Qualche anno fa, in uno dei nostri incontri – diventati inevitabilmente più radi con l’avanzare dell’età – mi lasciai andare con Giancarlo a una battuta che illuminò il suo solito, complice sorriso: “Ci pensi? Noi due ci conosciamo da più di cinquant’anni, che vergogna!” Voleva essere un modo scherzoso di ammiccare e di imprecare all’avanzante vecchiaia. E lui replicò serio che erano più di cinquant’anni di amicizia quelli che ci legavano.
Già, un’amicizia vera, che prima del terribile incidente a Lucia, sua moglie, eravamo riusciti per qualche tempo a cementare con reciproche visite alle nostre abitazioni a Napoli e a Salerno. E ci teneva molto, specie negli ultimi anni, nella solitudine in cui relegano il declinare delle forze e la mancanza della presenza solidale della compagna di vita, a rimarcare quanto fosse importante per lui l’amicizia e quanto ci tenesse al nostro antico rapporto.


Era nata nel 1972 questa amicizia, quando, studente universitario imbevuto di idee sessantottine, seppi che al Politecnico era iniziato un corso alternativo di Composizione Architettonica tenuto da un giovane libero docente. Mi ci fiondai subito e conobbi Giancarlo, con il quale si instaurò subito un rapporto di rispettosa confidenza che mi portò a sostenere con lui la mia tesi di laurea.
Dopo qualche anno cominciai a frequentare lo studio, il famoso studio di Luigi Cosenza a Mergellina, che diventò il riferimento principale della mia formazione. Da allora accompagnai Giancarlo collaborando alle sue più importanti avventure professionali, la caserma dei carabinieri a Capri, la mensa Mecfond a Gianturco, il mercato ittico di Pozzuoli, il museo archeologico nazionale di Pontecagnano.
Furono le avventure che mi fecero conoscere l’architettura vera, ma che soprattutto mi fecero capire la statura di Giancarlo, la sua straordinaria affabilità, l’incapacità di creare barriere e distanze con chi lo avvicinava e gli collaborava, mai disgiunte però da un’intransigenza incrollabile, una coerenza inflessibile sulle idee, sulla politica, sull’onestà, un’intransigenza che lo portò perfino a rinunciare a incarichi importanti quando la scelta politica che li sottendeva tradiva la sua visione di sviluppo territoriale, di sostenibilità e di equità sociale.


Questa visione si riverberava nel suo approccio alla progettazione che passava sempre attraverso un serrato confronto preliminare con chi doveva beneficiare dell’opera di architettura, dai pescatori di Pozzuoli alle maestranze della FMI-Mecfond. L’architettura e l’urbanistica erano in primo luogo strumenti di giustizia sociale. L’inseguimento ostinato di questo obiettivo fu ciò che, come era prevedibile, limitò fortemente il suo successo, tra gli arrembaggi spregiudicati che caratterizzarono politica e professionalità a partire dagli anni ’80, e rese problematico e difficile il suo rapporto con il partito nel quale aveva sempre militato con disciplina esemplare e mal ricambiata. E lo rese caro a me, che l’ho sempre considerato mio riferimento e maestro, esempio di nobile dirittura da emulare. E gli fa lasciare oggi un vuoto incolmabile nella migliore cultura napoletana.

Alfonso De Nardo

Alcune immagini dell’ultimo incontro di Infinitimondi con Giancarlo: la presentazione, lo scorso 5 marzo, a SUDD, dello Speciale dedicato a Luigi Cosenza a cui lui stesso aveva dato un contributo fondamentale insieme a Gianni.


Vuoi ricevere un avviso sulle novità del nostro sito web?
Iscriviti alla nostra newsletter!

Termini e Condizioni

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *