DURANTE
Parliamo tutti al futuro. Farò …dirò …, quando tutto sarà finito …. incontrerò, quasi che con le parole volessimo cancellare il nostro “durante”. Ma è “durante” la mia parola-chiave di questi giorni. Intanto perché questo “durante” si allarga, si allunga. Ancor più perché il “durante” non è un tempo sospeso, un intermezzo, ma un tempo che stiamo vivendo, che va lento o corre in modo inatteso. Un tempo nel quale le nostre esperienze si condensano, si inabissano come in un buco nero, talvolta improvvisamente riappaiono e tanto intorno a noi appare diverso, o siamo noi diversi.
Quando insegnavo nei licei, era prassi paragonare l’Ulisse di Joyce all’Ulisse omerico. Il peregrinare per 20 anni dell’eroe antico che per le esperienze accumulate muta tanto, al punto da non essere riconosciuto nella sua Itaca quando vi ritorna, veniva paragonato alle 24 ore di Leopold Bloom a Dublino, ore vissute apparentemente senza che nulla lo modifichi, ritorna a casa com’era. Ecco, spiegavo, la dimensione del tempo nel ‘900 cambia … la relatività … la soggettività … bla bla. Oggi mi trovo a viverla questa dimensione del tempo diversa. Inaspettatamente. E faticosamente cerco di metterci i piedi dentro. Oggi, cosa faccio? Questo “durante” non voglio subirlo, voglio riempirlo, renderlo fruttuoso, dargli un senso. Trovo stucchevole la discussione se “dopo” saremo migliori o peggiori. “Il coronavirus ci ha tolto l’abuso dell’uso del futuro”, ha opportunamente osservato lo scrittore Stefano Massini. Ci ha risvegliati dal senso di onnipotenza, da una sorta di oblio della coscienza nella rincorsa ad una prosperità illimitata. Nulla tornerà “come prima”, ce lo sentiamo ripetere, e c’è un’intonazione di rimpianto nella voce, ma il “come prima”, in fondo, ci servirebbe? “Siamo ad un banco di prova per la nostra umanità”, ha detto il presidente tedesco Steinmeier, parlando delle conseguenze della pandemia. Parole un po’ retoriche, ridondanti? Forse. Ma la situazione è questa. Siamo ad un punto di svolta. E se intanto godo di alcune bellezze che ritornano, il cielo terso, i colori vividi delle piante, il mare con delfini e polipi che si avvicinano alla riva, tutte bellezze che non costano, penso che dovremmo proprio mettere la “cura del creato” in cima agli impegni da perseguire. E cosa mettiamo in campo per le tante solitudini, fragilità, di persone sole, anziani, con disabilità, che magari ignoravamo e invece in questi giorni vediamo da vicino? Ci ha colpito tanto la solidarietà del “panaro sospeso”, come farla diventare una “solidarietà istituzionale”? Possiamo utilizzare l’aumentato uso delle tecnologie digitali per ipotizzare, costruire relazioni, progetti da mettere in campo subito? Con alcune amiche ed associazioni ci stiamo provando, “durante” le nostre 24 ore tra le mura di casa.

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3 commenti

  1. Leggo il tuo articolo e ripenso ad Alessandro Manzoni, e alla frase conclusiva del Cardinale a Don Abbondio (i Promessi Sposi, cap. XXVI): “Ricompriamo il tempo: la mezzanotte è vicina”. Il tuo “durante” è un invito a guardarsi dentro e intorno a noi. E c’è tanto bisogno di farlo ora, oggi e subito.

  2. Complimenti Roberta per questa approfondita riflessione, che non è solo una riflessione. È contemporaneamente una onesta analisi del presente, un piccolo manuale esistenziale senza retorica ed una fattiva proposta partecipativa. Si può non essere d’accordo?

  3. Non ho nostalgia di quel “prima” che non aveva più valori e nel quale, molto spesso, mi trovavo a disagio, ma altrettanto disagio provo aspettando quel “dopo” così inimmaginabile che ti fa vivere sospeso in una bolla nella quale felicemente vivi e condividi ogni minuto con i tuoi cari ma che, nello stesso tempo, aspetti con ansia che scoppi per ricominciare una vita migliore che prenda insegnamento da tutto ciò che stiamo vivendo

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