E’ davvero impressionante vedere come lo scivolamento verso uno stato di guerra conclamato sia costante, progressivo.

Da un lato, Israele, con la copertura totale del Governo USA, straccia norme, regole, principi, vite in una proiezione sempre più ampia, con effetti distruttivi sempre più drammatici e in un abisso di crisi di umanità e di civiltà sempre più profondo. Poi, lo si chiami come si vuole: massacro, genocidio…ma è un intero popolo, quello Palestinese, ridotto a cosa inerme nei cui confronti vince solo la disumanità.

Siamo una piccola rivista, possiamo ben poco. E però vogliamo testimoniare il nostro punto di vista: tutti i prossimi numeri saranno aperti dalle poesie di giovani palestinesi di Gaza e non solo.

Deve pur vincere l’umanità sulla barbarie.

Seguiremo così la scia di Tommaso Di Francesco e di Mario Soldaini – vecchio intellettuale e animatore de il Manifesto il primo e giovanissimo ricercatore il secondo – con l’aiuto del nostro Mimmo Grasso, per dare anche da qui, voce a chi nonostante tutto non si piega e non rinuncia alla speranza.

E, lasciatemi dire, bella questa flottiglia che va, carica di speranza, con questi ragazzi e queste ragazze. Con diversi rappresentanti del Parlamento a cominciare dal nostro caro Arturo Scotto.

E stato di guerra è in Europa. Sempre più netto. Azioni e reazioni. Qui la ferita infetta è l’invasione della Russia nei confronti dell’Ucraina.

Una guerra distruttiva, lunga, senza sbocco: la Russia non può occupare tutto il paese invaso. Non ce la fa. Ci ha provato all’inizio ma non ne ha la forza e la capacità. L’Ucraina non potrà recuperare per via militare quel che di territori ha perso sul campo. Potrebbe farlo, in tutto o in parte, solo per via politica. Anche questo è chiaro.

Lo stallo insuperabile. La condizione migliore per giungere ad una pace. Eppure la guerra continua e si allarga. Droni sui cieli europei. Sentinella dell’Est. Un rullare di tamburi sempre più forti.

E qui davvero cresce il pericolo che non a caso il nuovo Papa avverte acutamente e non meno del suo grande predecessore: l’idea che il solo modo per risolverla la partita sia predisporsi all’azzardo della guerra totale. Il solo pensarla la predisposizione, il solo organizzarsi per la sua eventualità, nei fatti, in stato di crisi, la avvicina, corre il rischio di spalancarle le porte.

E’ uno scivolamento progressivo che occupa il panorama del discorso pubblico, le decisioni dei governi, il clima dell’opinione pubblica.

Mentre più della metà del mondo, lì dove invece l’Europa avrebbe avuto un ruolo positivo da giocare, si va organizzando intorno alla Cina.

E stato di guerra nelle società. Il disconoscimento dell’avversario, che diventa nemico da delegittimare, da annullare nella sua identità, da rendere cosa inespressiva da poter colpire. E la ricerca di sempre nuovi nemici: il migrante, il povero, l’altro, l’altra…

Si veda la vicenda di Charlie Kirk, giovane, attivista, estremista MAGA e il discorso che su questo barbaro, ingiustificabile omicidio, come lo è qualsiasi gesto che toglie la vita ad un’altra persona, la Destra sta imbastendo, dagli Usa all’Europa, con la nostra Presidente del Consiglio in testa: questa Destra che, in giro per il mondo, sta avvelenando tutti i pozzi del confronto politico; che organizza assalti ai Parlamenti; che ordisce complotti; che irride alla democrazia e al confronto e che ora tende a scaricare sulla parte avversa la responsabilità di un clima di odio e di rancore su cui invece essa ha pescato a piene mani.

E quel che mi colpisce al fondo è, di fronte alla portata e alla dimensione di questi temi, di questa travolgente accelerazione della storia, la assoluta pochezza del discorso pubblico della sinistra: i suoi balbettii; dichiarazioni stampa che si susseguono a dichiarazioni ma che non fanno discorso compiuto, indicazione di una traiettoria di visione critica, di un orizzonte, fattore di costruzione di fiducia e di mobilitazione popolare, che è la carta che invece andrebbe giocata: la voce dei popoli contro e in alternativa a tutto questo.

E allora davvero, forse, riandare a Enrico Berlinguer, al suo sforzo titanico di levare uno sguardo critico sul mondo che caratterizzò i suoi ultimi anni ( e che segnarono nel profondo la formazione di una generazione come la mia nel suo impegno politico, l’ultima con lui Segretario e vivo ), mai come oggi può rivelarsi esercizio decisivo per riprendere il filo di una matassa che ci sembra inestricabile e riaprire, qui, ora, in questo tempo, lo spazio per un altro possibile.

Ecco il senso di questo lavoro che esce, dedicato anche ad Aldo Tortorella, e che vede protagonisti alcuni tra i principali interpreti di quella generazione che venne alla politica in quel tempo: Gloria Buffo, Pietro Folena, Marco Fumagalli, Franco Giordano. E, con grande senso della misura, mi sono cimentato anche io con il tema.

Ci torneremo ancora e spesso nelle prossime settimane.

E lo faremo anche in modo polemico.

Per le rimozioni del passato che hanno colpito Berlinguer fin subito dopo la sua scomparsa. E per le deformazioni della sua figura invece ancora in voga.

E perchè, invece, misurarsi criticamente, come è sempre giusto fare, con quell’esempio, apre una gamma di strumenti interpretativi, di tensioni intellettuali, di sollecitazioni politiche indispensabili per risalire la china in questo tempo.

Proveremo a discuterne insieme a tante e tanti.

Cominciamo il prossimo 24 settembre a Firenze, grazie all’iniziativa di Marisa Nicchi.

E poi il 30 settembre a Napoli, con Antonio Bassolino e Serena Sorrentino. E, ovviamente, sempre con gli Autori. E spesso anche con il postfattore, quel giovane Pierpaolo Farina che da solo ha fatto per la conoscenza di Berlinguer più di quello che tanti suoi (presunti) eredi non hanno saputo o voluto fare.

Gianfranco Nappi

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