene le tante  vittime di casi rimasti irrisolti…”(12) . 

               Doris Lo Moro è mia cugina perché entrambe figlie di due sorelle: lei di Rosa, la sesta, la più bella  e la più dolce, io di Maria la quarta, la più attiva e

dirigenziale, poi  napoletana. Due tra  sei in un totale di dodici figli.

Pennellate di colori mai sfioriti tuttora danno vitalità ai nostri bei ricordi infantili e adolescenziali, a quelli con tratti di cammino comuni  – nonostante l’essere  fisicamente  lontane – con inossidabile complicità  di valori politici condivisi nella diversità delle proprie scelte durante la giovinezza ed ora, più che mai, nella piena maturità. Succede anche questo in una <<grande famiglia super ampliata  del SUD>>  :  tradizionale sì ma non troppo,  semplicemente accurata    nei legami di affetto. Reciprocamente validi.

                       In questo  maggio  2025  è sempre più inedita la  complessità del   momento politico e storico della nostra Italia democratica, non disgiunta da quella spesso indecifrabile  e incerta dell’Unione Europea .  Il contesto geo politico internazionale è offuscato da guerre non lontane da noi che seminano ancora stragi e atrocità, l’urgenza di pace in più aree del pianeta  viene trasformata  in annunci  roboanti senza soluzioni diplomatiche e operative. Papa Francesco che ci  ha tenacemente incoraggiato  alla Speranza ci ha lasciato e il suo essere “Faro” è ancora vitale mentre  la Chiesa è già in opera per eleggere un nuovo papa. Con le modalità delle forme di comunicazioni attuali – più volte sconcertanti nel deviare i dibattiti parlamentari e i confronti istituzionali – è dichiarata  la volontà  di pochi potenti    di voler cambiare il sistema mondiale con il quotidiano  proliferare di nuove paure e inquietudini. Si delineano  crisi commerciali, mortificando concretamente regole democratiche e libertà di stampa con persecuzioni di giornalisti e rappresentanti di organizzazioni umanitarie, calpestati i fondamentali  diritti umani nel  incrementare ancora più ingiustizie e atrocità in diverse comunità dove s’innalza costantemente il numero delle vittime, soprattutto di bambine e bambine, e si fa un vergognoso abuso di parole  retoriche intorno a “Pace” e “Giustizia Sociale” .

             Doris Lo moro  – dopo decenni di lavoro politico  in prima fila  anche  a  livelli prestigiosi dove ha acquisito spessore il suo lavoro come  Presidente   della Commissione Parlamentare d’inchiesta sullo sconcertante  fenomeno delle intimidazioni nei confronti  di amministratori locali, lavoro potenziato da  specifiche proposte di leggi nel 2015 –   ancora una volta ha fatto leva sul suo persistente  coraggioso senso di responsabilità: è candidata  come Sindaco di  Lamezia Terme per le elezioni amministrative 2025.

            Cittadini,  comunità della Calabria, le hanno chiesto di mettere a disposizione le competenze maturate grazie agli incarichi   precedenti perché Lamezia Terme vuole uscire da un periodo di instabilità e sfiducia, vuole il pieno recupero della credibilità dell’Istituzione comunale diventando avamposto di legalità, trasparenza ed efficienza. Doris Lo Moro  è artefice del Programma Amministrativo depositato con la candidatura che, nella presentazione di dettagliati obiettivi con risposte concrete ai bisogni ben elencati , dà evidenza alla necessità della partecipazione attiva alla politica di cittadini onesti per essere e per sentirsi parte importante nella rinascita di una città più giusta e coesa, nel rilanciare un progetto democratico con al centro il cittadino e i suoi bisogni  con ampi spazi al ruolo dei giovani. “ Dobbiamo dare stabilità al percorso di riscatto della città che faremo ripartire, perché non si torni più indietro e la nostra possa essere una città che cresce all’insegna della legalità e dell’emarginazione di ogni forma di illegalità. Per fare questo dovrà emergere una classe dirigente numerosa e plurale che si assume la responsabilità di scelte nette e sia intransigente sotto il profilo etico e politico”.     

  Rosanna Bonsignore

1) Doris Lo Moro, FORTE COME IL DOLORE  un caso di giustizia negata, Intervista di Luciana De Luca, prefazione di Luciano Violante. Edizioni  Grafichéditore , Lamezia Terme, Dicembre  2024,pag. 17

2) Ivi, pag.17

3) Ivi, pag. 21

4) Ivi pag. 26

5) Ivi pag. 25

6) Ivi pag.19

7) Ivi pag. 35

8) Ivi  pagg. 42,43,44.

9) Ivi  pag. 105

           (10) Ivi pag. 71

           (11) Ivi  pag. 89

          NB: I proventi dei diritti d’autore saranno interamente devoluti alla Scuola Primaria Statale                    “Giuseppe Lo  Moro” di Gizzeria (CZ) e ad altri istituti scolastici parimenti merite

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