di Pasquale Riccio


Finalmente il Governo Italiano, dopo le proteste di piazza, ha capito che se vuole mantenere la pace sociale deve evitare l’esplodere della rabbia, che potrebbe andare fuori controllo e, così, ha deciso di mettere mano ad interventi economici per ristorare le attività e le persone economicamente colpite a vario titolo dalla pandemia del coronavirus.
Siamo arrivati al quarto “decreto ristori” , tutti largamente insufficienti sia per le risorse deliberate e sia, e soprattutto, perché non raggiungono tutte le categoria interessate ed in particolare la categoria degli “invisibili”, coloro, cioè, che hanno attività in nero, lavoratori in nero e, peggio ancora, coloro che, non avendo un benché minimo lavoro, si accontentano di vivere alla giornata con attività saltuarie che a mala pena coprono le spese del vitto.
Sento già nelle orecchie le proteste dei cittadini che lavorano onestamente e contribuiscono alla crescita del Paese: “fatti loro”; “se lo son cercato” oppure “peggio per loro”!

E’ vero, ma non possiamo lavarcene le mani girandoci dall’altra parte di fronte a circa due milioni di famiglie; e poi siamo sicuri che la nostra società ha concesso a costoro lo spazio e la possibilità per crescere? o li ha trattati, da sempre, come invisibili? Dobbiamo accoglierli ed aiutarli: sono i più deboli ed i più fragili che più soffrono, dal punto di vista economico, in questo momento. D’altra parte una Nazione, civile come la nostra, che accoglie coloro che richiedono asilo, anche in questo periodo di pandemia, non può dimenticarsi di aiutare i propri concittadini.
Per tutti questi cittadini, così detti “invisibili”, occorre che lo Stato manifesti la volontà di farsi carico delle loro difficoltà, aiutandoli in questo momento con forme di assistenza a fondo perduto per consentire di superare il periodo di pandemia e le restrizioni resesi necessarie.
Tra costoro solo chi aveva avuto il reddito di cittadinanza, istituto che ha clamorosamente fallito nel suo intento originario, ha potuto usufruire di questa diversa forma di assistenza. Sono proprio le negative conclusioni sulla possibilità di creare lavoro tramite l’assistenza che ci debbono spingere a ricercare nuove strade. Ormai è evidente che il lavoro a tempo indeterminato come lo intendeva e lo raggiungeva la mia generazione, non esiste più, come è anche evidente che la mancanza di lavoro, già manifesta prima della pandemia, avrà un incremento esponenziale non appena il Governo deciderà di sbloccare i licenziamenti e non vi sarà lavoro disponibile. Partendo, quindi, dal fatto che i poveri non chiedono assistenza, ma lavoro occorre pensare ad un grande progetto di medio credito che consenta alle persone di esprimere le proprie capacità e diventi l’ imprenditore di se stesso. Va , quindi, rimosso l’unico motivo che ha impedito lo sprigionarsi di questo potenziale che sta nella barriera sociale che ha negato a costoro qualsiasi opportunità.


Occorre che lo Stato faccia un salto di qualità e trasformi la crisi in opportunità destinando parte dei fondi del ”Recovery Fund” a questa possibilità aiutando i cittadini poveri, prima a “riscattarsi” dall’usura e, poi, a proporre un progetto di micro credito, senza garanzie, che permetta a singoli od a cooperative un percorso di rinascita.
Ma perché questo progetto possa avere successo occorre abbandonare la stragrande maggioranza di tentativi di medio credito messi in campo fino ad oggi basati su una idea non approfondita di impresa e la concessione di un finanziamento garantito e che lo Stato ponga in essere le condizioni necessarie che passino attraverso tre fasi: uno studio ed una formazione gratuita di esperti che consentano una serie di approfondimenti indispensabili per ridurre al minimo il rischio di insuccesso del progetto, come l’esame del progetto e la sua valenza rispetto al mercato; una fase di realizzazione degli investimenti; ed infine una fase di tutoraggio nell’avvio dell’attività di start up e nella crescita le iniziative della durata di tre anni, aiutandole a superare con specifiche competenze tutte le iniziali difficoltà.
D’altra parte proprio nei momenti di grande crisi e quando l’intero panorama economico sembra andare in pezzi, che si aprono le maggiori opportunità per cambiare, ricostruire e riconfigurare il sistema trasformandolo in nuove opportunità per l’intera popolazione spingendola ad attivarsi per assicurarsi un salario, non reperibile diversamente.
L’utilizzo di questo tipo di micro credito apre una nuova prospettiva che porterà cambiamenti sostanziali nell’architettura del sistema capitalistico, neoliberistico e predatorio, attraverso la l’eliminazione delle fratture sociali ed economiche che generano la povertà e l’instaurazione di un mondo più giusto e solidale.


Questa è una buona pratica già attuata in Bangladesh dal Premio Nobel per la pace del 2006, Muhammad Yunus, con risultati sorprendenti ed insperati con la creazione di una inedita forma di capitalismo che si basa su una azienda di tipo nuovo che risponda a criteri di carattere sociale “business sociale” che si pone come alternativa al principio classico della massimizzazione del profitto. Per realizzare questo progetto è passato dal riscatto delle persone dal giogo dell’usura a finanziare ed incentivare la loro realtà e, quando le banche non lo hanno più aiutato ritenendo troppo rischioso quel modo di fare, a costituire una banca formata dalle stesse persone riscattate precedentemente stimolandone l’altruismo e consentendo al progetto di crescere. Oggi la Grameen Bank (la cui traduzione significa: Banca del Villaggio) è una banca nazionale che si rivolge ai poveri di ogni villaggio e che presta soldi ad otto milioni di clienti che ne sono in larga parte azionisti. Anche in Italia il prof. Yunus ha ottenuto vari riconoscimenti: la laurea onoris causae dalla Università La Sapienza nel 2008, la cittadinanza onorario di Pistoia nel 2016, e la Lampada della pace dal Sacro Convento di Assisi nel 20 bn19. Presso le Università di Firenze e di Bologna, esistono due realtà che si occupano di creare nuove attività secondo tale insegnamento.
Questa è la grande opportunità per uscire dalla catastrofe della pandemia e della conseguente ingente disoccupazione, riaffermando con i fatti i principi della nostra Costituzione basati sulla solidarietà sociale abbandonando, salvo casi estremi e categorie particolari, la pratica assistenzialistica, offrendo anche agli “ultimi” la possibilità di intervenire operosamente nella costruzione di una propria esistenza onesta, laboriosa, soddisfacente e dignitosa, e di contribuire alla crescita del bene comune.

di Pasquale Riccio



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2 commenti

  1. BENE: è importante acquisire chiarezza su informazioni che, tra il troppo rumore mediatico, alimentano incompletezza e nebulosità e, quindi, più allontanamento dall’impegno civile consapevole e dalla Politica.

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