Un rebus per Leonardo Sciascia
Silvana La Spina
Giallo
Marsilio Venezia
Pag. 318 euro 15
2025
Racalmuto, Agrigento, Sicilia. Seconda metà di settembre 1985. Di notte, un
colpo di pistola alla tempia uccide sua eccellenza Aurelio Arriva, sessantenne
vedovo, già presidente della Corte di Cassazione a Roma, grande famiglia
siciliana, locali parenti vescovi, patrimonio ingente (ereditato perlopiù), in
attesa di risposarsi con una signora bene della capitale. In casa era presente
solo l’accigliata figlia Elena, alta e sottile, magnifica capigliatura e occhi cerulei;
bionda e di incarnato roseo, la madre (da tempo morta) era inglese. Gli
investigatori pubblici si mobilitano. Alla caserma dei carabinieri il giovane
capitano, alto e robusto, capelli biondi e occhi chiari, che viene dal Nord Italia
(forse dal bresciano) ed è ora in missione da Palermo, accoglie il giovane
introverso procuratore Biagio Villari, in arrivo da Lipari seppur originario di
quelle parti (nipote di don Calò, proprietario di alcune zolfare dei dintorni),
riservato scrittore di raccolte poetiche, separato da Francesca. I due non sono
del tutto convinti che si tratti di suicidio. Quel giorno è la festa di Maria
Bambina, coincide con la fine dell’estate e la città è distratta, piena di gente
bancarelle spettacoli, soprattutto intorno alla piazza, su un cui lato si trova il
pettegolo circolo cittadino dei benestanti, professionisti tracotanti e senza
scrupoli, reciprocamente accidiosi. Via via si diffonde la clamorosa notizia.
All’arciprete don Lillo Di Prima la riferisce la stessa Elena andando in sacrestia
a trovarlo. Rievocano quanto accaduto quasi dieci anni prima: Viviana, cinque
anni, nipotina di Aurelio e figlia di Elena, era caduta nella gebbia della loro
proprietà, morta. Il parroco va in caserma a parlarne e trova Manlio Marino,
cinquant’anni, maresciallo dell’Arma da venti; discutono della diffusa voce di
recenti lettere anonime ad Arriva, pratica antica e variegata; anche don Lillo le
riceve per la discussa relazione con la cognata, vedova del fratello. Colà vive in
un villino di campagna Leonardo Nanà Sciascia con la moglie, in quei giorni
angustiato per l’ictus occorso a Calvino. Un tempo erano amici con Aurelio, poi
si allontanarono; lo coinvolgono, finisce per indagare anche lui, a distanza.
L’ottima esperta scrittrice Silvana La Spina (Galleria Veneta, 1945) narra con
perizia e sensibilità il mitico splendido paese siciliano in cui è vissuta da
bambina, quell’epoca di umori ed emozioni, di chiacchiere e ipocrisie, di
malignità e invidie, di sottili rivalità e pure di amicizie solide, anche di
complesse relazioni fra i grandi scrittori incontrati allora e frequentati ancora:
la bonaria curiosità di Sciascia, l’incisività di Bufalino, la capacità linguistica di
Consolo, la furia surreale di Bonaviri e, naturalmente, l’umanità del grande
Calvino, vero collante fra tutti, loro siciliani e tanti altri. Sullo sfondo emergono
storie dal passato, come l’oscuro sequestro Panebianco che vide coinvolta la
vittima: oltre una decina di anni prima Enzo, l’unico figlio di ricchi imprenditori
ancora viventi, era stato rapito, sequestrato, nascosto e ucciso; nonostante
l’intermediazione di alcuni notabili locali, i tre miliardi di lire versati ai criminali
e il corpo mai ritrovato; due dei probabili artefici furono poi a loro volta
assassinati, ma il processo giudiziario terminò con un non luogo a procedere, il
mandante arricchitosi non era stato individuato. Quella non risulta
propriamente cittadina di mafia, troppo “ingenua” la popolazione, si dice;
ovviamente si perpetuano meccanismi simili di relazioni politiche e sociali;
ovunque e sempre aleggia il piccolo furbo sempiterno onorevole La Matina. La
narrazione è in terza varia al passato, con qualche raro breve corsivo in prima
di Elena. Il protagonista resta ovviamente soprattutto Leonardo Sciascia
(Racalmuto, 1921 – Palermo 1989) col suo accurato contesto di personaggi,
pubblicazioni e visioni; a todo modo, è lui che, di soppiatto e di fatto, risolve i
vari intrecci gialli (da cui titolo e copertina), pur se forse varrà la sua stessa
abitudine per cui alla fine il cattivo non paga mai. Incipit cauto, poi notevoli i
tempi ed eccelsi i dialoghi; innumerevoli gli scrittori e i romanzi in vario modo
richiamati; l’amato Pirandello emerge su tutti, richiamando proprio “quel teatro
assurdo” che era il paesino, “con i suoi segreti, le sue menzogne e le sue
rivalità”. La banda suona l’Aida alla festa. Immancabile vino sfuso, ancora poco
si faceva riferimento alle DOCG a quel tempo.
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Giovanni Berlinguer. Gli studi e l’impegno politico
Sebastian Mattei e Fabrizio Rufo
Biografia, Storia
Carocci Roma
Pag. 183 euro 21
2024

Sardegna, Roma, Terra. Città e periferie, borgate e istituzioni. Da cento anni fa
in avanti. E oltre. Giovanni Berlinguer nacque a Sassari alle 6 e 20 di mercoledì
9 luglio 1924, secondogenito di Mario (1891 – 1969), avvocato antifascista,
pure giornalista e poi parlamentare (dal 1924 al 1926, eletto nelle liste
dell’opposizione costituzionale, dopo l’Aventino si ritirò a vita privata), e di
Mariuccia Loriga, figlia di Giuseppina Sarta Bianca e del celebre igienista
Giovanni, una figura che rivestirà un ruolo centrale nell’avvicinamento del
nipote ai temi della scienza e della medicina sociale. Come noto, il futuro
segretario del Partito Comunista Italiano era il suo fratello maggiore Enrico, di
due anni più grande (nato il 25 maggio 1922). Entrambi divenne ben presto
comunisti italiani, Giovanni attivo soprattutto nella definizione di aggiornate
politiche sanitarie. Scrittore di articoli, tesi e saggi sulle condizioni sanitarie e
demografiche delle popolazioni nelle città; medico e docente universitario,
autore di nuove ricerche e indagini sulle malattie derivanti da lavori
particolarmente usuranti, sulle pulci e altri parassiti, sulle prime campagne di
vaccinazione; ecologista scientifico della prima ora, sempre più indirizzato sulla
bioetica; deputato italiano dal 1972 al 1983, senatore dal 1983 al 1992,
europarlamentare dal 2004 al 2009, Giovanni Berlinguer costituisce una
straordinaria personalità della cultura italiana dell’ultimo secolo, riferimento
indispensabile nel dibattito nazionale e internazionale nelle politiche sulla
salute, in particolare per il decisivo contributo alla realizzazione delle tre leggi
sanitarie del 1978. Se ancora non sapete chi è, forse è il caso di documentarsi;
se già lo sentiste nominare, riflettiamoci ancora sopra.
Il giovane archivista Sebastian Mattei, dottorando in Scienze del libro e del
documento alla Sapienza di Roma e l’esperto docente Fabrizio Rufo (1966),
professore associato nel Dipartimento di Biologia Ambientale sempre della
Sapienza, ripercorrono la biografia di Giovanni Berlinguer, offrendo una sintesi
del suo percorso militante e scientifico, dell’iniziale contesto sardo, poi romano,
accademico e politico, e facendo ampio positivo ricorso agli scritti, alle
interviste, ai discorsi pubblici e alla documentazione visionata grazie
all’archivio privato (ora conservato presso la Fondazione Gramsci). È sulla base
di ottimi preliminari testi come questo che possono svilupparsi ulteriore
ricerche e approfondimenti, confronti e dibattiti fecondi su molti temi scientifici
e culturali di grande attualità, come gli autori stessi riconoscono. Viene
giustamente sottolineato il ruolo svolto nell’indimenticabile irripetuta stagione
riformatrice degli anni Settanta, innanzitutto per le tre leggi innovative e
ancora in vigore (pur non sempre e ovunque bene attuate): l’istituzione del
Servizio sanitario nazionale, la riforma del sistema psichiatrico (“Basaglia”), le
norme sull’interruzione di gravidanza. Se questo costituisce forse “il punto più
alto” di azione per una personalità capace di operare magnificamente “lungo la
sottile linea di demarcazione tra politica attiva e professione medica”,
maturando un apprezzamento diffuso ben oltre i suoi stessi compagni e
compagne di partito e di università, Giovanni Berlinguer ha cosparso la propria
esistenza sociale di mitezza e acume, stimolando studi e spunti in innumerevoli
campi delle esperienze biologiche e umane sul nostro pianeta (per esempio
sull’isomorfia e sul principio isomorfico). La narrazione è cronologica, distinta in
18 capitoli e cinque parti: La famiglia, gli studi e la formazione politica; Nel
partito di Togliatti e di Longo (1956-1972); Nel vivo dell’attività parlamentare
(1972-1983); Nuove sfide (1983-2009); Conclusioni (morì il 6 aprile 2015,
dieci anni fa). Segue un indice dei nomi, verificabile.
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L’enigma del patriarca
Sergio Fanucci
Thriller Crime Noir
Fanucci Roma
2025
Pag. 412 euro 16,90
Il convento si trova sulla strada che sale per il monte San Vicino in provincia di
Macerata, ospita appena undici frati. Arriva da Roma l’alto prelato monsignor Giulio
Abbate dell’Archivio Apostolico Vaticano, incontra il priore 93enne Fra Bartolomeo,
gli fa capire che l’anno scoperto ed esce. Lui chiama il novizio Martino, lascia in
consegna tre lettere e parte per la capitale, sa quel che dovrà fare là. Con “L’enigma
del patriarca” l’ottimo scrittore Sergio Fanucci (1965) inaugura una nuova trilogia,
principale protagonista ancora l’avvocata italo-americana Elisabeth Scorsese, figlia
del capo dei servizi segreti statunitensi, ora rifugiatasi a Venezia dopo gli ultimi
avvenimenti che l’hanno sconvolta. Viene avventurosamente chiamata in causa per
loschi traffici di manufatti antichi, mentre in parallelo seguiamo Anna Pareto, brava
docente di Storia delle religioni dall’Università di Torino verso gli intrighi del
Vaticano e i segreti di Gerusalemme, in mezzo ad altri frenetici crimini.
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Scrivere dal vero. Manuale di giornalismo narrativo
Riccardo Staglianò
Sellerio Palermo
Con un’antologia di esempi da Tom Wolfe a Davir Foster Wallace, da Emmanuel
Carrère a Joan Didion. E molti altri fuoriclasse
2025
Pag. 388 euro 15
Mondo sapiens. Certo, si può insegnare a scrivere. Da tempo abbondano le scuole di
scrittura creativa, rivolte soprattutto alle opere di finzione. Esistono pure modi,
tecniche, dispositivi per rendere la scrittura giornalistica più e meglio narrativa, lo
“Scrivere dal vero”. Il bravissimo giornalista Riccardo Staglianò (Viareggio,
1968), da decenni collaboratore del Venerdì di Repubblica (cui il testo è dedicato),
sulla base anche dei propri corsi e delle proprie varie lezioni, ha realizzato una vera e
propria utilissima guida per rendere vivo un resoconto, coinvolgendo il lettore e
invogliandolo a ulteriori letture e approfondimenti. I capitoli sono dedicati alla prosa
di tre grandi scrittori “occidentali” (Wolfe, Wallace, Carrère), poi ad alcuni
sudamericani (García Márquez, Villoro, Caparrós, Chang), ai “ritratti” di Joan Didion
ed Eliane Brum. Conclude con un epilogo istruttivo e l’appendice di un “breve
manuale pratico a partire da me stesso”. In fondo la bibliografia.