Il Corriere della Sera di domenica 15 presenta più di una cosa interessante.
Intanto l’Editoriale di Paolo Mieli che con un ragionamento stringente sottopone a serrata critica le scelte del Capo del governo israeliano: da Gaza alla guerra dichiarata all’Iran. E anche l’idea che ritorna del tentativo di esportare a suon di bombe i cambi di regime. E qui quel che dice Mieli è senza appello: dall’Iraq all’Afghanistan, alla Libia, negli ultimi 30 anni non c’è un solo ‘esperimento’ di questo tipo che non abbia determinato conseguenze ancora più gravi della situazione quo ante gli interventi.
Sullo stesso quotidiano c’è anche una intervista alla Presidente delle Comunità Ebraiche d’Italia Noemi di Segni che apre più di un punto di riflessione.
Detto, per convinzione, che non bisogna mai dimenticare la difficoltà obiettiva della condizione dei cittadini italiani, ed europei, di origine ebraica in un contesto di generale radicalizzazione dello scontro così come anche di un antisemitismo che non è mai scomparso nelle nostre società e, anzi, alimentato a piene mani da una destra xenofoba e apertamente razzista, e di fronte al quale non si può rimanere spettatori inerti, ci si aspetterebbe proprio dai massimi esponenti delle Comunità ed espressione di una presenza che tanto rappresenta della storia democratica italiana, a cominciare dalla Resistenza, ben altro atteggiamento però.
Dichiarare l’essere ” orgogliosa ora della capacità scientifica e tecnologica dimostrata, sempre dall’intelligence, nelle operazioni in Iran”, o il considerare tutti ” più sicuri” dopo la guerra scatenata dal Governo israeliano per ” proteggere e rassicurare tutti i cittadini”, possiamo dire che è un tantino forzato?
Ma passiamo oltre.
Ora il tema è la bomba iraniana.
Guarda caso, quando parte l’attacco di Israele? Proprio nel momento in cui sembrava stesse per chiudersi la trattativa dell’Iran con gli USA, o comunque con essa in corso e certo non rimasta al punto di partenza. Quale effetto ha questo attacco? Esattamente quello di far saltare il tavolo di confronto.
Non è la sicurezza che si cerca con la pace, ma è la fine della guerra che si teme.
E proprio quando la pressione internazionale – di fronte alla disumanità dell’esercito israeliano a Gaza, perchè di questo si tratta, disumanità – stava diventando troppo forte da reggere, soprattutto per tutti quei paesi che fino ad ora avevano offerto copertura a quel governo, ecco che si apre un altro drammatico fronte e si dichiara guerra all’Iran.
Chiodo schiaccia chiodo.
E Gaza passa in secondo ordine: forse che non si continua a morire lì? Di bombe, di proiettili, di malattie che non si possono curare per mancanza di tutto, di fame?
Morto scaccia morto.
Ed ecco allora nuovi morti e nuove distruzioni, nuova esibizione di potenza tecnologica, che sembra suscitare orgoglio dalle nostre parti anche….
Solo che, a differenza di Gaza, ora il Capo israeliano torna paladino della lotta contro l’impero del male e ritrova sostegno politico e militare pieno da parte di tutto l’Occidente.
Governo italiano compreso. Governo che del resto , oltre frasi di circostanza, non ha mai condannato i massacri della Striscia e la disumanità di quelle condotte.
E Gaza torna nel dimenticatoio.
Morti nuovi scacciano morti vecchi e nuovi.
La verità è che prima si precostituiscono le condizioni di insicurezza dei propri rappresentati e poi si agisce per rispondere agli effetti determinati anche dalle proprie scelte proprio sui cittadini rappresentati.
A Gaza prima si è alimentata la legittimazione e la crescita di Hamas in funzione anti-Autorità nazionale palestinese e poi si sono pagate le conseguenze derivanti anche da queste scelte.
E per Trump non è diverso.
Il tanto, da lui, vituperato accordo di Obama con l’Iran aveva stabilito la soglia massima di arricchimento dell’uranio al 3,7%: proprio per tenerlo lontanissimo dalla possibilità del salto dall’uso civile a quello militare. E l’Iran aveva dovuto accettare un livello stringente di controlli dell’AIEIA. Poi, Trump stracciò l’accordo fatto dal suo predecessore. E l’Iran, di nuovo stretta da sanzioni durissime, ha stretto i suoi rapporti con la Russia e la Cina e, liberata dai controlli di quell’accordo, ha portato il livello di arricchimento al 60%.
Certo che l’ha fatto l’Iran e ne porta la responsabilità.
Ma si può dire che gli USA di Trump non condividano questa responsabilità?
E ancora in queste ora quando si vede la potenza militare e tecnologica militare di Israele a fronte di quella davvero minima dell’Iran che dimostra di non poter essere su questo terreno una minaccia, almeno fino ad ora.
Attenzione però, perchè un avversario messo con le spalle al muro, disperato, può compiere qualsiasi follia: diffusione di un cieco terrorismo? Ma forse è proprio a questo che il Governo israeliano punta: per coinvolgere poi direttamente nella risposta USA e altri paesi occidentali, in una più generale deflagrazione.
Non si cerca la sicurezza con la pace, ma è la fine della guerra che si teme.
Bello il titolo de il Manifesto dell’altro giorno, quando un titolo vale un editoriale:
ORDINE DI GUERRA.
Questo ci porta ad un’ultima considerazione sulla quale potrà convenire tornare.
Il caos e la guerra permanente come strategia di governo. Come nuovo ordine appunto.
Questa sembra essere la strada disperata di una nomenclatura politico-militare-finanziario-tecnologica tanto forte quanto incapace di disegnare scenari di futuro comprensivi anche delle ragioni dell’altro e del pianeta, che rimane, bene o male, l’unico posto dove possiamo vivere.
Solo che quest’ ‘altro’ rappresenta oramai oltre il 75% della popolazione mondiale e questo pianeta con il suo clima è sul punto del collasso, proprio per effetto dell’insieme delle scelte vincenti e disperate di questa nomenclatura.
E comunque questo ‘mondo nuovo’ che ci viene consegnato ci chiede di ripensare tutto se davvero vogliamo strappare il nostro futuro dalle loro mani.
E ritorna un bisogno prepotente di Politica.
Mi ripeto: se cercate la risposte nell’esistente politico, italiano ed europeo, della sinistra temo che difficilmente vi si ritroveranno.
E credo che prima si acquisisce questo, e prima si può aprire un’altra prospettiva.
Fino a prova contraria.
Ma intanto, quella piazza del 7 giugno a Roma, quelle rappresentanze politiche, agiscano con fermezza, dal Parlamento Europeo ai Consigli Comunali per chiedere il blocco della guerra, il blocco di finanziamento e di riarmo ad Israele, il blocco dell’occupazione di Gaza e la restituzione del diritto alla vita a due milioni di persone, oggi sotto sequestro ad opera di un governo straniero.
Ora ,è questo il tempo.
Gianfranco Nappi