PER UNA RINNOVATA CULTURA DEL TERRITORIO

Un passo avanti è stato fatto. L’incontro promosso lo scorso 11 marzo è stata un’occasione di confronto tra rappresentanti delle Associazioni e del Comune di Nola sul tema del “Consumo del suolo”, fenomeno emergenziale per quanto è avvenuto negli ultimi anni nell’area metropolitana, connotato da una accelerazione sorprendente negli ultimi anni, soprattutto nel territorio di Nola.

Preservare il territorio rurale, risorsa preziosa e caratterizzante storicamente questi lembo dell’ex Campania Felix, è stato il denominatore comune degli interventi. Tante le criticità che sono emerse dal dibattito. Buona l’occasione per valutare come porvi rimedio in relazione al particolare momento di avvio della redazione del PTM, Piano Territoriale Metropolitano, e del PUC, Piano Urbanistico Comunale di Nola.

L’attenzione degli intervenuti al dibattito è stata rivolta soprattutto alla febbrile attività del Consorzio ASI che, nonostante l’occupazione già di circa 10 milioni di metri quadri nel solo territorio di Nola, in cui sono compresi il CIS/Interporto/Vulcano Buono/NTV, pare proporre ulteriori ampliamenti, sostenuti anche dalla attribuzione all’area della qualifica di Zona Economica Speciale (ZES).

Intanto il giudizio su quanto finora fatto è severo. Siamo diventati un territorio dalle fortissime criticità ambientali con l’inquinamento da Pm10 che ha raggiunto un triste primato negativo, con pesanti  riverberi sulla salute di tutti con un forte aumento di numerose tipologie di malattie connesse a questo tipo di emissioni. La convulsa attività costruttiva, con capannoni in gran parte di tipo commerciale, a basso indotto occupazionale, sta avvenendo in modo disordinato, sconvolgendo lo storico reticolo di scorrimento delle acque piovane, causando allagamenti diffusi dei suoli e chiusura di strade importanti. Intanto crescono gli immobili dismessi. Il CIS ed il Vulcano Buono (?) sono in profonda agonia, tanti i manufatti inutilizzati, con svuotamento peraltro del centro urbano che ha assunto un tono desolante. Uno spreco di terreno agricolo fertilissimo che, ricordiamolo, ha molteplici valori: filtraggio acque per alimentazione pulita delle falde; riserva di miliardi di micro organismi, anche in una manciata di terreno, a supporto della biodiversità; cattura di almeno il 20% di CO2 presente nell’atmosfera; fonte alimentare per eccellenza; cornice insostituibile dello storico paesaggio agrario.

A tanto vanno aggiunta, poi, gli effetti della furia costruttiva ai margini del centro edificato di Nola con strutture commerciali di varia natura, con l’esplosione in particolare di super/iper mercati alimentari, nonostante la perdurante decrescita demografica, che ha saturato i residui spazi verdi sopravvissuti.

Si stanno definitivamente perdendo quei caratteri identitari che fornivano bellezza ed attrattività che storicamente erano riconosciute a questa parte della piana campana.

Insomma un quadro desolante cui porre rimedio gli atti pianificatori in corso di elaborazione, a patto di una forte attenzione alle scelte che si stanno facendo.

Soprattutto il Piano Territoriale Metropolitano , cui è affidato il principale ruolo di tutela e salvaguardia di questo territorio martorizzato, con regole su scala vasta. Allo stesso compete definire le scelte strategiche a livello sovracomunale, le infrastrutture del trasporto pubblico e veicolare, i servizi di livello superiore (sanità, università, … ), compensando ciò che non è stato fatto finora, restando a tutt’oggi la provincia di Napoli, oggi Città Metropolitana, l’unica a non avere il Piano Territoriale di coordinamento, provocando la redazione poi di piani di livello comunale (PUC) privi di riferimento, elaborati nella logica di … un tema a piacere .

Dalla discussione svolta sono comunque pervenuti segnali incoraggianti dai rappresentanti dell’Amministrazione Comunale, che hanno assicurato una tenuta sul tema. “Anche su questo tema saremo fermi e decisi, assolutamente votati alla logica dell’interesse del territorio quale che siano le conseguenze che questo atteggiamento può comportare”, ha concluso il sindaco Carlo Buonauro  

C’è molto da fare però se si vogliono ottenere risultati concreti. E’ necessario fare proposte coerenti e concertate tra le Amministrazioni Locali, coadiuvate da Associazioni e portatori di interessi specifici.

Alcune questioni hanno carattere prioritario.

Una prima è la revisione della esclusiva ed assoluta autonomia della gestione da parte del Consorzio ASI delle aree di propria competenza. A colpi di Varianti che vengono approvate direttamente dalla Regione Campania, per le quali i Comuni interessati possono poco o nulla. Siamo nel solo comune di Nola ad una occupazione di circa 10 milioni di mq tenendo conto anche del complesso CIS/Interporto/Vulcano Buono/NTV. Nuove Varianti sono già programmate, sostenute da programmi infrastrutturali stradali che beneficiano di risorse pubbliche straordinarie. I manufatti che si stanno realizzando, intanto, hanno nella gran parte tradito la destinazione originariamente affidata ad un Ente denominato Aree di Sviluppo “Industriale”. I carichi aggiuntivi di traffici, soprattutto di mezzi pesanti, stanno producendo un pesante aggravamento del CO2, come attesta la centralina ARPAC di San Vitaliano (unica nella zona!) che a tutt’oggi ha già quasi raggiunto i 35 sforamenti consentiti nel corso dell’intero anno.

Peraltro il Consorzio non ha minimamente provveduto ad effettuare dal 2009 (!!) il monitoraggio/laboratorio ambientale, così come stabilito dalla Delibera di Giunta Regionale n. 1369 del 6 agosto 2009.

Altra questione di rilievo è l’esplosione di supermercati nell’area. Nascono come i funghi, competendosi una utenza che peraltro è in forte calo demografico, generando nuove chiusure e dismissioni di immobili analoghi. Il Vulcano Buono ne è oramai un triste esempio. Il settore va regolamentato ripristinando i limiti che fino ai primi anni del 2000 vigevano nella regione Campania, che sono stati sciaguratamente cancellati.

Per attuare lo sbandierato principio del “policentrismo”, benchè annunciato in tutti i documenti della programmazione e pianificazione territoriale, vanno localizzate nell’area nolana funzioni e servizi di livello superiore. Citiamo il solo caso della sanità, laddove siamo dotati di un plesso ospedaliero con circa 100 posti letto, con uno standard di 0,14 p.l./1.000 abitanti, a fronte di una media nazionale di 3,7 p.l./1.000. Napoli città ne ha 4,0 p.l./1.000 ab. Incredibile! Ed il nuovo Polo Pediatrico è previsto ancora nel capoluogo, sempre ai margini della Zona Rossa ad alto rischio vulcanico, tradendo anche un impegno, preso nei primi anni del duemila, con il Comune di Acerra per “risarcirlo” della realizzazione dell’inceneritore.

Non è un fiume. E’ una strada…

I trasporti, poi, rappresentano un’altra questione, a questo punto emergenziale. Il policentrismo è fondato sulla interconnessione delle polarità territoriali e con il carente servizio offerto dalle linee ferroviarie resta inapplicabile il principio. Poi mentre l’area è pur servita dalla viabilità principale, appena ci si imbatte in quella secondaria ci si trova nelle condizioni del tipo “speriamo che me la cavo”. Ingorghi, congestione, disordine stradale, buche da percorsi di guerra, di tutto di più. Le ipotizzate due circumvallazioni a nord e sud del centro urbanizzato di Nola negli anni ’90 sono scomparse dagli schermi. Anche perché oggi le stesse non troverebbero spazio per la proliferazione di un edificato sempre più pervasivo.

Insomma questi primi temi già da soli fanno emergere l’urgenza di un deciso cambio di registro sulla questione dell’uso (e del consumo) del territorio. Non c’è più tempo per discutere, programmare, progettare in modo inconcludente. Le criticità sono tali da richiedere risposte rapide. C’è bisogno però che di tali questioni se ne faccia carico l’intera comunità dell’area, superando gli sterili campanilismi, aggregandosi per fronteggiare, uniti e più forti, lo schiacciante peso della città capoluogo “prendi tutto”. Occorre anche la consapevolezza che l’urbanistica non è una materia ristretta per pochi addetti ai lavori o per appassionati “ambientalisti”, ma è trasversale e riguarda tutti noi. Riguarda il benessere, la salute, la vivibilità, la sicurezza del nostro ecosistema, riconoscendo che le città e il territorio sono un bene pubblico. E’ di moda richiamare la transizione ecologica sostenuta dal PNRR, ma qui c’è da applicare il concetto di ecologia ai vari settori sociale, culturale, economico, per conseguire una nuova cultura del territorio su cui interagiscono fattori sociali, economici, culturali, ambientali

Una prospettiva di Sviluppo Sostenibile non deve riguardare solo l’ambiente, ma anche economia (consumi, occupazione, povertà, .. ), la società (regole, diritti, salute,…). È un processo che tocca tutti gli aspetti della vita, fondato su valori comuni di equità, accettazione delle diversità, rispetto per l’ambiente, se si vuole costruire un futuro dignitoso per le nostre città sane e belle.

E’ questo un altro motivo per attivare quella “comunità in movimento” tanto cara a Gianfranco Nappi.

Una fase di programmazione dove la parte della comunità – purtroppo ancora solo di “avanguardisti” – prova a dire la propria al fine di correggere il “tiro” rispetto a delle politiche condotte in questi anni che hanno sortito solo ricadute negative del territorio.

Il tema centrale è l’espansione costante della zona industriale – in particolare dell’Area Asi – che erode costantemente i suoli agricoli – è stato sottolineato nel corso del dibattito – sovvertendo quella che era la reale vocazione dell’area nolana con i suoi fertilissimi terreni.

Un plauso va all’amministrazione comunale – ha dichiarato Gennaro Esposito, attivista di lungo corso, di Medici per l’Ambiente – che ha bloccato con determinazione il tentativo messo in campo nei mesi scorsi di istallare proprio nella zona Asi un’ azienda che avrebbe trattato rifiuti di ogni tipo, compreso quelli speciali. Speriamo che sia stato solo l’ultimo assalto. Molte volte si dimentica completamente che siamo in un territorio dalle fortissime criticità ambientali con l’inquinamento da Pm10 che ha raggiunto un triste primato negative. Una situazione che si riverbera sulla salute di tutti con un forte aumento di numerose tipologie di malattie connesse a questo tipo di emissioni. Occorre fare qualcosa, recuperando, ad esempio, in maniera innovativa la vocazione agricola, il terziario, l’artigianato”.

Gino Pappalardo di Civitas ha sottolineato i tanti “treni persi” rispetto a progetti che avrebbero potuto garantire sviluppo senza compromettere la salubrità dell’ambiente. E’ il caso, ad esempio, del polo florovivaistico, previsto negli anni scorsi a Marigliano, ma mai decollato. A fronte dell’abuso del suolo del territorio, nessun reale servizio per la comunità. “Trasporto pubblico inesistente – ha aggiunto Pappalardo – e l’offerta dell’ospedale che si contrae sempre di più a dispetto dei continui annunci di ampliamento, con sempre meno posti letto disponibili”.

Sulla necessità di un “cambio di passo” ha puntato invece l’accento Gianfranco Nappi di Infiniti Mondi. “L’Asi va avanti con gli sbancamenti: bisogna far comprendere a chi di dovere che occorre fermarsi: non si può andare avanti in questo modo con un consumo di suolo così indiscriminato. Il tema è politico non amministrativo. Abbiamo la forza e la volontà di fare questo? È necessario ottenere un tavolo di confronto che sia non solo di denuncia, ma anche di proposta” ,

A chiudere le fila del discorso è stato il sindaco di Nola, Carlo Buonauro, accompagnato per l’occasione dall’assessore all’Ambiente, Giuseppe Tudisco, e dalla dirigente ai Lavori Pubblici, Rosa Pascarella.

“Anche su questo tema saremo fermi e decisi, assolutamente votati alla logica dell’interesse del territorio – ha concluso sindaco Carlo Buonauro – quale che siano le conseguenze che questo atteggiamento può comportare”. 

Guido Grosso

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LA SALUTE NELLE CITTA’ COME BENE COMUNE. UN MANIFESTO PER REALIZZARLA

Ad oggi il 37% della popolazione italiana vive in aree Metropolitane. Diventa quindi sempre più importante la riqualificazione e la rigenerazione urbana, nella consapevolezza che la salute è un fattore di crescita e coesione. Oggi al Senato presentata la versione aggiornata del Manifesto per costruire un modello di Health City, realizzato grazie al contribuito di oltre 200 esperti e 36 tra Istituzioni, enti, università, società scientifiche. IL MANIFESTO

Un documento che definisce i punti fondamentali della città come bene comune e che traccia le linee guida per rendere la realtà urbana rispondente all’idea di salute come stato di completo benessere fisico, mentale e sociale. È il Manifesto “La Salute nelle Città: Bene Comune”, lanciato per la prima volta nel 2016 e di cui è stata presentata oggi in Senato una revisione resasi urgente soprattutto dopo gli eventi dell’emergenza Covid.

“Ad oggi il 37% della popolazione italiana vive nelle aree Metropolitane; diventa sempre più importante la riqualificazione e la rigenerazione urbana considerando la salute come fattore di crescita e coesione che renda le città italiane delle Health City, cioè promotrici della salute, amministrate da politiche chiare per tutelarla e migliorarla”, spiega una nota diramata in occasione della presentazione del nuovo Manifesto, la cui stesura e revisione è stata realizzata grazie al contribuito di oltre 200 esperti e 36 tra Istituzioni, enti, università, società scientifiche, associazioni pubbliche e private tra cui ANCI, Intergruppo Parlamentare Qualità di Vita nelle Città, Sport e Salute, Health City Institute, C14+, Federsanità, Istituto per la competitività I-COM, Fondazione SportCity.


“Urban Health e One Health corrono sullo stesso binario, perché il benessere dei cittadini è incentrato su un approccio olistico che vede salute umana, animale e ambientale strettamente correlate fra loro”, dichiara nella nota il sottosegretario di Stato alla Salute Marcello Gemmato. “La parola chiave è ‘prevenzione’: che significa educazione a corretti stili di vita, attività fisica, conoscenza dei fattori di rischio per la salute, fra cui anche l’inquinamento atmosferico e acustico delle città e la loro ‘fisicità’, ovvero la disponibilità o meno di spazi verdi accessibili, trasposto urbano, servizi educativi e sanitari. La pianificazione urbana può rappresentare, quindi, una forma di ‘prevenzione primaria’ che, attraverso politiche intersettoriali e con il coinvolgimento delle comunità interessate, diventa strategica nel processo di promozione della salute a tutti i livelli”.

“Il Servizio sanitario nazionale – ha aggiunto Gemmato nel corso della conferenza stampa di stamani – non ha bisogno soltanto di dotazioni di carattere economico. Il Governo Meloni porta sul Fondo sanitario nazionale per i prossimi 3 anni 7 miliardi e 50 milioni: 2 miliardi e 150 milioni per il 2023, 2 miliardi e 300 milioni per il 2024 e 2 miliardi e 600 milioni per il 2025. Ma oltre agli investimenti di natura economica, servono nuovi modelli organizzativi, vedi le reti di prossimità, nuove idee e nuovi approcci che facciano finalmente cambiare la prospettiva: la spesa sanitaria non deve essere più considerata una spesa ma diventare un investimento. Rispetto a questo abbiamo avuto e abbiamo un grande nemico, l’instabilità politica”.

“Attualmente – ha proseguito – il Fondo sanitario nazionale è di 128,6 miliardi di euro – ha aggiunto Gemmato – ma anche se lo facessimo arrivare a 150-200 miliardi probabilmente ci ritroveremmo in qualche congresso a parlare di problemi perché, se non ci diamo nuovi modelli organizzativi, se non ci diamo nuove idee prospettiche evidentemente non riusciamo a dispensare salute cosi come recita l’articolo 32 della nostra Costituzione”.

“A me– ha detto il sottosegretario – piace declinare il concetto di salute così come è espresso dall’Oms nel 1948, un benessere fisico, mentale e sociale – quindi non assenza di malattia”. Questo “significa avere un approccio diverso alla malattia, significa avere una idea di prevenzione e di gestione di quelle che possono essere le malattie non trasmissibili che sono la causa della mortalità: penso alla patologie cardiovascolari, alle malattie metaboliche. Il tema è quello dell’approccio, sicuramente Urban Health e One Health”, ha concluso Gemmato.

“Dalla prima stesura del Manifesto ad oggi sono cambiate molte cose a livello urbano e di popolazione, inoltre, la pandemia di COVID-19 e altre crisi, in particolare quelle climatiche e ambientali, hanno messo a fuoco le enormi sfide che dobbiamo affrontare, evidenziato come sia una priorità globale e italiana agire subito assieme e concretamente”, aggiunge Mario Occhiuto, presidente dell’Intergruppo Parlamentare “Qualità di Vita nelle Città” e segretario della VII commissione del Senato. In particolare, per Occhiuto “è necessario promuovere il nuovo concetto di salute come condizione che comprende aspetti psicologici, condizioni naturali, ambientali, climatiche e abitative, la vita lavorativa, economica, sociale e culturale. Dunque, sviluppare un contesto urbano che sia salutogenico e non patogeno risulta ormai non trascurabile”.

Il Manifesto delinea dieci punti chiave che possono guidare le città a studiare ed approfondire i determinanti della salute nei propri contesti e a fare leva su di essi per escogitare strategie per migliorare gli stili di vita e lo stato di salute dei cittadini, ovvero:

1) Ogni cittadino ha diritto a una vita sana ed integrata nel proprio contesto urbano. Bisogna rendere la salute il fulcro di tutte le politiche urbane

2) Assicurare un alto livello di alfabetizzazione e di accessibilità all’informazione sanitaria per tutti i cittadini e inserire l’educazione sanitaria in tutti i programmi scolastici con particolare riferimento ai rischi per la salute nel contesto urbano

3) Incoraggiare stili di vita sani nei luoghi di lavoro, nelle comunità e nei contesti familiari

4) Promuovere una cultura alimentare e la lotta alla povertà alimentare

5) Ampliare e migliorare l’accesso alle pratiche sportive e motorie per tutti i cittadini, favorendo lo sviluppo psicofisico dei giovani e l’invecchiamento attivo

6) Sviluppare politiche locali di trasporto urbano orientate alla sostenibilità ambientale e alla creazione di una vita salutare

7) Creare iniziative locali per promuovere l’adesione dei cittadini ai programmi di prevenzione primaria, con particolare riferimento alle malattie croniche, trasmissibili e non trasmissibili

8) Intervenire per prevenire e contenere l’impatto delle malattie trasmissibili infettive e diffusive, promuovendo e incentivando i piani di vaccinazione, le profilassi e la capacità di reazione delle istituzioni coinvolte con la collaborazione dei cittadini

9) Considerare la salute delle fasce più deboli e a rischio quale priorità per l’inclusione sociale nel contesto urbano

10) Studiare e monitorare a livello urbano i determinanti della salute dei cittadini attraverso una forte alleanza tra Comuni, Università, Aziende Sanitarie, centri di ricerca, industria e professionisti

Particolare rilievo assume, nella revisione del Manifesto, l’ottavo punto, aggiunto come necessario aggiornamento di fronte alla recente esperienza globale della pandemia. “L’emergenza da COVID-19 ha evidenziato le enormi difficoltà del mondo globalizzato nel prevenire le emergenze, rispondere rapidamente alle minacce e mitigarne gli effetti. Già con la Rome Declaration del Global Health Summit nel 2021 era stata sottolineata la necessità di impegni sinergici a tutti i livelli, per far sì che comuni, sindaci e le amministrazioni locali agiscano simultaneamente”, le parole di Roberto Pella, vicepresidente vicario Anci, e presidente dell’Intergruppo parlamentare “Qualità di vita nelle città”. “I comuni hanno un ruolo fondamentale per costruire un mondo più sostenibile e più equo, cui, specie in questa fase storica, stanno contribuendo concretamente con responsabilità e massimo impegno”.

“Oggi più della metà della popolazione mondiale – afferma Antonio Decaro, presidente Anci – vive nelle città e si prevede che tale quota salirà al 60 per cento entro il 2030. Questo ha portato le città e le aree metropolitane a contribuire per il 70 per cento alle emissioni globali di carbonio e per oltre il 60 per cento all’uso delle risorse. Oggi dobbiamo mettere in atto politiche sociali, culturali ed economiche che portino a uno sviluppo urbano consapevole che abbia la salute come obiettivo primario. Politiche come quelle definite dall’OMS quando parla di “Health City”, cioè di una città consapevole dell’importanza della salute come bene collettivo. Questa necessità è chiaramente espressa anche nell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile dell’ONU nell’Obiettivo 11, “Rendere le città inclusive, sicure, resilienti”. Sono convinto che abbiamo bisogno di un approccio integrato per affrontare i problemi di salute pubblica”, concludeo Decaro.

“La configurazione attuale delle città e l’inquinamento urbano rappresentano una fonte di rischi per i cittadini, portando spesso allo sviluppo di diverse malattie legate ai polmoni, ictus, demenze, malattie renali o diabete. Includere la salute nello sviluppo urbano è un fattore di crescita e di coesione per il Paese, ma anche un fattore di inclusione sociale che porta un’azione concreta per il clima e l’ambiente”, conclude Andrea Lenzi, presidente di Health City Institute e del Comitato Nazionale per la Biosicurezza, le Biotecnologie e le Scienze della Vita della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Per Lenzi “ogni cittadino ha diritto a una vita sana e integrata nel proprio contesto urbano, rendere la salute dei cittadini il fulcro delle politiche urbane, incoraggiando stili di vita sani nei luoghi di lavoro, nelle grandi comunità e nelle famiglie e ampliando e migliorando l’accesso alle pratiche sportive e motorie per tutti i cittadini, favorendo così lo sviluppo psicofisico dei giovani e l’invecchiamento attivo significa promuovere un assetto One Health che tiene conto delle connessioni tra salute umana, animale e ambientale considerando tutti i rischi per la salute umana”.

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