Ringraziamo l’architetto Guido Grosso da sempre impegnato per la promozione di un corretto discorso sul suolo, sulla sua salvaguardia e su quella in generale dell’ambiente. Ci racconta qui la storia dell’ASI di Nola, una storia impressionante a vederla con gli occhi di oggi. Una storia cominciata quindici anni fa circa, per una scelta già errata allora pur assunta in un altro quadro economico e produttivo, e lo diciamo senza alcuna difficoltà; andata avanti con un tentativo di mitigazione mai concretizzato e che ora, si conclude fuori tempo, in un quadro completamente mutato e con un impatto ambientale che pesa in modo oggi inconcepibile. I Sindaci del territorio hanno da dire? La Città Metropolitana? La Regione che guida questo processo?

La tragica vicenda di Casamicciola attesta, nella sua drammatica evidenza, la necessità di una radicale svolta nell’uso del territorio, teatro di disastrosi eventi alluvionali, con un ritmo sempre più incalzante nel periodo più recente, che provocano vittime e coinvolgono case ed infrastrutture.
L’abuso che negli ultimi tempi si è fatto del territorio è una questione di cui prendere coscienza. Occorre mettere un freno ad Interventi che spesso stravolgono città ed ambienti naturali, modificando irreversibilmente le tracce di antichi ed armoniosi paesaggi.

Nonostante l’apparato legislativo cerchi di tutelare e sottrarre alla distruzione questo prezioso patrimonio, numerose pratiche messe in campo, pur se astrattamente ispirate ai principi della cosiddetta “sostenibilità”, di fatto negano l’applicazione di uno dei principi fondamentali sancito, peraltro, dalla nostra Costituzione che all’articolo 9 recita: “La Repubblica … Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni.”

In realtà il territorio è utilizzato soprattutto per perseguire un profitto economico individuale, a vantaggio di pochi, negando gli interessi collettivi.



Il rapporto ISPRA 2022 fornisce dati allarmanti sulle nuove coperture artificiali (2 mq al secondo) con la impermeabilizzazione del suolo prodotta dalla massiccia realizzazione di infrastrutture, manufatti residenziali, impianti industriali e commerciali, che stanno modificando profondamente il rapporto tra la pedosfera e la biosfera, compromettendo soprattutto la gestione delle acque superficiali oltre che la perdita della preziosa risorsa agricola e quindi della biodiversità.

Ciò sta avvenendo in particolare nell’area nolana dove continua il trasferimento di cose indigeste per la “pregiata” fascia costiera, con l’occupazione massiccia di suolo rurale, peraltro, di grandissima valenza agronomica.
Nonostante i circa 8.000.000 di mq di aree rurali già “cancellate” dal sistema CIS-Interporto-ASI-NTV, è in corso la cementificazione di altri 1.200.000 mq di preziosissimo suolo agricolo con l’attuazione della Variante ASI del 2009, in nome di un non ben definito sviluppo, mentre sono al nastro di partenza nuove varianti, promosse già nel 2015, che aspirano incredibilmente ad occupare altri 800.000 mq. cui vanno aggiunte le aree delle infrastrutture viarie “dedicate”.
Intanto il già pesante bilancio ambientale connesso alla produzione di polveri sottili (PM10 e PM 2,5), che hanno condotto allo sforamento oltre i limiti di legge delle varie centraline ARPAC installate nell’area nolana/acerrana, sarà così aggravato dalle emissioni aggiuntive dei nuovi traffici veicolari che si genereranno con la prohrammata infrastrutturazione.
A poco è valso, intanto, il Ricorso, n. 4152/2007 promosso dall’Associazione Nazionale Amici del Marciapiede + altri, con il quale il TAR Campania Sez. 1, con sentenza n. 9416/08, “annulla la deliberazione della Giunta regionale della Campania n. 421 del 9 marzo 2007”, rilevando la mancata conformità della Variante del Piano Regolatore ASI agli indirizzi di programmazione socio economica e territoriale contenuti nel Piano Territoriale Regionale (punto 5,2 della sentenza).
Difatti successivamente la Regione Campania con Deliberazione n. 1369 del 6 agosto 2009 ha riapprovato tale Variante, riaffermando più volte, in linea di principio, il criterio del “minor consumo di suolo” benchè ponendo alcuni paletti nella realizzazione dell’intervento:



1. “Il Consorzio all’atto della progettazione, ovvero della esecuzione dei lavori, dovrà ……………… assicurare il più adeguato monitoraggio degli effetti ambientali prodotti sul territorio dagli insediamenti produttivi e dalle sue trasformazioni paesaggistiche, nonché ad assicurare un assiduo controllo sul legame tra industria, insediamenti commerciali, qualità dell’ambiente e territorio;
2. promuovere la formazione da parte del Consorzio ……… un laboratorio di analisi e ricerche su ambiente, paesaggio e sviluppo, con il compito di individuare indirizzi per la progettazione degli interventi in area ASI, al fine di perseguire gli obiettivi di riqualificazione paesaggistica, risparmio energetico e riduzione di impatto ambientale …”.
Di tali adempimenti purtroppo non se ne ha notizia, né sono consultabili i dati dell’eventuale monitoraggio effettuato.
Nonostante molti dei manufatti realizzati sono vuoti o dismessi (vedi condomini residenziali e CIS), non si arresta la frenesia costruttiva. Le complesse procedure urbanistiche di approvazione delle Varianti, intanto, sono state riconsiderate dalla Regione Campania, che di recente ha assunto nuove disposizioni per lo snellimento dei procedimenti con le modifiche introdotte, con articoli inseriti in vari provvedimenti legislativi, quali:
­ Legge regionale 28 dicembre 2021, n. 31. “Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione finanziario per il triennio 2022-2024 della Regione Campania – Legge di stabilità regionale per il 2022.” – Art. 28 (Modifiche normative in materia di urbanistica)
­ Legge regionale 30 marzo 2022, n. 7. “Sostegno alle famiglie numerose: detrazioni per figli fiscalmente a carico. Variazione al Bilancio di previsione 2022-2024. Ulteriori disposizioni.” – Art. 8 (Adempimenti obbligatori per impegni con il Governo) .


Con queste la Regione ha avocato direttamente a se stessa la competenza su tali provvedimenti urbanistici, mentre ulteriori disposizioni “acceleratorie e semplificatorie” sono state introdotte a seguito della individuazione delle aree del Consorzio ASI come “Aree ZES”, dall’art. 29 (Disposizioni di semplificazione in materia di ZES) della richiamata legge regionale n. 31/2021.
L’aspettativa per le aree ZES è che i benefici, sostanzialmente di tre tipi (vantaggi fiscali, semplificazioni delle procedure ed adeguate infrastrutture), siano capaci di attirare attività economiche che si dovrebbero avvantaggiare di connessioni veloci con l’area portuale, in una logica di intermodalità, anche al fine di agire su scala internazionale. In Campania l’iniziativa era fondata, peraltro, sull’imponente progetto della “Via della Seta”, che però nella sua attuale configurazione ha prescelto i porti di Trieste e Genova, ritenendo poco conveniente, in termini logistici, l’ambito portuale napoletano.
In ogni caso ci si a spetterebbe che, nell’ottica di favorire un serio “sviluppo locale”, facendo sistema, dalle nostre parti si localizzassero aziende, magari internazionali, del settore agroalimentare o di alta tecnologia nei settori dell’aerospaziale, informatica, energia pulita, che possano garantire una coerenza con il contesto territoriale.
Ma allo stato scarse sono le indicazioni che confortano una tale tendenza.
Tuttavia rilevanti sono le problematiche di riorganizzazione delle infrastrutture di connessione viarie e ferroviarie che riguardano l’area portuale napoletana, mentre Il mega impianto ferroviario della nostra area interportuale rimane sottoutilizzato, con la partenza sporadica di un treno … chiamato desiderio.
Ed in tutto ciò, la forsennata occupazione dei suoli in corso appare non tener conto della inquietante “questione ambientale” che oramai ha assunto livelli preoccupanti. All’inquinamento ambientale si sommano le problematiche connesse alla permanenza delle cave estrattive, agli allagamenti sempre più frequenti, conseguenti anche alla eliminazione di parte della minuta rete di scolo dei suoli della cosiddetta area di “Boscofangone”, alla contaminazione dei suoli della cosiddetta “Terra dei fuochi”.
L’ISPRA al riguardo avverte che “L’opera di impermeabilizzazione comporta spesso dei cambiamenti anche nella morfologia dell’area. Inoltre, durante le fasi di costruzione (emissioni dei veicoli, rifiuti), di manutenzione (diserbanti, sali antighiaccio, sabbie, drenaggi, ecc.) e di demolizione (polveri, emissioni, rifiuti, ecc.) possono essere negativamente influenzate anche le aree confinanti”. Val la pena anche ricordare che le aree agricole sono la riserva di un benefico patrimonio genetico, filtro e serbatoio di acqua, elemento essenziale dell’agro-ambiente e, non da ultimo, principale deposito di carbonio delle terre emerse.


Fa da pendant all’inarrestabile fenomeno insediativo “produttivo” la bulimia costruttiva ai margini degli svuotati centri urbani, con sempre nuovi centri commerciali e condomini residenziali, che hanno aggredito le residue aree naturali interstiziali, mentre resta al palo nella nostra città la realizzazione di servizi di quartiere ed aree verdi attrezzate, con una viabilità secondaria sconquassata e non più in grado di sostenere i consistenti flussi veicolari.
Ma c’è anche un altro aspetto da considerare. Proprio i suoli agricoli della cosiddetta Terra dei Fuochi, soprattutto quelli nolani, hanno proprietà organolettiche capaci di produrre alimenti disintossicanti come le ricerche fatte dal progetto EcoFoodFertility hanno attestato. Insomma il “nostro” cibo può essere la chiave di volta per produzioni eubiotoche, che assicurano il “ben vivere”, magari da parte di giovani imprenditori agricoli che, nei casi già attivi, stanno fornendo redditi di 35.000-40.000 Euro ad ettaro, che non sono sicuramente paragonabili ai redditi per la collettività prodotti dalla massiccia occupazione dei nostri terreni.
Insomma, la tragica vicenda di Casamicciola ci dovrebbe indurre a non perdere la capacità di leggere questi segnali della natura che ci impongono l’urgenza di ristabilire un rapporto armonico con l’ecosistema.
Le preziose risorse naturali vanno salvaguardate quali “beni comuni” da non consumare più in maniera indiscriminata. Ma ciò potrà avvenire solo quando, mutuando il titolo ed il senso di un gran bel film, si recupererà la consapevolezza collettiva che “questa terra è (anche) la mia terra”.

Guido Grosso

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