Che bella vita, compagno Emanuele. Hai insegnato, spiegato, dimostrato a un Paese sordo, incolto, indifferente e abituato a rifugiarsi nella comodità un po’ codarda del luogo comune che sì, si poteva essere comunisti – e tu lo sei stato orgogliosamente per 80 anni: eri un caruso, quando cominciasti – e accettare integralmente le regole della democrazia occidentale. Anzi, che si poteva esserne addirittura parte importante, imprescindibile, fondamentale.
Che bella vita, compagno Emanuele. Sei stato capace di sintesi inimmaginabili: riuscivi a coniugare l’aristocratica razionalità degli illuministi siciliani alla Sciascia con l’appartenenza sanguigna, viscerale, a un movimento di popolo – il popolo: il tuo pensiero fisso, tu togliattiano che sdoganavi un termine che al Migliore, troppo cerebrale, non era mai piaciuto.
Che bella vita, compagno Emanuele. Controcorrente, dentro e fuori il partito. Gli amori, perché il cuore è una variabile indipendente, sempre. Le eresie, perché il dogma è la negazione del pensiero, dell’esercizio critico cui non hai mai rinunciato. Nemmeno quando l’oltraggio degli anni, gli affanni, il peso di un’esistenza lunga e costellata sì di gioie e soddisfazioni pubbliche, ma anche di grandi dolori privati, consigliavano moderazione, riposo. Non era roba per te, che al tavolo di cucina, carta e penna, tutti i giorni trapassavi da parte a parte l’attualità, e poi c’era Sergio, il collega fidato che avevi allevato a l’Unità, che pubblicava su Facebook.
Che bella vita, compagno Emanuele. Il riformismo. Il garantismo. La giustizia giusta. L’unità della sinistra. I socialisti. Portella della Ginestra. Il comizio a 95 anni sulla brulla spianata della strage durante il quale dici cose tanto belle e coinvolgenti che ci fanno piangere di commozione. Togliatti. E Berlinguer, tanto diverso da te: taciturno compagno di stanza a Botteghe Oscure, che solo a te confessa che sì, a Sofia, quelli del Kgb hanno cercato di farlo fuori, e lì ha capito che i comunisti italiani sono un’altra cosa. Un altro mondo. Un’altra Italia dentro l’Italia, come scrisse Pasolini un anno prima di essere ammazzato come un cane.
Che bella vita, compagno Emanuele. La lotta alla mafia cominciata sfidando, al seguito di Girolamo Li Causi, le pallottole dei campieri di don Calò Vizzini e Genco Russo e mai abbandonata, nemmeno per un attimo. Perché di quella lotta tu, con la tua ruvida, spigolosa, intelligenza siciliana, avevi colto l’essenza più intima: era lotta contro la violenza e la prevaricazione, d’accordo. Ma era soprattutto lotta contro la diseguaglianza e il privilegio. Era lotta rivoluzionaria per un mondo giusto. Per portare avanti quelli che erano rimasti indietro. E tu, rivoluzionario, lo sei stato fino all’ultimo alito di vita.
Che bella vita, compagno Emanuele. I giornali. L’Unità, dopo il partito probabilmente il più grande amore “politico”, la tua terza (e definitiva) vita, dopo quelle di attivista sindacale e dirigente politico. Raccontavi che Togliatti sosteneva che un politico che non scrive è un politico dimezzato. E tu da quel momento hai scritto tanto. Dopo l’Unità, il Riformista, e in mezzo Le Nuove Ragioni del Socialismo, “la rivista” a cui eri particolarmente affezionato, perché nella testata c’era, esplicito, l’orizzonte a cui tendevi. Il socialismo.
Che bella vita, compagno Emanuele. I libri. Il racconto di “50 anni nel Pci”, letto d’un fiato in viaggio, tornando proprio dalla tua Sicilia, furiosamente sottolineato, annotato, amato. E lacrime di emozione e commozione. Quello sul Pd, “Al capolinea”, in cui per primo denunciasti “la fusione fredda”: dovrebbero riconoscere i diritti a te e ai tuoi eredi di questa formula geniale. E quello su Togliatti e i riformisti, in cui ti spingesti a concludere che sì, a Livorno la scissione era stata giusta, ma in fondo dal ’44 in poi, col “partito nuovo” e la “via italiana al socialismo”, s’era fatto quello che aveva detto Turati al teatro Goldoni. E il tuo addio, proprio oggi, ha l’amarissimo sapore di un’atroce beffa del destino.
Che bella vita, compagno Emanuele. Di quelle vite che spingono a chiudere nella maniera più banale, forse, ma anche più sentita, queste note scritte con il cuore stretto in una morsa di tristezza e di rimpianto. Perché sì: è stato meglio, molto meglio, soffrire oggi per la tua partenza che non averti mai incontrato.
Fai buon viaggio, compagno Emanuele.

Massimiliano Amato

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1 commento

  1. Prima o poi doveva accadere, come a tutti noi. Grazie per le battaglie sostenute a favore dei lavoratori, della democrazia e della libertà. Riposa In Pace.

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