Il capitalismo ha vinto, la crisi del 2018 ha messo KO l’idea liberale di progresso e crescita. La globalizzazione, che ha illuso l’occidente (sarà poi vero?) con le sue promesse di allargamento al mondo della democrazia, dei diritti e del benessere, affogata miseramente nell’inasprimento delle disuguaglianze. La crisi climatica e la povertà ci presentano il conto con devastazioni territoriali e barconi di disperati ai confini. Gli stati, i governi ed anche le istituzioni sovranazionali sono inermi di fronte ai capitali che si spostano senza confini geografici e senza regole decidendo senza batter ciglio delle fortune e delle disgrazie di interi continenti. L’inefficacia della politica rende obsoleto il concetto stesso di democrazia.
Le destre, da sempre maestre di demagogia, conquistano spazio, semplificando il discorso pubblico ed indicando “nell’altro” oltre confini immaginifici, il nemico. In questo spaesamento e nel vuoto di pensiero, non v’è nulla di meglio che la guerra. Tutti a discutere su armi, soldati, ipotesi di pace e spartizione di territori mentre uomini, donne e bambini in carne ed ossa muoiono davvero. Ma si sa, le immagini fanno meno paura e poi sarà vero o sono panzane inventate che girano in rete, chi può dirlo! In questo quadro complesso e in veloce movimento si avanza, agitato come uno spauracchio o come un’attesa messianica, un nuovo ordine mondiale la cui natura è fin qui sconosciuta.
Sulla scena pubblica non avanza una nuova idea politica e neanche l’accenno di una minima prospettiva alternativa. Privi della capacità demagogica delle destre e incapaci di immaginare/elaborare una prospettiva alternativa, restiamo storditi, quando non complementari, indicando nelle destre autoritarie il nemico da abbattere. La difesa dei diritti e della democrazia è il nostro mantra, siamo infatti diventati noi i conservatori di un ordine e di un pensiero che ormai vacilla anche nelle nostre pratiche di governo, rendendoci indistinguibili e privi di credibilità. A peggiorare la situazione, semmai ve ne fosse stato bisogno, il nostro linguaggio è inutilmente incomprensibile, la nostra identità evanescente. Il Sol dell’Avvenire è andato, d’accordo, ma almeno la capacità di indicare soluzioni piuttosto che una lunga sfilza di problemi. Quando abbiamo perso la capacità di suscitare emozioni, di immaginare un futuro e magari alimentare qualche speranza.
Sarà che non ci crediamo più neanche noi, piegati sotto il peso del pragmatismo accettiamo di far diventare un banale accordo per le elezioni il principio supremo a cui tutto si può sacrificare. Ma non è mica la Santa Alleanza!
Quando abbiamo elaborato e accettato l’idea che le forme della politica fossero un valore in sé? Permettetemi lo sgomento di fronte a tanta povertà di pensiero. Possibile che ci siamo trasformati così tanto da credere che basta vincere per avere ragione ed essere i migliori. Non credo che le persone vadano a votare perché c’è un campo così grande che più grande di così non si può! Magari gli elettori/cittadini (che termine desueto!) gradirebbero qualcuno che invece di agitare paure e di elencare problemi indicasse una strada, una qualche concreta prospettiva di miglioramento, un possibile futuro. Chissà magari, credendoci si può fare.
Annamaria Patierno