Il settimanale liberale tedesco Der Spiegel mette Karl Marx in copertina, con i tatuaggi e l’espressione sorniona di chi ce l’aveva detto.

Non è una novità.

Fatta eccezione per l’Italia, dove nel percorso che ha condotto dal Pci al Pd la sinistra si è uniformata all’idea che esiste un solo mondo possibile regolato dall’economia di mercato, accade più o meno ciclicamente e non di rado il riconoscimento dell’attualità del pensiero di Marx avviene da parte di quelli che si collocano dall’altra parte della barricata.

Marx torna periodicamente sugli scudi perché al netto delle sue molteplici interpretazioni pone al centro della sua riflessione non solo il tema delle disuguaglianze, ma prova a individuare anche un metodo scientifico per spiegarle come il prodotto delle scelte delle classi dominanti. Se c’è qualcosa di Karl Marx che ha resistito all’usura del tempo è proprio l’affermazione che non c’è nulla di naturale nel capitalismo perché questo cela dietro rapporti formalmente liberi l’antica logica del dominio dell’uomo sull’uomo.

In passato, prima delle rivoluzioni industriali, le differenze fra le classi trovavano una giustificazione paternalistica nella penuria, secondo la quale non ce n’era abbastanza per tutti. Ma come è possibile che non ci si indigni oggi, di fronte a una società opulenta come la nostra che vede fianco a fianco ricchezze così grandi che si fa fatica a percepire, e letteralmente fame e privazioni per un numero enorme di esseri umani? E a livelli intermedi non indignano nessuno neanche le file a Natale davanti ai negozi di lusso in contrapposizione con quelle delle mense di poveri in una qualsiasi città occidentale, Napoli inclusa.

La vittoria del capitalismo è stata anche una vittoria culturale. L’affermazione della sua ideologia. La potenza dell’industria culturale, il sistema mediatico, la capacità seduttiva dei social, hanno prodotto un mondo nel quale continuiamo a indignarci a comando, spesso nella direzione sbagliata. Ho perso il conto delle discussioni in cui di fronte al mio tentativo di difendere il Reddito di Cittadinanza mi sono scontrato con persone con un vissuto e un retroterra politico vicini al mio perché la forza della narrazione malata che vuole il percettore del Reddito in poltrona a godersi i nostri soldi è così forte da fare breccia anche nelle loro argomentazioni.

Le percentuali trascurabili di truffe che vengono periodicamente scoperte come nelle inchieste di questi giorni, e rispetto alle quali ho sempre invocato e difeso i controlli più rigorosi, non possono pesare più dei 110 miliardi di evasione fiscale stimata ogni anno in Italia che sono accolti invece dall’opinione pubblica con una scrollata di spalle rassegnata.

Anche a casa nostra, dove un tempo consideravamo intollerabile ogni disuguaglianza. È da qui perciò che bisogna ripartire, liberandoci dall’idea che l’unico mondo possibile sia quello in cui hanno vinto loro.

Sergio D’Angelo

Immagine in evidenza: da Infinitimondi 24-25/2022 dettaglio dell’opera di Mary Cinque

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