L’intervento di Vito Nocera sui risultati referendari ha centrato il problema di questa fase storica per la sinistra che è quello della mancanza di un referente sociale. Vito, con le sue indubbia capacità letterarie quasi poetiche, pur tenendo conto delle profonde trasformazioni del modello produttivo, avviate dagli anni settanta con i processi di ristrutturazione industriale che, attraverso un intenso decentramento produttivo, hanno indebolito la forza sindacale operaia, ritiene che oggi bisognerebbe partire dalle oramai ridotte concentrazioni operaie intorno a cui aggregare tutte le figure del lavoro disperso, nei servizi come nella ristorazione, nella cura delle persone come nel lavoro intellettuale.
Un’impresa che appare ardua, non solo perché sono figure diverse e frammentate, ma perché non siamo più di fronte alle grandi concentrazioni operaie dell’epoca fordista. Le imprese presenti e attive nei territori sono imprese medie. Dimensione scelta proprio perché ne favorisce la mobilità, pronte a muoversi verso aree e Paesi dove il costo del lavoro è più basso e le normative di tutela sono più blande. Il sindacato è bloccato nelle battaglie in difesa dei livelli occupazionali perduti, ogni volta che un’impresa si trasferisce dall’Italia. Uno stillicidio continuo che impedisce di darsi obiettivi più avanzati.
Il decentramento produttivo ha indotto anche un altro problema, poiché micro e piccole imprese hanno abbandonato le aree urbane per delocalizzarsi in aree periferiche e periurbane, in diversi casi disperdendo residui di lavorazioni nell’ambiente (dall’aria alle acque dei fiumi) come metodo per abbassare i costi di gestione dei rifiuti industriali. In Campania non mancano i disastri prodotti: dalla Terra dei Fuochi nel giuglianese e aree limitrofe, così come per lo stato del fiume Sarno, uno dei fiumi più inquinati d’Italia o al sistema dei Regi Lagni.
Un disastro ambientale che frena il successo del nostro Made in Italy agro-alimentare sui mercati internazionali, poiché il solo sospetto di acquistare prodotti potenzialmente inquinati ne frena lo sbocco sui mercati.
Eppure le uniche lotte sociali a cui oggi siamo di fronte sono proprio nei territori dove sono attive micro e piccole imprese, oggi al 95% in Italia e al 96% in Campania. Solo che nessun partito o forza sociale è sceso in campo a fianco delle aggregazioni sociali spontanee sorte in difesa della salute, lasciandole prigioniere del rancore e della disperazione.
Eppure il territorio può rappresentare il luogo principale dell’aggregazione sociale, in cui sperimentare nuove forme di partecipazione, coinvolgendo tutte quelle figure del lavoro disperso citate da Nocera investendo anche i lavoratori delle micro imprese, costruendo aggregazioni orizzontali a difesa dei diritti dei lavoratori e dell’ambiente, che sono oggi una cosa sola, dato che sono proprio le imprese ad inquinare.
Difendere l’ambiente territoriale significa anche difendere il successo che le esportazioni dei prodotti del nostro Made in Italy stanno ricevendo sui mercati internazionali, valorizzando risorse nascoste e non valorizzate.
Per farlo è necessario sensibilizzare le istituzioni più prossime ai territori, rendendo le popolazioni partecipi e non spettatrice passive di decisioni prese dall’alto. Ciò andrebbe fatto costruendo modelli d’istituzioni locali partecipate, in osmosi continua con la popolazione, sorvegliando ed eliminando la corruzione.
Non è facile, poiché si tratta di aggregare figure sociali diverse, ma con in comune il territorio in cui vivono e lavorano, dando loro una prospettiva di miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro.al contrario, inseguire tematiche di opinione, indire un referendum mischiando tematiche molto diverse tra loro, sapendolo perso già in partenza, chiudersi in campi larghi o stretti, senza un certosino lavoro territoriale, lascia l’esaltazione del momento ma non sedimenta una forza di contrasto e di cambiamento permanente.

Achille Flora


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