“Dobbiamo ripensare tutto, ma non ricordo come si fa.”
Questo il titolo di una vignetta di Altan riferita ai nostri inediti giorni di lotta contro l’epidemia mondiale che ha investito il sistema “globale” innescando una crisi di lungo periodo; scorrono immagini dolorose di sofferenza e disperazione, si avverte dagli sguardi della gente che si incontra per le vie deserte la paura verso un nemico sconosciuto e lo spaesamento di chi fino a un mese fa era convinto “di vivere nel migliore dei mondi possibili”.
E’ il tempo dell’insicurezza, della ricerca di un luogo tranquillo e “difeso” in cui ritrovarsi, dell’attesa di un annunzio. Ma è anche il tempo della riflessione sul nostro passato vicino e lontano.

Appartengo, apparteniamo a una generazione che aveva preso coscienza di sé e praticato il conflitto nella società e nelle pratiche interne a se stessa, facendosi forza del conflitto nel tentativo di trasformazione del mondo che la circondava.
Ci siamo commossi nel vedere un Gesuita solo in una piazza solennemente vuota, che prima di invocare Dio ha ricordato a tutti che la salvezza è una pratica che deve essere sviluppata assieme, tutti, senza distinzioni di pelle, e che il domani deve essere radicalmente altro dall’oggi egocentrico che ha generato diseguaglianze mai conosciute nella storia. Ci siamo sentiti meno soli quando il Presidente della Repubblica, poco dopo, ha sollevato un severo monito all’Unione Europea per richiamare i fondamenti democratici e solidali dell’impianto europeista.
Sentiamo tutto il peso delle incertezze che hanno governato il pensiero della sinistra in questi decenni: l’adesione alla “Terza via” di Blair, nel miraggio di poter controllare un modello di sviluppo neoliberista con provvedimenti di gestione formale del processo, ha spostato l’asse dei partiti socialdemocratici verso un “Neue Mitte politico” “tra vecchia sinistra socialdemocratica e nuova destra neoliberista” (Anthony Giddens); si sono così aperti solchi profondi nel corpo sociale delle sinistre europee, si è aperto un conflitto tra partiti “fratelli” su chi assumeva la primogenitura della “svolta”, veicolando un sentimento di un Paese in concorrenza modernista con gli altri, minando cosi sia la sua tenuta sociale , sia l’ipotesi di costruzione della Unione Europea fondata su coesione politica e sociale.
Nel nostro Paese dall’inizio del millennio corrente, abbiamo assistito alla trasformazione del maggior partito di sinistra, erede di un pensiero comunista-socialista originale e (purtroppo a volte) autonomo, in una aggregazione di interessi autoreferenziali che, nella modernità dei tempi, cercavano uno spazio e una rappresentanza “liquida” libera da vincoli ideali e di appartenenza sociale; deriva che lo ha portato negli ultimi decenni a diventare competitor con le più estreme teorie di “governance” neo liberiste abbandonando ai propri destini fasce sociali attraversate da laceranti ristrutturazioni produttive e pressate da condizioni di vita precarie, così rompendo alleanze sociali e aprendo la strada ai particolarismi territoriali e sociali.
Oggi in piena pandemia questi temi si ripresentano alla discussione, dipanare il filo di una ricerca critica diventa complicato, ma credo sia utile avviare una discussione.
La sinistra, uscita sconfitta nel marzo dello scorso anno, arriva al governo del Paese in un torbido agosto in cui si registrò la crisi del blocco sovranista-populista, e si è ritrovata a gestire la più drammatica emergenza dalla fine del secondo conflitto mondiale. Non è una guerra quella odierna, è una lotta per la vita di un intero pianeta che, pur avendo migliorato, nel corso degli ultimi decenni, le condizioni generali di vita, si trova esposto a un’infezione mortale velocizzata dai suoi stessi strumenti. Sono emersi tutti i nodi strutturali del Paese: il sistema sanitario devastato dai tagli di spesa, la sua balcanizzazione regionale, la fragilità di un sistema produttivo basato su una imprenditoria finalizzata alla ricerca del massimo profitto, una divisione sociale profonda alimentata dal crescere esponenziale delle diseguaglianze, l’affermarsi di un modello di sviluppo che estrae ricchezza e non la produce.
Le risposte del Governo sono state certe nell’affrontare il rischio contagio, ma incerte sulla predisposizione di un piano di sostegno a imprese, cittadini, all’intero sistema Paese, per affrontare il dopo: una coalizione formata da un connubio di comodo tra populisti e sinistra in cerca di ricollocazione, rischia di trovarsi paralizzata alla fine dell’emergenza pandemica.
Un elenco di punti da discutere sarebbe troppo lungo, provo a individuarne alcuni: crisi dello Stato Repubblicano, crisi del modello di sviluppo globalista, crisi dell’Unione Europea, collocazione della sinistra.

Crisi dello Stato Repubblicano
Il rapporto Stato Regioni ne è uscito devastato, i difetti della riforma del Titolo V della costituzione sono esplosi inducendo un rischio di paralisi o peggio un contrasto di poteri che minano l’unità politica e sociale dell’Italia. Le ipotesi federaliste su cui si era basato il Titolo V si sono dissolte lasciando spazio alle politiche divisive della destra italiana che, soffiando sul tema dell’insicurezza e il miraggio di essere padroni a casa propria, ha assemblato un blocco sociale interclassista a egemonia individualista costruendo nemici dagli immigrati ai tecnocrati di Bruxelles, convincendo gli esclusi del sistema di poter emergere affidandosi a una guida unica e assoluta.
In questo quadro la gestione dell’emergenza si è rivelata confusa per la competizione tra interessi di parte, sia la Lombardia che la Campania hanno espresso e praticato un punto di vista localistico, sia pur con venature efficientiste, ma difendendo il proprio sistema di potere soprattutto nel campo sanitario.
Il Governo centrale si è trovato così al centro della pressione localistica, non federale, della gran parte delle sue articolazioni, inoltre ha dovuto reggere un confronto interno tra il populismo vendicativo del Movimento 5 stelle e la politica di coesione sociale proposta dalle forze di sinistra.
E nello stato emergenziale gli interventi a sostegno del reddito ai cittadini e alla imprese, oltre a dover fare i conti con un bilancio dello Stato tarato dall’endemico debito pubblico, hanno dovuto badare innanzitutto a potenziare il servizio sanitario pubblico, devastato dai tagli dei Governi precedenti (da Monti a Conte1 passando per Renzi e Gentiloni) che hanno configurato il sistema sbilanciandolo sul settore privato, riducendo al minimo la struttura sociosanitaria di base e ospedaliera pubblica, e successivamente ritrovare i fondi per l’insieme del Paese.
Il sostegno al reddito dei singoli e delle imprese si è concretizzato in sussidi temporanei al popolo delle partite iva, in estensione della cassa integrazione speciale a tutte le imprese di tutte le dimensioni, in un “reddito di emergenza” per i meno abbienti a reddito “0” o espulsi dal mondo del lavoro sommerso; interventi che se pur pensati in emergenza, non affrontano i nodi strutturali dell’afasia del sistema produttivo accentuandone il ruolo di dipendenza sussidiaria dalla spesa pubblica, di estrazione di ricchezza anziché produzione della stessa, e rafforzando il ruolo centrale degli enti finanziari come regolatori dell’ economia.
Si rischia così di accentuare la crisi di rappresentatività e funzionalità dello Stato Repubblicano espropriandolo delle funzioni di indirizzo e programmazione, relegandolo a mediatore tra spinte localistiche e interessi dei diversi strati sociali, indebolendone la funzionalità operativa di coordinamento ed il ruolo nel contesto dell’Unione Europea.
Gli interventi economici elencati sono quelli necessari, ma perché non si è pensato all’utilizzo dei percettori del reddito di cittadinanza vigente? Potevano essere impegnati a supporto dei settori che gestiscono l’emergenza sanitaria, o a supporto di lavori che per rispettare le norme di sicurezza devono rimodulare le produzioni e avere un maggior numero di addetti per sostenere il ciclo produttivo, eppure il sistema dei “navigator” esiste. Insomma un modo per far vivere una misura assistenziale trasformandola in intervento sociale di pubblica utilità.
Il sussidio alle partite iva è sicuramente minimo, ma una modulazione di sostegno sulla base della fedeltà fiscale dell’ultimo biennio, come tempo minimo, si sarebbe potuto erogare diversificando le cifre e aprendo una strada per regolarizzare, (senza sanatorie) una fascia ampia dell’evasione fiscale e del lavoro sommerso
È su questi temi che ci si è paralizzati: il populismo vendicativo e demagogico, fatto di proposte di taglio della ricchezza, di privilegi indistintamente identificati, di conservazione del consenso conquistato con il reddito di cittadinanza, si è imposto nella dialettica governativa, la sinistra ha subito l’impostazione grillina, mediato su alcuni punti e strappato, temporaneamente, una forza di indirizzo dello Stato rispetto alle Regioni.

Crisi del modello di sviluppo globalista.
Questi i temi politici e sociali che sono alla base della crisi dello Stato Repubblicano che, declinati con la crisi del modello economico globalista, pongono alla sinistra, non solo italiana ma europea, il problema della sua collocazione. Il modo di produzione della ricchezza, dagli anni 90 del secolo scorso, ha disarticolato la forza lavoro internazionalizzando il ciclo produttivo dei beni materiali e immateriali, e con l’automazione ha ridotto la base sociale lavorativa agevolando il diffondersi di unità organiche medio piccole e mutando gli schemi direzionali. Il divaricarsi del reddito a sfavore del salariato con l’implementazione di quello degli imprenditori, in qualunque forma esso si palesasse, ha imposto agli Stati la funzione di guardiano della spesa pubblica riducendola al minimo e finalizzandola ad allargare le privatizzazioni nel campo sociale secondo il criterio di remunerazione dei servizi, anche quelli minimi generali.
In detti processi economici è intervenuta la rivoluzione del digitale promossa dalle compagnie dei Big Data, che hanno monopolizzato l’utilizzo dei dati individuali prodotti dai vari devices e hanno usato la loro profilazione come risorse da collocare, in regime monopolistico, sul mercato al miglior offerente, espropriando così sia l’individuo delle sue conoscenze e della sua formazione critica, sia gli Stati della loro capacità di programmazione degli interventi sociali e economici. In sintesi esse si sono proposte come gli unici depositari della formazione della domanda e degli orientamenti culturali.
In questo quadro incerto e conflittuale ci si muove per delineare il dopo. Non ci sono date certe sulla riapertura del Paese e, soprattutto sono legate a filo doppio alle condizioni epidemiche dell’Europa e degli altri continenti, ma c’è la certezza che i processi economici della globalizzazione andranno a ricollocarsi nel dopo epidemia mantenendo salda la bandiera del massimo profitto come condizione unica di sviluppo; d’altra parte la reazione del governo Trump e di quello Inglese nell’affrontare la pandemia sono in piena sintonia con il neoliberismo: si sacrifichi chi non resiste, l’importante è che la produzione vada avanti.


Crisi dell’Unione Europea.
Le istituzioni dell’Unione Europea, come quelle dei singoli Paesi, sono sotto attacco da parte delle forze sovraniste e demagogiche che perseguono gli stessi obiettivi del neo liberismo introducendo la variabile del “Governo forte del condottiero” e con la chimera autarchica cementano un blocco sociale segmentato e interclassista, fautore dell’individualismo proprietario come difesa dai vari nemici individuati volta per volta, dagli immigrati ai poteri forti alle élite finanziarie allo stesso Papa. Si destruttura il sistema democratico con interventi demagogici e il caso Ungheria è la chiara dimostrazione della virulenza dell’attacco e della carenza di risposte da parte delle forze democratiche e socialiste dell’Unione Europea.
Altrettanto singolare appare il dibattitto sugli strumenti da mettere in campo da parte dell’UE per fronteggiare sia la pandemia che la ripresa economica; basterebbe attivare l’artico 122 della convenzione di Lisbona che prevede tra l’altro, strumenti comuni per fronteggiare situazioni emergenziali naturali, invece si sta dipanando il contrasto tra paesi del nord e quelli del sud con il pericolo di uno sfaldamento dell’impianto europeista, dando spazio al sovranismo o a tentazioni egemoniche delle aree forti del continente.
Collocazione della sinistra.
Oggi la collocazione delle forze di sinistra appare decisiva sia per la tenuta democratica del nostro Paese e dell’Europa tutta sia per costruire una alternativa per la gestione del dopo pandemia.
Si tratta di superare con decisione le politiche di inseguimento del neoliberismo di inizio millennio, e di affrontare la costruzione di una coesione tra strati sociali oggi divisi, assumendo come strumento la partecipazione decisionale e democratica dei soggetti a cui ci si rivolge, sulle scelte e sulle rappresentanze.
Bisogna affrontare la questione europea con diverso spirito, la sinistra per la prima volta nella sua storia recente deve anticipare le scelte e le autocritiche e mettersi alla testa di un largo schieramento e movimento che dica: con questa Europa no, proporre una politica unitaria di sostegno alla popolazione e una revisione del modello produttivo che salvaguardi il benessere generale e produca ricchezza sociale, sviluppando un modalità di lavoro basata sui diritti di sicurezza e di riconoscimento di ruolo di produttori di ricchezza a tutte le figure sociali impegnate nei cicli produttivi.
La costruzione dell’egemonia delle forze di sinistra e democratiche deve essere condotta con nuovi parametri interpretativi: la globalizzazione ha segmentato il mondo produttivo, oggi si devono unificare gli strati sociali partendo dalla supposizione che sono tutti partecipi alla produzione di ricchezza, si possono definire nuovi centri decisionali di formazione della domanda composti dai produttori, siano essi attori diretti, o consumatori. Non una decrescita felice ma uno sviluppo generale che non escluda nessuno e sia centrato sul benessere individuale e collettivo come metro della redistribuzione della ricchezza.
Non c’è uno solo strumento politico oggi in grado da solo di affrontare la complessità del momento, ma ci sono mille articolazioni nel campo largo della sinistra e del mondo democratico, impegnate in questa direzione. Ci vorrebbe più coraggio da parte del maggior partito di sinistra ad aprire una riflessione pubblica e critica sul suo operato, ci vorrebbe più coraggio nelle mille articolazioni a superare il limite autoreferenziale che le isola dal corpo vivo della società.
Un genovese testardo disse qualche secolo fa: “buscar el levante por el ponente”, sfidando tutte le convenzioni geografiche e cognitive del suo tempo, segui il suo coraggio e cambiò il mondo e ne trovò di nuovi.
Massimo Anselmo.

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1 commento

  1. Ho letto con molta attenzione l’ampio articolo. Efficace: “dobbiamo ripensare tutto, ma non ricordo come si fa”.
    Io, però timidamente, vorrei lanciare soprattutto ai politici “dobbiamo ripensare tutto, impegniamoci ad individuare nuove “chiavi di lettura”, impariamo a scoprire/applicare nuovi paradigmi di analisi e di soluzioni, impariamo ad ascoltare realmente tutte le espressioni umane che la complessa società (quella vicina, lontana e più lontana) dell’oggi ci chiede, nonostante il serpeggiare di inedite inquietudini, delle impreviste forme di povertà ma anche di solidarietà, del risveglio di pericolose forme di rabbia e di rancore, della “generosità materiale finalizzata” di organizzazioni criminali ecc…..Nell’accelerazione degli eventi inimmaginabili fino a 50/40 giorni fa, è stata ed è necessaria la tempestività di azioni e interventi urgentissimi a largo raggio, ma (per me, che da anni ho scelto di non impegnarmi nelle retrovie della politica senza mai allontanarmi dalla passione della Politica ) è fondamentale incrementare una singolare cautela per strutturare/potenziare RESPONSABILITA’ POLITICHE con COMPETENZE ED ONESTA’. Non sono in grado di delineare qualche mia idea/proposta concreta, sono veramente in fiducioso attento “ascolto selettivo” per tentare di orientarmi senza chiudermi nell’intimo privato. Da tempo, in più situazioni anche con InfinitiMondi, mi sono trovata a dire ” Siamo su un magma … poi ci sarà qualche esplosione ” , da giorni mi dico utilizzando la saggezza popolare “Tutti i nodi vengono al pettine”. Buon tutto, nonostante tutto.

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