Ho avuto il privilegio di conoscere Ali Rashid. Di avere condiviso con lui tanti momenti, tante discussioni, tante iniziative. Mi piace condividere le parole e il ricordo di Tommaso Di Francesco da il Manifesto di oggi: lì c’è tutto l’essenziale per una perdita così grande e un dolore così profondo.

Un solo ricordo.

Alla fine degli anni novanta, ero in Parlamento e provammo una iniziativa internazionale di pace basata sulla salvaguardia dello straordinario e unico patrimonio archeologico iracheno. E così, con una Fondazione culturale nata a Napoli, d’intesa con il nostro Ministero degli Esteri e l’impegno dell’allora Sottosegretario agli Esteri, il caro Rino Serri, organizzammo anche una missione culturale a Baghdad. Arrivati ad Amman partimmo da lì in jeep per attraversare nel deserto i circa 1000 chilometri che ci separavano dalla capitale irachena. Si aggregò a noi la troupe di Alberto Angela che poi ritrovammo anche in visita alla missione archeologica di Mosul dove lo scavo era gestito dall’Università di Torino. Fu una esperienza straordinaria. Senza esiti. Poi, dopo quella del1991, nel 2003 arrivò l’invasione americana con tutto quello che conosciamo di distruzioni, lutti, saccheggi legalizzati: non credo sia mai stato fatto un elenco di giacimenti archeologici delle più antiche civiltà mesopotamiche, vero patrimonio di tutta l’umanità, andati distrutti per sempre.

Con noi, figura fondamentale di tuttala missione, con generosità, passione e spirito militante, ci fu Ali Rashid, con la sua sconfinata cultura, con la sua non meno sconfinata umanità. Porto con me il ricordo di ore e ore di suo racconto, di gioia per essere in una zona del mondo di cui sentiva profonde le radici ed anche della sofferenza mai sopita per doverne essere lontano.

Sofferenza sua cresciuta in tutti questi anni di eclissi della questione palestinese, fino alle vicende recenti. Drammatiche.

Ho visto le immagini del Giro d’Italia che in queste ore ha attraversato Irpinia e Napoletano. Lungo le strade tanti tifosi. E tante bandiere palestinesi: di denuncia; di solidarietà.

Credo gli sarebbero piaciute.

Gianfranco Nappi

***

ALI RASHID. IL CORAGGIO GENTILE DELLA LOTTA

È morto Ali Rashid. Era nato nel 1953 ad Amman primo rifugio dalla Palestina di una
famiglia di Gerusalemme
costretta addirittura a cambiare cognome dal regime hashemita
che nel ’70 massacrerà i palestinesi. Era un militante di sinistra di Al Fatah. È stato
segretario nazionale del Gups, l’Unione degli Studenti palestinesi, aveva fatto parte
dell’Unione degli scrittori e giornalisti palestinesi e, dal 1987 per molti anni è stato il Primo
Segretario della Delegazione generale palestinese in Italia, dove aveva fatto parte di
Democrazia proletaria, eletto nel 2006 come deputato per Rifondazione comunista (si era
ricandidato nel 2008 per Sinistra Arcobaleno e nel 2024 con Pace Terra Dignità, senza
essere rieletto). Ma queste scarne righe sulla sua vita politica non rendono appieno la sua
forza, il suo coraggio instancabile, la sua dolcezza nonostante tutto.


Nella sequenza di addii in questa epoca alla deriva di senso e di futuro ho spesso usato, con
sincerità, l’espressione «per me era un fratello».
Stavolta l’espressione è più vera, lui è
stato più fratello che mai. Con lui ho condiviso quasi quaranta anni di appassionata quanto
disperata vicinanza per la lotta e la tragedia del popolo palestinese.
Ora se ne va proprio nel giorno del 77° anniversario della Nakba, la catastrofe della
cacciata di quel popolo nel 1948 da parte delle milizie e dell’esercito israeliano dalla propria
terra e dalle proprie case; e nei giorni in cui i palestinesi muoiono in massa tra le rovine di
Gaza e nella nuova colonizzazione della Cisgiordania; hanno fiato solo come bersagli di un
sanguinoso tiro al piccione dell’esercito di Netanyahu, abbandonati da tutti e
nell’indifferenza del cosiddetto civile e democratico Occidente mentre si consuma un
genocidio. Il suo cuore non ha retto, si è spezzato.

Chi può reggere il dolore provato a
distanza e nell’impotenza opprimente di fronte alle scene di stragi che arrivano tra bambini
e donne che si contendono tozzi di pane?


Che resta ai palestinesi come arma se non la scrittura e la presa di parola, ci dicevamo.
Così nell’ultimo anno insieme abbiamo organizzato molte presentazioni della terza edizione

de “La terra più amata. Voci della letteratura palestiinese”, curata con l’altro fratello di
Palestina, Wasim Dahmash: per un’idea di “Divano” che recuperasse almeno le ragioni dei
poeti, da Goethe a Mahmud Darwish. “Nel Diwan – mi scriveva proponendo il testo di
presentazione delle iniziative a Firenze – scorrevano le parole verso l’infinito. Rispettose e
cordiali, si spogliavano dal piglio del dominio e si ammantavano dell’ansia di comunicare.
Poeti, narratori e cantastorie…si alternavano sul palcoscenico che durava tutto l’anno.
Passato, presente e futuro con filo ininterrotto per non smarrirsi nel vuoto… Protagonisti
sono le parole che sfilano come la seta dai gelsi e lasciano indelebile il segno sul quaderno
della notte. Solo il chiarore della mente a farci lume nella ascesa verso le nostre ardite
deduzioni».
«Nel Diwan – continuava – rinascerò da me stesso e sceglierò lettere capitali per il mio
nome, in questo presente senza tempo e senza luogo. Ormai nessuno ricorda come
abbiamo varcato l’indicibile e ci siamo accorti che non siamo più capaci d’attenzione. Per
non sentirci dire un giorno “era mio padre quell’uomo in pena da far sopportare a me la sua
storia”. Questa nostalgia, che né l’oblio ci allontana né il ricordo ci avvicina, questa
tensione verso l’altro che è in noi non si risolve nel soggetto pensante – concludeva – ,
quello che Marx in parole suggestive definisce “il sogno di una cosa”, il soggetto umano che
attende il tempo che non c’è ancora, l’uomo inedito, in tensione verso il futuro, verso il suo
adempimento per creare il futuro che non è più certezza ma è una pura ipotesi. Il futuro ci
sarà se lo avremo creato». Questo era Ali.


Ora ai palestinesi non resta neppure Ali Rashid. Dalla voce pacata, sommessa che però
pretendeva l’ascolto e l’otteneva,
anche dai nemici. È stato per tutti noi il vero e degno
rappresentante della Palestina. Non si è mai risparmiato in una vita fatta di esilio e dolore –
negli anni ’90 il Pd prendeva sprezzante le distanze dai palestinesi. Contro ogni
sopraffazione è stato un costruttore tenace quanto inascoltato di pace. Addio Ali.

Tommaso Di Francesco
Chi volesse salutare Ali Rashid potrà farlo venerdì 16 maggio a Orvieto, presso la
Sala Expo del Palazzo del Popolo dalle 10 alle 17.30

da il Manifesto del 15 maggio 2025

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