di Alfonso De Nardo .

Ripartire o ricominciare

Dopo la pandemia tornerà tutto come prima?

Ma è davvero desiderabile che tutto torni come prima?

Le cose che sono cambiate in questi mesi di forzato rallentamento sono tante. E con esse è cambiato in qualche misura anche il modo di considerare la realtà. Abbiamo avuto la possibilità di comprendere l’irrilevanza di molti comportamenti e atteggiamenti che prima ritenevamo essenziali, come di rivalutare gesti e interessi e rapporti che troppo spesso prima erano sacrificati alla fretta quotidiana.

Si può parlare di un ribaltamento, almeno provvisorio, di valori. Se qualcosa di questo rovesciamento dovesse rimanere, per esempio un barlume dello spirito solidaristico che sembra essersi rianimato ovunque nel Paese dopo l’orgia degli odiatori anonimi della rete (a proposito, ma non staranno tornando di moda i ‘buonisti’ incarnati dalle decine di migliaia di medici e infermieri che si sono buttati nella mischia, dalle migliaia di giovani che hanno rinsanguato le file del volontariato, dall’esercito di cittadini che hanno donato qualcosa per aiutare a vincere il coronavirus, dagli stessi imprenditori che hanno protetto in molti casi le loro maestranze, dalle comunità di immigrati che hanno donato il poco che potevano) allora forse dovremmo pensare a un ‘dopoguerra’ che almeno in parte possa non ricalcare le orme precedenti, che si ponga perciò come un nuovo inizio piuttosto che come una ripartenza. E che quindi ci autorizzi a immaginare nel futuro prossimo, anche in ragione dell’obbligata convivenza con il virus, la costruzione di un nuovo e più razionale (o semplicemente più umano) modello di vita.

Cominciando dalla nostra capacità di relazionarci con l’ambiente.

I mesi di quarantena hanno mostrato ovunque strade vuote, città deserte, ciminiere spente. Gli effetti non stanno solo nel calo del PIL e nello spettro di disoccupazione e miseria che si è immediatamente profilato e che dovrà essere contrastato al più presto e con tutti i mezzi.

Stanno anche – bisogna ammetterlo – in uno stato di particolare grazia dell’ambiente e della natura.

Sono diminuite drasticamente nelle città (di sconcertante bellezza in assenza del traffico) le concentrazioni di polveri sottili (anche se per ora i dati sono ancora controversi) e sono calate dappertutto le emissioni di gas climalteranti. D’improvviso l’aria è ritornata respirabile e il cielo si è fatto più limpido, perfino nelle megalopoli industriali cinesi.

E le acque hanno mostrato un aspetto che non conoscevamo da decenni. Perfino il fiume Sarno – il più inquinato d’Europa – è tornato limpido, visto che improvvisamente ha beneficiato di un’impensabile moratoria delle immissioni provenienti dai distretti industriali dell’Agro sarnese nocerino e da quello conciario di Solofra.

Analoga sospensione ha riguardato la produzione di rifiuti, in particolare di quelli speciali. La consegna degli abitanti nelle loro case ha depresso infatti gli acquisti non di prima necessità e la chiusura degli opifici ha interrotto del tutto la produzione di scarti, facendo venir meno la materia prima per lo smaltimento illegale dei rifiuti nelle strade, nei canali, nei campi. Sono addirittura scomparse le colonne di fumo nero dalla terra dei fuochi.

Infine il mare ha riacquistato, anche lungo i litorali delle grandi città, una trasparenza da tempo dimenticata. E siccome gli abitanti dei quartieri stanno tutti in casa e inquinano come sempre, ciò dimostra che gli impianti di depurazione tutto sommato funzionano quanto basta, ma che il grande inquinamento ora mancato è quello che arriva dai corsi d’acqua e dai liquami che essi raccolgono con scarichi urbani e industriali non collettati e immissioni abusive.

È solo una tregua, si dirà, anche se è la festa di una natura che finalmente si è scrollata del peso peggiore e più invasivo delle attività umane. La gente ricomincerà a muoversi, a lavorare, a produrre, a consumare come prima e a generare i terribili sottoprodotti dello sviluppo.

Eppure l’attuale situazione potrebbe essere l’occasione di una svolta epocale. In particolare nel Mezzogiorno e nella Campania. Proprio nelle aree che storicamente hanno subito le peggiori violenze e che perciò segnano ancora come un sinistro genius loci l’identità stessa di ampi territori.

È ovvio che dopo la battaglia contro il coronavirus la priorità è il riavvio delle attività economiche sospese forzosamente. Che quindi occorrerà mettere a punto un modello nuovo di produttività improntato alla necessaria convivenza con il virus. Ma ciò non toglie che il riavvio delle attività, proprio perché necessariamente sottoposto a una nuova e stringente regolamentazione, sia occasione irripetibile per l’inaugurazione di un approccio innovativo alla grande problematica delle interazioni tra attività economiche e ambiente.

Dobbiamo superare dunque l’attuale stato di grande costrizione imposto dall’emergenza sanitaria. Ma con formule basate ancora sul distanziamento sociale, quindi con un approccio necessariamente ‘light’ al tema della ripresa produttiva. Dopo i mesi di fermo (e di soccorso economico pubblico) ci saranno altri mesi nei quali la macchina dell’economia dovrà muoversi senza poter premere sull’acceleratore, con l’andamento necessario a ricostituire le scorte di materie prime, a ricostruire la rete commerciale, a smaltire l’invenduto.

In questi mesi non dobbiamo allora rinunciare a quel poco di buono che stiamo apprendendo nel tempo dell’isolamento e della quarantena.

E allora, perché non applicare le regole e i controlli per il contenimento del contagio anche al contenimento del contagio ambientale?

Ricominciare, dunque, e non semplicemente riprendere dal punto in cui si era prima del Covid 19. La riaccensione delle macchine e dei forni è oggi il risultato di un nuovo patto – in nome della difesa dalla pandemia – tra imprenditori, lavoratori e comunità civile, rappresentata dalle istituzioni pubbliche.

Sarebbe intollerabile che ci si trovasse, subito dopo la ripresa, di nuovo di fronte ai grandi giacimenti di rifiuti speciali pronti a essere incendiati nella terra dei fuochi, alle acque del Sarno e della Solofrana imputridite dagli scarichi industriali oggi sospesi, al mare intorbidito dalle schiume trascinate dai fiumi e all’aria impestata dalle polveri sottili.

È necessaria una nuova e più matura consapevolezza da parte di imprenditori e cittadinanze affinché non si ricalchino le orme dello sviluppo distruttivo vissuto fino a ieri. E – visto che occorre ridare fiato all’economia duramente provata dal virus – è anche il momento che Stato, Regione e amministrazioni pubbliche varie trovino il modo di portare a termine una volta per tutte quella miriade di opere pubbliche destinate al miglioramento ambientale e generalmente bloccate da pastoie burocratiche o da opposizioni insensate: dagli interventi di mitigazione del rischio idraulico e idrogeologico a quelli di completamento dei sistemi di collettamento e trattamento delle acque reflue (a partire dai bacini del Sarno e dei Regi Lagni) alla realizzazione degli impianti di compostaggio e dei siti di smaltimento delle principali frazioni dei rifiuti speciali, all’eliminazione delle ecoballe, divenute elemento stabile del paesaggio della piana campana. Il che non solo migliorerebbe le condizioni ambientali della regione, ma darebbe uno straordinario impulso al recupero dell’occupazione.

Sempre per parlare di pubbliche amministrazioni (ma non solo) è poi importante che diventi stabile l’esperienza dello smart working sviluppatasi nei giorni della pandemia.

Improvvisamente è crollato il mito della connessione tra lavoro eseguito e occupazione fisica del posto di lavoro. È diventata possibile (grazie al coronavirus) una rivoluzione impensabile: dal cartellino all’obiettivo della prestazione lavorativa, dalla presenza in ufficio all’effettivo soddisfacimento dell’utenza, dalla cultura del rispetto delle procedure a quella del risultato e della responsabilità. Se, a emergenza passata, resterà confermato almeno un parziale ricorso al lavoro agile, diciamo il 20 o il 30%, ciò comporterà pure innegabili miglioramenti ambientali, con la riduzione del traffico e il miglioramento della mobilità urbana, con il calo del consumo di carburanti e delle emissioni gassose in atmosfera.

È scontato che la ripresa delle attività produttive avverrà – quando sarà il momento – sulla base di protocolli di sicurezza che contempleranno riavvii graduali, misure di distanziamento, campagne di monitoraggio, uso di mezzi di protezione individuale e di app per gli smartphone. I protocolli di sicurezza saranno un patto tra imprenditori, lavoratori e Stato che non dovrà escludere le misure di prevenzione di nuovi inquinamenti e intossicamenti.

Così che l’emergenza sanitaria attuale non sia disseminazione di nuove future repliche delle emergenze ambientali già subite.

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6 commenti

  1. Purtroppo viviamo in un mondo globalizzato dove al primo posto c’è il dio denaro, fin quando le multinazionali non capiranno che il bene primario è l’ambiente natura, non andremo da nessuna parte, un ecosistema distrutto, nell’ambito del quale vivono gli esseri viventi, i virus sono o non sono esseri viventi?

  2. L’unica cosa positiva che si è potuta rilevare nel periodo del COVID19 è il notevole miglioramento ambientale!Mai visto un cielo così chiaro e pulito, un mare così limpido e dei fiumi (Irno, Tusciano, Lambro e Mingardo) mai stati così belli a vedersi!Eccezionale perché non si prosegue rispettando attentamente l’ambiente che ci circonda!Ai posteri la risposta!

  3. Il contadino invisibile condivide tutto e suggerisce che un’altra agricoltura è possibile come modello di produzioni se consumatori attenti fanno solidarietà con quei produttori consapevoli del proprio ruolo

  4. Ottima riflessione … Oltre la sanità, dovrebbe costituire una piattaforma di confronto programmatico in vista delle prossime elezioni regionali.

  5. Anche se in casa, si sente aleggiare un’aria più pulita, con colori più nitidi e cinguettio di uccelli.
    Forse questa esperienza di indecifrabile durata, dolorosa per molti, inedita e inimmaginabile per tutti darà vita a progetti – a larga scala – di una un’economia etica come volano per una Politica impegnata per il vero benessere dell’uomo e, quindi, anche dell’ambiente….forse

  6. Il “lockdown”e’ entrato prepotentemente nella nostra quotidianità; non più travolti da una routine totalizzante ci siamo fermati a pensare, a guardare le cose fermi,distanti, riflessivi.
    I pensieri sono andati alle cose importanti, salutari e, la minaccia che tutto ciò possa essere portato via da una pandemia ci fatto ci pone interrogativi direi esistenziali :
    dove abbiamo sbagliato? Cosa si è rotto? Beh la risposta dovremmo ricercarla nel nostro stare al mondo, ed è li che l’abbiano cercata ma, guardando un po’ abbiamo notato che negli ultimi 50 abbiamo trasformato in modo così invadente questo meraviglioso pianeta che la risposta è severa, così come noi, severamente, dovremmo giudicarci per non cogliere questa meraviglia o di coglierla per lucro,per malaffare e per il discapito della società.
    Grazie Alfonso per tenere sempre vivo il tema ambientale. Ti seguo con vivo interesse

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