Alcune settimane fa Gianfranco Nappi ha indirizzato da questo spazio a Gianni Cuperlo una lettera-riflessione ( https://www.infinitimondi.eu/2022/12/29/caro-gianni-ti-scrivo-di-gianfranco-nappi/ )

Ecco oggi la sua risposta e lo ringraziamo per aver voluto continuare il confronto.

PERCHE’ CONTINUO A SCOMMETTERE SU UN PD RIPENSATO E RIFONDATO

Caro Gianfranco, prima di tutto scusami del ritardo con cui provo a rispondere alla tua lettera. Ne riassumo il senso che mi pare si possa concentrare in una critica all’impianto politico e culturale che resse a suo tempo la nascita del Partito Democratico. Giustamente tu osservi che l’eventuale fallimento del progetto non è da addebitare al tentativo di incontro e fusione delle grandi tradizioni e culture riformiste del paese, dalla sinistra storica al cattolicesimo democratico, dall’ambientalismo al pensiero femminista e alla cultura dei diritti. La possibile deriva di segno greco o francese sarebbe invece da giudicare come il frutto di una subalternità culturale al pensiero e alle strategie liberiste che hanno segnato, in buona misura dominandoli, gli anni novanta e gli anni zero. Personalmente con questa tua lettura posso dirmi largamente in sintonia. Anni fa furono in particolare due testi, due saggi, a farmi apparire quella forma di soggezione culturale della sinistra come un peccato non perdonabile: erano “Guasto è il mondo” di Tony Judt e “Finanzcapitalismo” di Luciano Gallino. Li cito solo per dirti come l’analisi critica su quella stagione (parliamo di entrambe le sponde atlantiche) faccia parte di un bagaglio che nel tempo abbiamo maturato. Tu potresti obiettare che si tratta di una maturazione tardiva e soprattutto parziale, nel senso che non tutto il gruppo dirigente del mio partito si è mostrato disponibile a elaborarla. Ti rispondo che avresti anche su questo ragione, ma il fatto stesso che in questo confronto congressuale (impostato con regole e modalità di svolgimento degne del Dottor Stranamore) sui conflitti generati da quella parabola durata oltre un trentennio si sia cominciato a discutere, seppure con posizioni diverse, ci restituisce almeno la speranza di una consapevolezza degli errori compiuti. Potrei aggiungere che quel tanto di trasformismo presente al nostro interno fa sì che ora sia difficile trovare qualche sincero e coerente sostenitore del Jobs Act, misura che insieme ad altri non votai, ma pure questo – ahimè – fa parte dello spirito del tempo.

Cerco di venire al punto di sostanza della tua riserva. In sintesi, se evochiamo un ritorno alla natura del progetto, alla sua radice, l’obiezione è che non faremo altro che ricadere nel peccato originario. Su questo ovviamente non posso che rispondere per me: penso che la subalternità accennata sia stata una caratteristica costitutiva della sinistra di governo degli anni novanta e di quelli successivi. Ogni volta che sento ripetere che gli operai non votano più prevalentemente a sinistra, mi viene da replicare che gli operai non votano prevalentemente a sinistra da almeno trent’anni. Ed è una tendenza che investe tutta l’Europa, comprese Germania e Francia. Il punto è che la stagione blairiana al pari di quella di Schroeder in Germania ha scelto di dirottare altrove la ragione sociale della rappresentanza di quei soggetti pensando di poter compensare un vuoto di consenso con un baricentro spostato su interessi e bisogni di una non meglio definita classe media. Quando le grandi recessioni successive al 2008 hanno colpito sotto la cintura anche quel segmento ampio di società la sinistra in Europa si è trovata catapultata in una sorta di terra di nessuno, orfana di solidi ancoraggi sociali del passato e percepita come inadeguata dai ceti che aveva scelto come riferimento del suo nuovo corso. Non dico che le sconfitte degli ultimi anni siano imputabili unicamente a questo, ma penso che quella strategia abbia contribuito non poco a determinare un divorzio, secondo alcuni irreversibile, tra le grandi forze del riformismo continentale e milioni di loro elettori delusi e in qualche misura “traditi“ da politiche giudicate in conflitto con le loro aspettative.

Allora, perché investire ancora in questa forza – il Partito Democratico – anziché prendere atto dell’esaurimento di un’intera strategia coincisa con il ciclo storico dell’ultimo ventennio? Direi che le regioni sono due. Una è quella che tu stesso hai indicato spiegando perché la scelta di fare incontrare i diversi ceppi del riformismo non era affatto illogica e tantomeno antistorica. La seconda, più legata all’attualità di ora, è che l’eventuale fallimento di quel progetto consegnerebbe alla destra un vantaggio a mio avviso difficilmente colmabile. Lo scrivo perché oggi al governo del paese non c’è la versione un po’ più radicale del berlusconismo. La realtà è che ha vinto la destra, il suo impianto culturale, la sua ideologia. Volendo rispolverare una vecchia formula di Giuseppe Dossetti, ha vinto quella matrice culturale che si può riassumere in questo: una iniezione di paura alla quale si offre un antidoto, ma in cambio di una quota di libertà. Penso che se di questo si tratta diventa decisivo garantire la tenuta in vita e il rilancio di una forza centrale della sinistra in Italia. Un partito profondamente ripensato e rifondato nel suo modo di essere, di discutere, di assumere decisioni, di formare e selezionare una classe dirigente. Se tu mi chiedessi quali sono oggi i limiti e gli errori del mio partito potrei dedicarti un lungo elenco, a cominciare dal fatto che non abbiamo mai discusso seriamente delle ragioni che ci hanno fatto perdere sei milioni di voti in sedici anni di vita. Il punto è che senza una volontà di aggredire quegli errori attrezzando non un nuovo programma di governo, ma un nuovo pensiero politico sul tempo storico che ci è dato da attraversare, non vedo una prospettiva credibile per una possibile alternativa a questa destra che oggi si è incistata nel potere del paese e si mostra disponibile a qualunque azzardo pure di mantenerlo come abbiamo visto in questi primi mesi e ancora nello spettacolo indecente di questi ultimi giorni.

La stessa candidatura decisa tardivamente, e ne sono consapevole, è stata frutto dello sconcerto di vedere che ancora una volta tutto rischiava di risolversi in una conta su nomi e volti. Persone stimabili, ma dietro le quali si sono riposizionati notabilati e potentati, locali e nazionali, in uno schema dove gli stessi attraversano stagioni diverse senza mai rendere conto delle loro scelte e del loro operato. Abbiamo presentato una piattaforma che mi piacerebbe tu leggessi (1), fosse solo per criticarla, ma che contiene la sintesi di come la cultura politica di questo partito dovrebbe cambiare e di come dovrebbe cambiare in profondità la forma della sua organizzazione. Mi fermo qui avendoti rubato fin troppo tempo. Lasciami solo allargare il saluto affettuoso e l’abbraccio anche a Luciana (2) , per il suo commento e per tante altre ragioni.

A presto. Gianni

***

1 Dove scaricare la mozione di Gianni Cuperlo https://www.partitodemocratico.it/gianni-cuperlo/

2 Luciana Castellina aveva scritto nella chat:

” Gianfranco io invece vorrei dire a Cuperlo che è ormai la sola persona che stimo in quel partito che penso abbia sbagliato a presentarsi candidato: supplire una riflessione ormai “storica” quale è quella oggi necessaria al pd con una cosiddetta consultazione, la primaria, che sembra il concorso di Miss Italia è così farsesco che anziché parteciparvi sia pure per dire cose giuste ma inutili in quel contesto finisce solo per legittimarlo. Credo che Gianni avrebbe dovuto denunciare la gara in corso e dire polemicamente che non avrebbe mai partecipato.” Luciana Castellina

3 L’immagine in evidenza è di Mariano Sommella ed è tratta da centoannipci.it


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1 commento

  1. GRAZIE: ho riletto il tutto a mente fresco e ho utilizzato anche i link segnalati

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