di Massimo Anselmo

Una provvisoria e incompleta analisi del voto di settembre.
Il dopo voto: la spallata della destra non è riuscita, il Pd da solo ha mantenuto con lievi progressi, l’alleanza Pd-5S timidamente e senza anima registra un limitato esito positivo, ultimo ma forse primo elemento gli italiani tornano a votare,
Insomma un quadro politico in movimento che registra una frammentazione delle forze politiche, una richiesta di partecipazione delle cittadine e dei cittadini, una richiesta diffusa di stabilità governativa che affronti con radicale innovazione il post pandemia.
La Campania vede l’affermazione netta dell’ipotesi De Luca che ha portato un largo, complesso fronte politico sociale alla guida della Regione; insomma un agglomerato di forze politiche progressiste, di forze centriste e trasformiste, di parte consistente della così detta “società civile”. Tale coalizione ha dentro di sé due grossi pericoli: il primo consiste in una presenza di esponenti provenienti da aree di centro destra dichiarati, il secondo è la possibile paralisi politica dovuta a resistenze a una politica di innovazione sociale da parte di quelle liste che si collocano nell’area del centrismo doroteo che vede nel trasformismo istituzionale la sua natura.
Certo c’è da essere incerti sulla positività del risultato, ma questo è.
Occorre oggi una forte iniziativa politica da parte delle forze di sinistra che elabori un programma minimo di cose da fare subito coinvolgendo gli strati sociali in prima persona e aprendo una discussione su chi può gestire il programma, un programma che proponga obiettivi minimi di riduzione di diseguaglianze: interventi edilizi e di sistema di trasporto collettivo che risani il tessuto delle periferie ponendolo in relazione di continuità con i centri direzionali e abitativi centrali, che sviluppi una rete di servizi sociali, dalla scuola alla sanità territoriale ai servizi culturali di base, che renda “abitabile” a pieno il luogo di residenza.


Tutto il programma deve trovare un punto centrale sul lavoro
e il suo sviluppo occupazionale, si tratta di capire che oggi i lavoratori, sia quelli impegnati nel sistema produttivo o terziario, sono atomizzati nei rapporti contrattuali, che sono in competizione con i lavoratori a partita Iva che rappresentano molte volte reparti separati di cicli produttivi, lavoratori che subiscono o a volte si adeguano al lavoro nero come soluzione non emergenziale al ricatto della disoccupazione.
In questo quadro di frammentazione sociale l’assenza di una proposta politica unificante della funzione del lavoro come ricchezza collettiva politica, non facilita un confronto con altri strati sociali per delineare un orizzonte comune di sviluppo, ma lascia spazio alle rivendicazioni populiste e alla propaganda sovranista.
Dividersi sulle alleanze Pd+5S, o fronti “civici” o altro, fa il gioco della “normalità modernista” che i ceti speculativi e di destra sostengono: la riduzione dei parlamentari o la si accompagna con una riforma che ponga nelle mani della cittadinanza la scelta degli eletti, che superi il bicameralismo, oppure la politica registrerà sempre una diffidenza popolare in particolar modo di quei ceti che producono la ricchezza del Paese. Oggi nella seconda fase della pandemia sarà sempre più forte la spinta negazionista o di chi reclama la piena libertà individuale avverso le misure di contenimento sociale di difesa sanitaria collettiva, e che produrrà una esasperata domanda di contributi a fondo perduto, rendendo così vana l’ipotesi di utilizzare i fondi dell’UE come volano di sviluppo sociale inclusivo e innovativo.
Oggi si tratta di configurare non svariate schede di progetti “alla moda dei tempi”, ma punti organici su programmi di sviluppo individuando obiettivi realizzabili nel medio breve periodo, accompagnando a un rinnovamento strutturale della macchina amministrativa che sia a servizio della collettività e non ai potentati di turno.
E’ questo il terreno su cui il Pd, tutte le forze di sinistra possono trovare convergenze e formulare obiettivi unificanti per un nuovo sviluppo sociale e economico. Una sinistra larga in cui il tema del rinnovamento si svolga cominciando a individuare gli errori strutturali che nell’ultimo ventennio la hanno portata a perdere una larga parte della sua rappresentanza sociale, in cui le diverse posizioni possano trovare sintesi e non acuire divisioni in nome di purezze sia moderniste che antagoniste.

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